(Italiano) Pensare-Agire, Localmente-Globalmente: Alfaz, Spagna

ORIGINAL LANGUAGES, 1 Jul 2013

Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

(Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis)

Alfaz del Pi, situata fra le spiagge del Mediterraneo e un paio di maestose montagne, Campana-Aitana (Uomo e Donna) alte 1500 metri. Oggi questa cittadina ospita generosamente 21.500 abitanti; circondata da suolo fertile, aranci e ulivi, vigneti. Benidorm – la famosa località turistica – e Altea – più per artisti – sono a portata di mano; sulla Costa Blanca – bianca, vista dal mare – in Spagna.

Fin qui nulla di speciale. Ma la cittadina ospita quasi cento diverse nazionalità; 57% sono stranieri. Gli inglesi e i norvegesi sono i più frequenti; i norvegesi arrivano già da circa 45 anni; quasi mezzo secolo di pacifica coesistenza; e non solo assenza di violenza bensì anche pace positiva, cooperativa.

Noi, una coppia nippo-norvegese, arrivammo nel giugno 1969. La nostra prima volta in Spagna fu nel 1951, con l’autostop, per capire meglio il fascismo. Franco era evoluto dalla dictadura, dittatura, dopo una brutale guerra civile, a una dictablanda, versione più morbida. Ma l’aspetto fondamentale della dittatura c’era, come un incubo a mo’ di cappa sul paese: paura, paura, paura; tanti ad ascoltare, così pochi a parlare. Ma qualcuno diceva: se venite solo per la spiaggia statevene a casa. Portate libri, siamo isolati, senza sapere che succede. Franco non durerà per sempre, dobbiamo essere preparati.

I libri furono portati. I doganieri sapevano a mala pena come leggerli, ma identificavano in fretta più copie uguali, decidendo per un solo esemplare di ciascuno. I libri passarono di mano, alle persone giuste – in questo caso, di sinistra – per esempio a una conferenza a Madrid nel giugno 1969. E i libri vennero letti.

Il calore estivo era insopportabile. Ci spostammo sulla costa in visita a un amico, ufficiale dell’esercito norvegese, con anni di dialoghi alle nostre spalle. Lui viveva in una “urbanización” che pareva un ghetto scandinavo, il che ci fece esclamare: Mai per noi! A sera avevamo dato la caparra per una casa. Come mai? La spiaggia, le montagne, la terrazza sul tetto, un deposito per i libri in transito; sì!

Alfaz al tempo era un villaggetto con le strade sterrate; quattro donne vestite in nero erano il traffico dell’ora di punta. Le mosche cadevano zampe all’aria, vittime della calura pomeridiana. Senza dubbio l’influsso degli stranieri ebbe un impatto dinamizzante: un po’ di soldi e usanze, in cambio di sole e sorrisi e qualche tradizione locale. E senza dubbio Alfaz seppe cavarsela bene.

Nell’ombra della sera inoltrata le donne tiravano fuori le sedie, sedendosi nelle viuzze per una tertulia, un incontro, trattando quella nuova risorsa, gli stranieri, che avevano bisogno chi di un giardiniere, chi di un tuttofare, chi di un imbianchino. La distribuzione veniva fatta magistralmente. Il villaggio crebbe e crebbe, con pochissimi davvero ricchi o poveri. Il denaro s’investiva in huertas, campi coltivati, a verdura o qualunque cosa; in botteghe; servizi; mini-industrie. 300 giorni di sole all’anno erano davvero una bella attrattiva per persone del nebbioso Mare del Nord e del tempestoso Atlantico. 365 giorni di sorrisi e fascino, gentilezza schietta, calore umano, quel balenio extra negli occhi, il clima umano risultò ancora più attraente.

Alfaz divenne più di una casa estiva per un rapido accesso alla spiaggia. Alfaz divenne casa. La storia si ripeteva; venivano a trovare un amico, i parenti, o che altro; e si susseguivano le caparre. Qualcuno fece degli sbagli, sottovalutando il ruolo degli amici e della famiglia lasciati fra nebbia e tempeste, e il tempo che ci voleva per costruirsi nuove relazioni.

Quasi mezzo secolo senza seri incidenti; facendo quello che la gente fa spesso per intuizione, costruendo la pace. Ci volle tempo per capire che “ad Alfaz comportati come fanno gli alfazinos”. Per esempio, parla spagnolo (beh, ci sono certuni che ancora aspettano che gli spagnoli parlino la loro lingua). Senza irrigidirsi, anzi cercando il “disgelo”, sorridendo. Ci volle meno tempo perché Alfaz assumesse una certa informalità e i nordici amassero i costumi locali. E i matrimoni misti produssero sempre più bilingui.

La cooperazione si diffuse dall’economia alla cultura. I norvegesi frequentavano corsi, tenevano seminari, studiavano la storia spagnola; sta sorgendo un istituto per lo studio della Norvegia; Alfaz trasformata, cosmopolita, poliglotta.

E si diffuse alla politica. I norvegesi votavano, entravano nel consiglio e nell’amministrazione comunale; accettati da uguali. I norvegesi eressero le loro istituzioni che presto si mischiarono a quelle spagnole, per esempio socialmente per i meno abbienti. I conflitti, per il terreno e/o il denaro, le gelosie si gestirono o svanirono lasciando traumi da poco o nulli.

Entrambi impararono alla svelta come il mondo appare all’altro. Cibo e vestiario, musica e arte in generale, servono da grandi apri-pista ad altre culture. Poi le feste nazionali. Alfaz rispettava, addirittura celebrava, il 17 maggio norvegese, quella costituzione democratica pioniera del 1814; i norvegesi si davano alle fiestas, ben più frequenti, come chiavi per l’anima spagnola. Accompagnate dalla siesta – considerata da occhi preconcetti come pigrizia spagnola – per scoprire come ricavare due giornate da una. Presto gli spagnoli diventarono più puntuali che i norvegesi stessi.

Che accadde dei libri? Diventarono soggetti di corsi estivi in argomenti di cui la Spagna era rimasta carente durante l’isolamento. Come la pace e gli studi sulle donne: corsi internazionali a Benidorm, con l’università di Alicante. Molti partecipanti della prima ora sono adesso professori in tutta la Spagna.

Arrivò il 22 luglio 2011, il mostruoso atto terroristico; Oslo, Utöya. Il sindaco di Alfaz, Vicente Arques, immediatamente espresse la compassione di Alfaz a un paese in estreme ambasce – quando mai! – e dolore. È facile celebrare insieme quando tutto fila liscio; condividere un lutto richiede la profonda umanità di Alfaz sotto quei cieli amichevoli.

Cooperazione per beneficio mutuo, empatia, risoluzione dei conflitti e riconciliazione dei traumi: compiti fondamentali di pace ovunque, in famiglia, a scuola, al lavoro, in un villaggio-città come Alfaz, come esempio per il paese, per i rapporti Occidente-Islam.

E simbolizzati il 15 giugno 2013 in una meravigliosa scultura del famoso Agustín Ibarrola; contro il terrorismo, in memoria delle vittime, e per la pace, citando Gandhi, Non c’è una via alla Pace, la Pace è la via. Proprio quello che pratica Alfaz: pensare e agire, localmente e globalmente. Omaggio ad Alfaz!

Titolo originale: Think-Act, Locally-Globally: Alfaz, Spain – TRANSCEND Media Service-TMS

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