(Italiano) Ambiente e Guerra

ORIGINAL LANGUAGES, 27 Feb 2023

Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

Guerra all’ambiente

– Nei mesi scorsi mi sono lasciata prendere dal desiderio di condividere con dei giovani alcune emozioni e riflessioni, sul tema ambiente e guerra, che provo di fronte a immagini e ai discorsi bellici che ormai da un anno accompagnano le nostre giornate, mescolandosi alle pubblicità, alle cronache cittadine, ai dibattiti politici.

Ho provato a selezionare alcune foto dell’attuale guerra in corso nel cuore dell’Europa: l’immagine di un carro armato Leopard, un elicottero in mezzo a una esplosione, un avviso che segnala zone minate nei pressi di Bakhmut nel Donetsk.

Poi ho provato a ‘vedere’ quello che nelle immagini non c’era: il suolo fertile della campagna ucraina distrutto dai cingolati; gli abitanti dei boschi intossicati dai fumi densi dell’incendio; piedi di bambini – domani o magari dopo decenni – straziati dalle mine nascoste nel 2023. Vite ferite e uccise dalla guerra.

Dunque, non si può dire che le foto sono bugiarde; tuttavia non possono mettere a fuoco gli aspetti più tragici della realtà: le molteplici forme di morte di cui i soggetti inquadrati sono portatori.

Sulle linee dei fronti i carri armati, oltre a distruggere il suolo prezioso e impedire le prossime semine, uccidono migliaia di giovani vite di cui non sappiamo nulla, trascinate in questo conflitto da chissà quali villaggi e città.

I livelli di inquinamento causati da bombardamenti ed esplosioni stanno avvelenando aria e acqua, rendendo impossibile la vita non solo alle comunità umane, ma a interi ecosistemi acquatici e terrestri.

Le mine, come documentano migliaia di reports, sono destinate a lasciare scie di morte nel tempo, nei decenni a venire. La presenza di mine inesplose ancor oggi va vittime, e rende impraticabile l’agricoltura in vaste aree del Sud-Est asiatico, tanti decenni dopo la fine della guerra del Vietnam.

Quando parliamo di ‘ambiente’ e guerra dovremmo dunque imparare a coglierne il drammatico significato: la guerra devasta, uccide, distrugge, spesso in modo irreversibile, la delicata interconnessione di vite umane e non umane: gli ecosistemi che ospitano la nostra Terra. Di questo vorrei parlare con i giovani, andando nelle scuole e nelle classi… Con ogni nostra forza dovremmo opporci alla guerra in tutte le sue espressioni: dalla sua ideazione, alla preparazione, all’esecuzione…

Narrazioni di morte?

Per coinvolgere dei giovani sul tema ‘ambiente e guerra’ si potrebbero proporre diverse ‘narrazioni’.

Il ‘racconto’ delle radioattività

Per esempio, raccontare la storia della Terra dal punto di vista della radioattività potrebbe essere un modo efficace per denunciare le violenze esercitate su persone e viventi nell’ultimo secolo nella sperimentazione (militare e non solo) dell’energia nucleare.  Dai danni causati alla salute delle comunità che vivevano nei pressi di miniere di uranio, e dei lavoratori impiegati negli scavi, fino ai depositi di scorie radioattive temporaneamente conservati presso le centrali atomiche dismesse e in quelle attive, la filiera nucleare è segnata dal lutto. Il lutto caratterizza ancora oggi la condizione delle popolazioni native di luoghi che sono stati scelti per realizzare esplosioni sperimentali negli anni ’80 del Novecento, e che non hanno mai potuto tornare alle loro isole.

Le scorie radioattive prodotte nel breve tempo di due-tre generazioni umane rappresentano un fardello e una potenziale minaccia che si estende fino all’eternità. Sono presenti in tutto il mondo, in attesa di essere collocate in luoghi sicuri che attualmente non esistono. Il primo deposito del mondo con queste caratteristiche, e ancora in fase di costruzione, è il deposito geologico di Onkalo, costruito in Finlandia nei presso della centrale nucleare di Olkiluoto.

La radioattività è tuttora causa di morte per gruppi umani che hanno avuto la sventura di essere coinvolti in guerre in cui furono usate munizioni a ‘uranio impoverito’: un metallo pesante utilizzato principalmente nella fabbricazione di armi e munizioni. Sottoprodotto della produzione di U 235, ha altissima densità e effetto distruttivo e tossico.  Introdotto nella prima guerra del Golfo, poi in Bosnia ed Erzegovina, nella guerra del Kosovo, in Somalia, in Afganisthan, in esercitazioni navali lungo tutto il Mediterraneo, nelle Missioni di Pace ecc… è stato usato anche nei poligoni di tiro della Sardegna, dove i soldati sono stati addestrati con tali armi.

L’incubo della radioattività è doppiamente presente durante questa guerra insensata: da un lato le minacce dei belligeranti di far uso di armi nucleari, dall’altro i rischi di incidenti intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia non vengono presi nella dovuta considerazione, e rendono inefficaci gli sforzi di mediazione. Eppure sono ben note le conseguenze che avrebbe una esplosione nucleare – causata da ordigno bellico oppure da un incidente in un impianto civile. NUKEMAP è un programma informatico che permette di simulare un’esplosione nucleare modificando vari parametri, e fornisce informazioni sugli effetti a breve (esplosione, calore, radiazioni) e a lungo termine (contaminazione da ricadute, effetti climatici…)

Le violenze delle attività estrattive

Un altro modo, complementare a questo, per raccontare e denunciare gli effetti perversi delle guerre e delle violenze sull’ambiente è quello di mettere in luce le storie delle attività ‘estrattive’, da secoli cause di conflitti, attualmente in drammatica crescita.  In tutto il mondo le estrazioni di minerali e di combustibili fossili hanno appiattito montagne, scavato canyons, spazzato vie intere colline e aree costiere, cambiato il corso di fiumi, avvelenato aria e acqua con veleni chimici di ogni tipo, provocato innumerevoli danni sanitari e ambientali.

A livello globale il ritmo di estrazione delle risorse naturali continua a crescere, mentre le riserve si vanno drammaticamente riducendo: in parallelo aumentano i conflitti, che anche quando non hanno le caratteristiche di guerre internazionali, provocano opposizioni che a seconda dei luoghi e delle circostanze assumono caratteri di manifestazioni locali, di proteste nonviolente oppure sfociano in violente repressioni o scontri armati.

Molto efficacemente un sito disponibile su web documenta la presenza di migliaia di conflitti in tutto il mondo, causati da squilibri di potere per la detenzione e l’uso di risorse: è EJATLAS, la Mappa globale per la giustizia ambientale, che segnala più di 3.800 casi di conflitti legati all’uso delle risorse (miniere, acqua, terra, impianti industriali ecc.), prodotto dal paziente lavoro di ricerca di un gruppo di studiosi guidati da Joan Martinez-Alier.  Seguendo le storie delle attività estrattive emerge uno degli aspetti più perversi delle guerre attuali: esse sono strumento di oppressione violenta di popolazioni umane e di sottrazione di risorse indispensabili alla sopravvivenza, e sono causa di degrado ambientale e migrazioni forzate delle popolazioni colpite.

Il peso del militarismo

Un percorso intrapreso solo da pochi anni per affrontare la relazione ‘ambiente e guerra’ è quello di riflettere più in generale sul problema del militarismo, e su come la presenza di un settore della società (diventato sempre più ampio) caratterizzato dalla scelta delle armi e della guerra come modalità per affrontare i conflitti  abbia influito negativamente sulla vita e la salvaguardia dell’ambiente e degli altri viventi.

Il militarismo è così profondamente radicato nelle nostre società, che spesso certi privilegi di cui gode l’apparato militare vengono dati per scontati. Uno particolarmente vistoso è l’esenzione dal dovere di rendicontare i propri consumi di gas a effetto serra, e di non essere tenuto a mettere in atto pratiche virtuose di risparmio energetico. Da qualche anno però alcune associazioni indipendenti stanno mettendo in discussione questa posizione: chiedono che i militari si assumano le loro responsabilità rispetto ai cambiamenti climatici, e svolgono ricerche i cui risultati mostrano la gravità del loro impatto ambientale.

Due Associazioni – SGR – Scientists for Global Responsibility e CEOBS – Conflict and Environment Observatory – sono impegnate nel programma militaryemissions.org, allo scopo di mettere insieme tutti i dati che gli stati forniscono sulle loro emissioni militari di gas serra, in vista di renderne obbligatoria la dichiarazione. La lettura dei Reports di queste Associazioni aiuta il pubblico a capire l’estensione e la pervasività della presenza del mondo militare nella vita dei Paesi, del peso che esercita nel bilancio delle Nazioni (si pensi a quanta parte del PIL viene destinata alle spese militari), e dell’influenza che esso esercita nell’opinione pubblica e del mondo dell’educazione, proponendo l’uso delle armi nelle situazioni di conflitto.

Dai dati parziali fin qui raccolti risulta che l’impronta ecologica del settore militare è circa il 5% delle emissioni mondiali globali. Se fosse una nazione, avrebbe la 4° impronta ecologica del mondo, maggiore di quella della Russia.

L’enorme flusso di armi che alimenta le situazioni di guerra non porta solo alla distruzione di persone, luoghi e altri viventi: contribuisce ai processi estrattivi mondiali, e produce sostanze inquinanti che contribuiscono allo squilibrio climatico.

La guerra e il clima

Torno alle immagini presentate all’inizio: esse non documentano direttamente la distruzione delle vite, eppure sotto i cingoli, nel fumo, nelle mine è nascosta la morte. Parlando di guerra con i giovani, con gli studenti, sarebbe utile tenere insieme tutti gli aspetti: la violenza sull’ ambiente, le uccisioni dirette di persone, ma anche le attività climalteranti della macchina della guerra – dalla sottrazione di risorse minerali ed energetiche per costruire le armi, alle catene di produzione, ai test nei poligoni di tiro, alle attività belliche in campo, alla produzione di scorie e materiali tossici.

Intervenendo a un recente dibattito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha evidenziato «Le drammatiche implicazioni dell’innalzamento del livello del mare sulla pace e la sicurezza globali.  I mari in aumento stanno affondando i futuri».

Recenti simulazioni degli effetti di un possibile incremento dei processi di assottigliamento delle calotte polari ci presentano una visione del nostro pianeta profondamente diversa da come la conosciamo: se si verificasse una totale fusione, il livello dei mari salirebbe di parecchie decine di metri. Intere nazioni si troverebbero sott’acqua, e ampie zone continentali sarebbero soggette a desertificazione. I territori in cui adesso infuria la guerra tra Russia e Ucraina sarebbero in parte allagati, mettendo in luce – ancora di più – l’insensatezza dell’attuale agire umano.Ambiente e guerra

Limiti, complessità e tipping points

Da millenni gruppi di potere conducono guerre per conquistare risorse: risorse minerarie, foreste, fonti di acqua, terreni fertili… In un periodo storico come questo, in cui i cambiamenti climatici indotti dalle attività umane stanno trasformando l’intero pianeta, è arrivato il tempo di prendere coscienza dei limiti: il nostro pianeta ha risorse finite, e non può sopportare il peso di un continuo aumento di consumi e di pretese: cibo, energia, aria pulita, acqua potabile non sono illimitate.

Le risorse, da un lato devono essere salvaguardate e protette contro l’ulteriore degrado (la guerra, appunto), dall’altro devono essere distribuite in modo equo, secondo giustizia. Ecco un punto cruciale su cui agire per fermare le guerre: riparare le ingiustizie, ridurre le disuguaglianze, proteggere i beni comuni a beneficio dell’intera umanità. La fusione dei ghiacci polari è solo uno degli eventi che potrebbero verificarsi in conseguenza alle perturbazioni prodotte dall’agire umano.

Transizioni non lineari in cui un piccolo cambiamento può fare una grande differenza sono stati descritti come ‘tipping points’, o punti di ‘non ritorno’: in situazioni critiche (“soglie”) dei piccoli cambiamenti a carico dei diversi sistemi ambientali possono portare a grandi ed irreversibili cambiamenti nei sistemi stessi. In questo periodo si stanno sviluppando alcuni processi naturali globali, che diversi studiosi avevano previsto già parecchi decenni fa come possibili manifestazioni di ‘tipping points’: scioglimento accelerato del permafrost (terreno permanentemente gelato presente nelle zone polari), morte dei coralli, rallentamento delle correnti oceaniche.

Il piccolo cambiamento che innesca grandi trasformazioni può essere un leggero aumento della temperatura media terrestre (come sta avvenendo con i ghiacciai). Ma le perturbazioni associate alla filiera delle guerre (dall’estrazione di risorse, ai consumi energetici, alla devastazione dei territori) possono contribuire anche altri punti di ‘non ritorno’ : secondo molti scienziati ci stiamo avvicinando pericolosamente.

Questa consapevolezza dovrebbe rendere obbligatorio mettere in atto ogni possibile strategia per abolire le guerre e per eliminare le armi dal nostro pianeta.

 Narrazioni di vita

Torno al mio desiderio di conversare con dei giovani su ‘guerra e ambiente’.  Le situazioni da cui prendere spunto sono innumerevoli.  Quelle cui ho accennato nelle pagine precedenti sono storie di violenza, denunce di sopraffazioni, testimonianze di degrado; sono anche appelli ad abbandonare l’idea che la guerra possa in qualche modo portare a esiti positivi. Ma i giovani, che non hanno il carico di responsabilità delle generazioni più anziane, che non hanno potere, che cosa possono fare di fronte a un quadro così disperante? con quali strumenti, con quali idee e azioni possono contrastare la guerra e le sue tragiche implicazioni?

È proprio l’ambiente – allora – a offrire qualche spunto positivo: mentre infuria la guerra, c’è un incessante lavorio per la pace: la protezione dei territori, il ripristino dei luoghi avvelenati, l’allestimento di orti urbani, l’aumento delle coltivazioni organiche. Invece di concentrare l’attenzione sugli scontri ai confini, si può cercare di conoscere di più questo grande Paese: scoprirne le caratteristiche fisiche e geologiche, visitarne grazie al web i luoghi più belli: dai boschi alpini dei Carpazi, alle steppe e alle aree umide nelle zone dei laghi.  Stabilire relazioni amichevoli con i giovani che – nonostante la guerra – vanno a scuola, studiano all’università, contribuiscono alla vita quotidiana delle loro famiglie , e avviare con loro delle corrispondenze per conoscere meglio la loro lingua, le loro difficoltà, i sogni.

Questo dovrebbero favorire gli adulti: oltre a sviluppare la consapevolezza della insensatezza e della distruttività della guerra, sarebbe importante promuovere reti di relazioni amichevoli tra i giovani, tra Italia e Ucraina e non solo.  Per progettare insieme dei momenti futuri di incontro, e intanto sostenere e condividere azioni di  protezione e di cura – verso le persone e verso tutti i viventi.

Una interessante cartina geografica dell’Ucraina, pubblicata da Limes, può essere lo spunto per conoscere meglio questo Paese, e per avviare una ricerca sui suoi luoghi più belli (Parchi, montagne, fiumi, riserve ornitologiche) e sulle sue ricchezze geologiche, la cui varietà è ben illustrata in questa mappa.

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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.

 

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