(Italiano) Quando un terrorista non è un terrorista

ORIGINAL LANGUAGES, 2 Mar 2015

Richard Falk – TRANSCEND Media Service

Richard Falk. Reuters

Richard Falk. Reuters

Ciò che la polizia di Chapel Hill, nella Carolina del Nord ha inizialmente pubblicizzato nel mondo come ‘un litigio per un parcheggio’, è stata l’uccisione deliberata di tre giovani e devoti studenti musulmani americani per mano di un assassino, ‘nuovo ateo’ di nome Craig Stephen Hicks, motivato ideologicamente. Quello che The Economist chiama senza esitazione ‘terrorismo a Copenhagen ha  implicato il tentativo di sparare a un vignettista danese che ripetutamente deride  il Profeta e le convinzioni islamiche e ha implicato anche l’uccisione con arma da fuoco di una guardia di sicurezza ebrea davanti a una sinagoga. Un amico comprensibilmente pone una domanda seria su Twitter che potrebbe essere stata messa da parte in quanto esagerazione retorica appena pochi anni fa: “Soltanto i musulmani sono capaci di terrorismo?”

Trovo profondamente inquietante che mentre alla tragedia di Chapel Hill viene data un’attenzione mediatica marginale tranne che tra i gruppi in precedenza preoccupati per l’Islamofobia e il razzismo, il settimanale The Economist considera che importanti principi della democrazia liberale occidentale siano a rischio apparentemente soltanto nel contesto europeo. Secondo quanto dice Zanny Minton Beddoes, la nuova direttrice del settimanale,  “Jacob Mchangama, avvocato e fondatore di un gruppo di esperti di diritti umani che si chiama Justitia, mi ha detto che sarebbe un disastro se questo paese dovesse diventare codardo nella sua difesa della libertà di parola. ‘Non può esserci tregua nella lotta tra la democrazia laica e l’estremismo’, dice.  Soprattutto i politici dovrebbero evitare la trappola di dire o di implicare che la violenza è stata realmente colpa dei provocatori, o che gli insulti riguardanti la religione dovevano essere equiparati ai danni fisici. Cedere a quel tipo di relativismo vorrebbe dire deludere quei seguaci dell’Islam che sono stati così coraggiosi da lottare per la libertà di parola, e gustarsi una specie di “bigottismo di basse aspettative”, ha detto Mr Mchangama, i cui antenati paterni erano musulmani delle Isole Comore. Una giusta osservazione.”

It: Nella foto: i tre studenti musulmani uccisi a Chapel Hill Eng: 23-year-old Deah Shaddy Barakat, his wife Yusor Mohammad, 21, and her sister, Razan Mohammad Abu-Salha, 19.

IT: Nella foto: i tre studenti musulmani uccisi a Chapel Hill.
ENG: 23-year-old Deah Shaddy Barakat, his wife Yusor Mohammad, 21, and her sister, Razan Mohammad Abu-Salha, 19.

Sono molto sicuro che questa non sia una giusta osservazione, almeno nel modo in cui è formulata da Mr  Mchangama. Naturalmente, i governi dovrebbero agire per proteggere tutti coloro che vengono trattati in maniera violenta, ma rifiutarsi di considerare i messaggi  islamofobici  come una specie di discorso di odio e allo stesso tempo considerando tali  le offese anti-semite o la negazione dell’Olocausto, significa mischiare due cose che sono entrambe inaccettabili: ignorare le cause alla radice dell’estremismo politico e della violenza patologica e proibire e punire le affermazioni anti-semite come discorsi di odio, trattando invece i discorsi anti-islamici e islamofobici come necessari di protezione  in base alla prospettiva di ‘libertà di espressione.’ In effetti, questi confini esterni sono difficili da tracciare. Le opinioni degli storici professionisti che mettono in dubbio la rilevanza dell’Olocausto dovrebbero essere proibite? Il  modo critico letterario e satirico di trattare  Maometto e il Corano dovrebbe essere soppresso a motivo dell’ordine pubblico? Nel primo caso abbiamo l’esperienza dello storico francese Robert Faurisson, (http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Faurisson)  mentre nel secondo, quella di Salman Rushdie. Secondo me, gli scritti di entrambi dovrebbero essere considerati come forme di discorso da proteggere e se un governo è incapace o non disposto a fare questo, compromette le sue rivendicazioni di legittimità. E quello che non dovrebbe certamente fare, è difendere Rushdie per motivi di libertà di espressione e punire invece  Faurisson sulla base di diffamazione  o di leggi di odio collettivo.

Un altro translato lungo una simile traiettoria è la spinta verso il riconoscere la ‘guerra’ tra l’Occidente e l’Islam, un’accettazione della nota tesi di Huntington dello ‘scontro di civiltà.’ Roger Cohen, un collaboratore abituale con orientamento etico, della pagina dei commenti del New York Times, in un editoriale intitolato: “L’Islam e l’Occidente in guerra” [17 febbraio 201], critica il primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt, e anche Barack Obama, per aver descritto l’avversario ‘oscura ideologia’ ed ‘estremisti violenti.’ Cohen insiste che questi termini sono eufemismi che evitano la realtà fondamentale del nostro tempo, cioè che l’Occidente sta combattendo i movimenti e i governi islamici in tutto il mondo  e  sostiene anche che l’Islam è ‘un facile bersaglio’  perché “ha generato  movimenti politici sfaccettati il  cui obiettivo è il potere.”

L’articolo  osserva anche che i giovani musulmani si sentono alienati e sono trascinati verso l’ISIS e altri movimenti islamici.  Cohen pone la domanda fondamentale: “Chi o che cosa è  da incolpare?” e poi suggerisce che ci sono due serie di risposte in contrapposizione. Vale la pena citare per intero le sue definizioni: “In quanto alla prima, è l’Occidente che va incolpato per il suo appoggio a Israele (considerato come la più recente iterazione dell’imperialismo occidentale nel Levante); il suo appoggio alle guerre (Iraq), la sua brutalità (Guantanamo, Abu Ghraib), le sue uccisioni di civili (droni), la sua ipocrisia spinta dal petrolio (un alleato saudita che finanzia la jihad).”

E poi arriva il secondo tipo di risposte: “….è piuttosto l’abietto fallimento del mondo arabo, con le  sue società bloccate dove i dittatori si scontrano  con l’Islam politico, con la sua repressione, le sue deboli istituzioni, il suo  settarismo che preclude la pratica della cittadinanza partecipativa, le sue folli teorie di cospirazione, la sua incapacità di fornire impieghi o speranza ai giovani, quello che dà allo stato islamico la sua attrattiva.”

Trovo vari difetti in questo modo di presentare il problema: dovrebbe essere ovvio a qualsiasi commentatore obiettivo che entrambe le serie di argomenti sono intrecciate, e non possono essere separate tranne che per scopi polemici. Inoltre, i fallimenti del mondo arabo vengono rappresentati come  realtà  staccate che implicano che le eredità coloniali dell’Occidente sopportate dal mondo arabo, siano irrilevanti. Dobbiamo ricordare che subito dopo la I Guerra mondiale, quasi 100 anni fa, le potenze coloniali europee hanno effettivamente introdotto le loro ambizioni nazionali nel processo diplomatico che ha prodotto il Medio Oriente come lo conosciamo oggi. Queste mosse hanno indebolito la difesa da parte del presidente americano Woodrow Wilson dell’autodeterminazione per i popoli compreso l’Impero Ottomano crollato e anche le promesse di un paese unificato fatto per reclutare  l’appoggio arabo per la guerra contro la Germania e gli Ottomani.

Craig Stephen Hicks, 46, suspect Chapel Hill killer. Photograph: AP [A terrorist? No, he is white.]

Craig Stephen Hicks, 46, suspect Chapel Hill killer. Photograph: AP [A terrorist? No, he is white.]

Questi antecedenti storici hanno certamente contribuito all’autoritarismo della regione come unica base per sostenere un ordine coerente nelle comunità politiche artificiali con le quali la regione ha sperimentato la transizione all’indipendenza politica. E il settarismo di cui si lamenta Cohen è stato chiaramente scatenato dalla politica americana di occupazione in Iraq, e fornisce anche all’Arabia Saudita il modo più gradevole per giustificare l’ostilità verso l’Iran, deviando l’attenzione dalla corruzione e dalla crudeltà di genere  del suo dominio governo dinastico.

Non rilevare questa eredità del colonialismo ignora anche gli effetti della Dichiarazione Balfour che ha dato la benedizione imperiale del ministero degli Esteri britannico al progetto sionista della patria ebraica nella Palestina storica che è stata in seguito approvata dalla Lega delle Nazioni e dall’ONU. E’ discutibile quanto del tumulto e della violenza nella regione sia attribuibile alle ferite ancora aperte causate  dall’occupazione del popolo palestinese, ma fa certamente parte della triste storia regionale che si è svolta negli scorsi decenni.

Non sorprendentemente, Cohen trova “più persuasiva” la seconda serie di spiegazioni

E specialmente tali alla luce del “fallimento della Primavera Araba” che pensa sia in parte una conseguenza del rifiuto di Obama  di fare di più per promuovere e sostenere gli esiti democratici in Medio Oriente  per mezzo dell’intervento.  Piuttosto misteriosamente dà la colpa della tragedia siriana  al ‘non intervento’ americano, senza darsi la pena di considerare i prolungati disastri nazionali seguiti a tali interventi come quelli prolungati in Iraq e in Afghanistan, o quello più limitato, sotto gli auspici della NATO, in Libia. In ogni circostanza il periodo successivo all’intervento non è stata la democrazia, o la stabilità, ma il caos, il conflitto, e un peggioramento della sicurezza umana.

Cohen non si avventura mai a suggerire che alla luce delle eredità coloniali nella regione, favorite dalla brama di petrolio dell’Occidente, il riordinamento meno dannoso  che a questo punto si possa costruire è un autoritarismo  meno corrotto e più responsabile. Per quanto Saddam Hussein e Muamar Gheddafi possano essere stati carenti rispetto alla prospettiva dei diritti umani e della democrazia, hanno mantenuto l’ordine all’interno dei loro confini e i loro paesi ricevevano una valutazione      piuttosto alta dagli Indicatori dello Sviluppo Umano (HDI) dell’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). Se gli Stati Uniti devono essere rimproverati per la loro diplomazia nel passato recente, sembrerebbe molto più convincente ritenere responsabile l’Amministrazione Bush per la spirale  della politica nella regione piuttosto che puntare un dito critico contro Obama. Dopo tutto è stato durante la presidenza di Bush che una soluzione interventistica è stata legata alla ‘promozione della democrazia’ e per questo giustificata. Se ci concentriamo sull’alienazione della gioventù araba, questa sembrerebbe molto di più il risultato di questi interventi militari e politici che la conseguenza  della riluttanza di Obama a impegnare gli Stati Uniti ancora in un’altra guerra con un paese musulmano. In effetti, Obama può essere   biasimato per essere stato troppo rapido ad autorizzare gli attacchi con i droni e con altri tipi di aerei, allo stesso tempo perseguendo una diplomazia non fantasiosa che rimane la speranza migliore per ottenere una pace sostenibile nella regione.

La diagnosi di Cohen e l’assegnazione di responsabilità sono un’espressione indicativa delle mentalità liberale quando si occupa dei piani tra loro collegati dell’anti-terrorismo e della politica in Medio Oriente. I liberali minimizzano sia le responsabilità occidentali che quelle americane per quello che è andato male, nello spirito di Bernard Lewis [storico e orientalista britannico, n.d.t.) e far sembrare la relazione di parte degli  Stati Uniti rispetto a Israele, quasi irrilevante per i guai della regione, sottovalutando quindi gli alti costi della politica. Per esempio, molti osservatori esperti sono d’accordo sul fatto che la stabilità regionale sarebbe sensibilmente potenziata dall’istituzione di una zona priva di armi nucleari in Medio Oriente. Tuttavia tale opzione politica non è stata mai neanche presa in considerazione nei contesti diplomatici, apparentemente perché eserciterebbe troppa pressione su Israele per farlo rinunciare al suo arsenale di armamenti nucleari, che ha dato a Israele un monopolio sulle armi nucleari nella regione, e che insiste a conservare a tutti  i costi, compreso il rischii di una disastrosa guerra nucleare con l’Iran.

In questa fase non ci sono risposte facili riguardo all’assegnazione di responsabilità o a produrre spiegazioni casuali per le terribili realtà sopportate dalle popolazioni della regione. Molto chiaramente, non ci sono buonerisposte  militari ai vari disastri irrisolti nella regione, sebbene sia proprio lì  il tipo di ‘mentalità bellica’ che Cohen afferma  continui a piazzare le proprie scommesse.

Invece, affermerei che una diplomazia più fantasiosa e sensibile alla legge internazionale, rimane l’unica strada da percorrere. Un tale orientamento guarderebbe con favore l’attiva partecipazione dell’Iran, specialmente in relazione alla Siria e al possibile negoziato di una struttura regionale per la sicurezza. Presupporrebbe anche l’importanza di una giusta e  sostenibile risoluzione del conflitto israelo-palestinese che a sua volta dipende dall’adozione di un approccio normale da parte del governo degli Stati Uniti riguardo alla sua relazione con Israele. Fino a quando non si verificherà questo nuovo orientamentoda parte di coloro che a Washington decidono le politiche, la strada della minima resistenza è quella di impegnarsi  in una serie di guerre aeree, e prestare aiuto e conforto  in modo  distratto  alla brutale repressione di Sisi in Egitto e al  misto  sconcertante di  autocrazia e teocrazia in Arabia Saudita.

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Traduzione di Maria Chiara Starace.

Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Original: https://www.transcend.org/tms/2015/02/when-a-terrorist-not-a-terrorist/

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