(Italian) Religioni, Spiritualità e Crisi Ecologica

ORIGINAL LANGUAGES, 3 Oct 2011

Prof. Nanni Salio – Centro Studi Sereno Regis

Le radici della nostra crisi ecologica affondano lontano nel tempo. Molti allarmi sono stati lanciati da numerosi autori (scienziati, filosofi, ecologisti) nel corso degli anni, ma ben presto dimenticati e passati sotto silenzio.

Se si prova a chiedere quale sia la percezione della crisi, si hanno le risposte più diverse, ma poche sono quelle che ne colgono l’essenza. La maggior parte delle persone si sofferma su aspetti secondari e non riesce a scorgere la drammaticità e problematicità del momento che l’umanità sta vivendo.

Uno degli studi più importanti fu pubblicato nel 1972 dal Club di Roma con il titolo “I limiti della crescita”, tradotto malamente in italiano in: “I limiti dello sviluppo” (Mondadori, Milano 1972). Gli autori prevedevano che nei primi decenni del XXI secolo si sarebbe verificata una crisi globale innescata dalla continua crescita economica non compatibile con i limiti dell’ecosistema terrestre. Il sistema economico dominante reagì con asprezza criticando le conclusioni di questo studio e ignorandole.

Dopo quarant’anni, trascorsi nel delirio della crescita illimitata, ci troviamo nel pieno di una crisi sistemica: climatico-ambientale, energetica, economico-finanziaria, sociale-esistenziale, alimentare.

Ma prima ancora degli studi di carattere tecno-scientifico, fu Gandhi a mettere in evidenza, in un famoso pamphlet del 1909, Hind Swaraj (riproposto un secolo dopo con il titolo: Vi spiego i mali della civiltà moderna. Hind Swaraj, Gandhi Edizioni, Pisa 2009) che “questa civiltà è tale che con un po’ di pazienza si distruggerà da sola.” Per Gandhi, la nostra civiltà (e a maggior ragione anche le scelte compiute oggi dai governanti dell’India) è immorale e ha smarrito il senso autentico dello scopo di vivere, il dharma. Secondo questa opinione, si tratterebbe dunque di una profonda crisi spirituale e religiosa. Mezzo secolo dopo, Lynn White Jr. pubblicò un breve saggio su “Le radici storico-culturali della nostra crisi ecologica” (1967, Science 155, traduzione italiana: Il Mulino, marzo-aprile 1973) nel quale confermò l’analisi svolta da Gandhi individuando tre principali radici: una metodologica dovuta al riduttivismo scientifico-culturale; una antropologica caratterizzata dall’idea di dominio degli esseri umani sulla natura e la perdita del suo carattere di sacralità; e infine una economica basata sull’illusione della crescita illimitata.

Lasciando momentaneamente da parte l’aspetto della crisi antropologica, tutt’altro che secondaria, concentriamoci sugli aspetti più strettamente di ecologica economica, cominciando da un famoso modello interpretativo.

Impatto ambientale, sostenibilità e impronta ecologica

Nel 1973, Barry Commoner, Paul Ehlrich e John Holdren proposero un modello a tre variabili: I = P x A x T, noto come modello IPAT, per tentare di analizzare i problemi ambientali globali. Non sono semplici moltiplicazioni, ma relazioni non lineari che non conosciamo in modo rigoroso: I è l’impatto ambientale, P la popolazione, A sta per affluence e corrisponde al livello di consumi e di benessere pro capite e T è il fattore tecnologico. Si capisce immediatamente che al crescere di P e di A aumenta l’impatto. Il fattore tecnologico T può mitigare tale impatto, se si utilizzano tecnologie più efficienti.

L’impatto può essere valutato mediante specifici indicatori ambientali. Uno dei più importanti è l’impronta ecologica, definita come “uno strumento di calcolo che ci permette di stimare il consumo di risorse e la richiesta di assimilazione di rifiuti da parte di una determinata popolazione umana o di una certa economia e di esprimere queste grandezze in termini di superficie di territorio produttivo corrispondente” (Mathis Wackernagel e William E. Rees, L’impronta ecologica, Edizioni Ambiente, Milano 2000, pag.3). Si stima che l’attuale impronta ecologica totale dell’umanità superi di almeno il 20% quella realmente disponibile: l’impronta pro capite media mondiale è di 2,2 ettari e quella disponibile di soli 1,8 ettari. Stiamo quindi intaccando il capitale naturale non rinnovabile e stando alle previsioni questa tendenza potrebbe culminare nel 2050 con un’impronta che supererà di quattro volte quella totalmente disponibile. In altre parole, a quella data occorrerebbero quattro pianeti per far fronte alle esigenze dell’umanità.

Un secondo indicatore importante è la quantità d CO2 emessa in seguito alle attività antropiche, che ha alterato la composizione chimica dell’atmosfera. Dall’inizio della rivoluzione industriale si è passati da 280 ppm (parti per milione) di CO2 in atmosfera a 360 ppm. Gran parte di queste emissioni sono state prodotte, in passato, dai paesi ricchi e ancora oggi gli USA emettono circa 20 tonnellate pro capite all’anno, contro una media che, per essere sostenibile, non dovrebbe superare 1 tonnellata/anno.

Un terzo indicatore è la disponibilità energetica pro capite. Il metabolismo di ciascun essere umano richiede una potenza energetica di circa 100 watt, come quella di una normale lampadina mantenuta sempre accesa. La rivoluzione industriale ha messo a disposizione di ciascuno di noi una potenza ben maggiore attraverso l’uso intensivo di combustibili fossili, in particolare petrolio.

Un cittadino statunitense dispone di una potenza che è 100 volte il suo metabolismo. Nelle economie di sussistenza raramente la potenza pro capite raggiunge il valore di 1 kW, pari a dieci volte il metabolismo.

Impronta ecologica

Emissioni di CO2

Potenza pro capite

(in ettari pro capite) (in tonnellate pro capite) in kW
USA 10 20 10
UE 4,5 9 6
Italia 3,8 8,1 05/06/11
Cina 1,8 4,6 1,5
India 0,7 1 0,7
Mondo 2,2 3,6 2
disponibile 1,8 ottimale 1 ottimale 1

Un quarto indicatore, infine, è quello della distribuzione della ricchezza. Il reddito pro capite è estremamente diverso da paese a paese e tra il quintile più ricco e quello più povero la disparità è di circa 60 volte, ma giunge sino a 150 volte se si prendono le fasce più ricche e quelle più povere all’interno dei due quintili, come si vede dal grafico seguente, elaborato dalle Nazioni Unite.

Distribuzione della ricchezza su scala mondiale (popolazione mondiale divisa in cinque parti uguali):

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 Prof. Nanni Salio è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente.

 

This article originally appeared on Transcend Media Service (TMS) on 3 Oct 2011.

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