(Italiano) Finirla con il monopolio maschile sulla pace: alle donne ci vogliono altri posti al tavolo

ORIGINAL LANGUAGES, 27 Nov 2017

Shaheen Chughtai | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

17 novembre 2017 – Che siano prese di mira da autori di violenza sessuale, oppresse da estremismi ideologici, o unicamente minacciate dal bombardamento di unità operative nelle maternità ospedaliere, le donne sopportano sovente l’impronta greve dei conflitti. Eppure, quando si tratta poi di negoziati di pace, troppo spesso le donne non hanno un posto al tavolo. La realtà perdurante che gli uomini, in particolare gli uomini in armi, godano di un ruolo pressoché esclusivo nei processi di pace non teme né la logica né l’evidenza.

Sono ormai 17 anni dacché fu adottata la risoluzione ONU 1325 – la prima risoluzione del Consiglio di Sicurezza a stabilire la cosiddetta agenda donne-pace-sicurezza, che mira a far valere i dirittti delle donne in guerra e i loro ruoli in stato di pace.

Prima del Dibattito Aperto su Pace e Sicurezza all’ONU, è ora di riflettere e tornare in ricognizione di quali promesse siano rimaste inadempiute, come pure di quale progresso si sia fatto – ci sono esempi di tutt’e due.

Ci sono stati alcuni segni positivi di avanzamento in quanto sette successive risoluzioni del consiglio di Sicurezza ONU hanno contribuito a rafforzare politiche e norme a livello mondiale nello scorso decennio. Quasi 70 paesi hanno piani d’azione nazionali per mettere in pratica i fini riguardanti donne-pace-sicurezza.

Quest’anno, i mandati rinnovati per il peacekeeping e l’imposizione della pace per il Sahara Occidentale, il Sudan e la Somalia comprendevano un nuovo linguaggio sull’importanza della partecipazione femminile. Si spera che tale tendenza continui con il rinnovo imminente del mandato di peacekeeping per il Sud Sudan.

E appena qualche settimana fa, il Congresso USA ha approvato la legge Donne-Pace-Sicurezza, che fra altri fini, rende politica USA promuovere la significativa partecipazione delle donne nei tentativi di affrontare i conflitti oltremare. Ma restano crepe cruciali – non minima, l’esclusione per routine delle donne dai processi di pace.

Perché questo ha importanza? Perché l’assenza di donne dai colloqui di pace vuol dire che i leader mondiali perdono occasioni di risparmiare innumerevoli vite e di stabilizzare un mondo sempre più fratturato.

L’analisi di vari conflitti e processi di pace nel mondo mostra che quando ci siano donne in grado di apportare prospettive ed esperienze cruciali della società civile e di comunità locali, aumentano notevolmente le chance di raggiungere e sostenere accordi di pace.

A livello mondiale, le donne hanno già ruoli cruciali nella risoluzione di dispute nelle proprie famiglie e comunità, e nell’identificare sfide e soluzioni influenti sulla coesione e stabilità sociali. Attingere a tale esperienza e perizia, una pace che riflette bisogni ed aspirazioni di tutta la popolazione, va a beneficio di tutti, maschi e femmine, ed è più probabile che duri.

Tale semplice logica dovrebbe indurre un mutamento di paradigma nella diplomazia internazionale per prevenire e risolvere i conflitti. Le guerre non solo costano e devastano vite. Si stima che il costo monetario totale della violenza e della conflittualità in tutto il mondo nel 2015 fosse 13,6 trilioni di dollari.

Ma invece si sentono pretestuosità. Ancor sempre, ad ogni occasione, membri chiave del Consiglio di Sicurezza ONU si attengono a strategie che non solo faticano a risolvere i conflitti ma offrono solo una vuota retorica sul sostegno alla partecipazione femminile. Parlano tutti a favore dei diritti delle donne e del loro ruolo nell’ambito della sala riunioni del Consiglio di Sicurezza ONU, ma nelle altre occasioni [anche] governi primari priorizzano di routine altri interessi quando si tratta di diplomazia internazionale. La fotografia di gruppo di prammatica dei delegati maschi a qualunque colloquio di pace importante sulla Siria o lo Yemen ci dà un’istantanea scoraggiante di quanta strada abbiamo ancora da fare.

Quando fu approvata la Risoluzione 2242 del Consiglio di Sicurezza ONU, che richiedeva all’ONU stessa di raddoppiare la propria rappresentanza femminile di polizia e riaffermava il sostegno alle donne nella società civile, ebbe un sostegno storico. Purtroppo, nel frattempo c’è state pochissima azione per sostanziarla.

Il dibattito annuale di venerdì p.v. del Consiglio di Sicurezza sarà un’opportunità per riflettere sui progressi e sulle sfide emersi dall’adozione della Risoluzione 2242 e affinché i membri rinnovino il proprio impegno per sostanziare le parole con le azioni.

Parecchie aree chiave della riforma ONU aiuterebbero anch’esse: migliorare il numero di donne in posizioni ONU dirigenziali, ivi comprese le missioni sui conflitti, rafforzare il potenziale di genere nelle missioni e nelle valutazioni di peacekeeping, e aumentare drasticamente finanziamento e altro sostegno alle organizzazioni locali di donne.

Trattare queste specificità indicherà un progresso, ma soprattutto abbiamo bisogno di un mutamento radicale di mentalità e priorità per accelerare il progresso, con sostegno alla quantità e qualità del coinvolgimento delle donne nei processi di pace e di decisione politica quale obiettivo chiave.

In un mondo apparentemente che si logora in crescenti divisioni, con conflitti in aumento e numeri record di sfollati forzati, l’incessante monopolio maschile nella risoluzione e prevenzione dei conflitti non è solo anacronistico – è un pericolo per tutti noi.

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Shaheen Chugtai dirige la Politica di pace e sicurezza di Oxfam’s Global Women

Titolo originale: Ending the Male Monopoly on Peace: Women Still Need More Seats at the TableTRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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