(Italian) Non Molta Pace? Anche Colpa Dei Mediatori

ORIGINAL LANGUAGES, 30 Jul 2012

Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Non è così difficile argomentare contro la guerra e il militarismo, contro le sofferenze durante le guerre che possono anche essere inflitte a se stessi, e contro la dottrina per cui la soluzione durevole ai conflitti è la vittoria militare. Siate forti, scoraggiate gli avversari, vincete; dettare la pace non convince. Né è così difficile sostenere che risolvere il conflitto sottostante sia un approccio migliore: affrontando l’antagonista verbalmente, in dialogo con o senza mediazione, in una ricerca congiunta di una soluzione accettabile e sostenibile. Una vittoria militare non fornisce né una cosa né l’altra.

Più difficile è sostenere la significatività della riconciliazione, rimuovere, rimarginare le ferite del passato, per un futuro insieme; il solo futuro è in un mondo che va globalizzandosi. Ci sono tante ferite. Una di esse è il trauma di aver traumatizzato altri, con la paura intensa che un giorno arrivi la vendetta. Un trauma irriconciliato causa non solo stress ma porta a disordini mentali in ambo le parti. C’è paura di richieste di compensazioni; inoltre, come per i conflitti qualcuno può volere nessuna soluzione, trasformando il conflitto e il trauma in aggressione.

Più difficile è sostenere una pace positiva: cooperazione per vantaggi reciproci e uguali e armonia, consonanza emotiva. Facile da spiegare, con esempi, difficile da rendere attraente, anche irresistibile, tanto da considerarsi come la sicurezza – nessuna minaccia di violenza – obiettivi fondamentali.

Gli studi per la pace non sono soli in questa difficile situazione. Gli studi sulla sanità si concentrano molto più sull’assenza di malattia che sulla presenza di salute positiva, con solo vaghi sforzi per configurarla esplicitamente. Come la psicologia: profusa sui disordini mentali, ma tuttora carente sull’assetto psicologico positivo.

Si possono individuare quattro spiegazioni, non giustificazioni.

La tendenza in Occidente a focalizzarsi più su ciò che è sbagliato che sul giusto; sui divieti piuttosto che sugli incoraggiamenti; su norme che promettano punizioni piuttosto che ricompense; sugli atti sbagliati piuttosto che su quelli buoni. Altrettanto vale per la pace, la sanità, la salute mentale. Il modello è il crimine.

Stando così le cose, c’è più consenso e disponibilità ad agire su ciò che non va piuttosto che su ciò che va; o così si crede. Il movimento per la pace durante la guerra fredda: erano importanti le grosse dimostrazioni. Il NO alle armi nucleari unisce; come immaginiamo possa essere la pace, divide.

C’è anche l’idea di “liberarsi del male-inadeguato-sbagliato, e il sacro-valido-giusto è già qui, ci giunge in modo naturale, è tutto in noi”. Allora basta togliere gli impedimenti, la devianza e i devianti.

E poi l’idea che la libertà sia assenza di bisogno, di paura e di altri elementi negativi, e inoltre la libera scelta degli elementi positivi, anziché trovarseli addosso come una camicia di forza.

C’è un po’ di verità in tutte e quattro le spiegazioni. Ma ciò non esclude visioni – non imposizioni – generali che irradino dimensioni, esempi, che socchiudano l’accesso ai sogni e alla creatività. Alla domanda “che genere di persona ti piacerebbe essere fra cinque, dieci anni” e di fronte alla risposta “ricco”, chiedersi come?, i rapporti con la famiglia?, con gli altri?, e la gioia di essere vivo, parte della Creazione?, non è imporre una camicia di forza bensì un modo di aprire gli occhi. Quando si viene dimessi da un ospedale dopo un’operazione riuscita ha molto senso chiedersi “come farò uso di questa nuova opportunità?”. O il carcerato uscito dalla prigione, che ha riacquisito la libertà, si chiede come farne l’uso migliore. Un grande vuoto di nuove cose buone può riempirsi facilmente di vecchie cose cattive. Non una risposta dogmatica ma un locale con varie proposte, lasciando il menù finale da decidere. Altrimenti lo deciderà qualcun altro. Vedi la Siria.

Due linee guida positive generali sono l’equità-parità, e la consonanza.

Mediare matrimoni vuol dire passare dall’attribuirsi colpe reciproche all’attenzione su come sono dei buoni matrimoni. Da Israele e Palestina che s’incolpano a vicenda a come potrebbe essere un Medio Oriente di pace. Molti credono che chi è in grado di accumulare più accuse verificate all’altro vinca il futuro avendo ragione sul passato; che correggendo i torti il futuro sia lì a portata! Ma così si colloca la pace nel passato, che è pur quello che ha prodotto quei torti avvenuti. Deve cambiare qualcosa.

Se le parti esplorano, dapprima separatamente e solo in seguito congiuntamente, un futuro positivo e creativo da costruire insieme, sotto la guida dell’equità e della consonanza, si è già a metà strada, forse oltre. Ma a questo punto intervengono le proprie limitazioni. Quanto siamo bravi noi stessi come coniugi? E il nostro paese nel perseguire con simpatia vantaggi reciproci e uguali coi vicini?

Ecco che ora emerge il quinto e peggiore ostacolo: per un buon matrimonio, come per qualunque buon rapporto, bisogna darsi da fare. Un modo per evitare questa sfida è ignorarla. Approfondire non solo i propri problemi ma anche quelli del proprio partner e risolverli come fossero i propri sembra raddoppiare il compito dell’esistenza al mondo; e così vale per le relazioni tra gli stati. Può essere utile mantenere alti i vantaggi reciproci. Aiuta e sarai aiutato a tua volta! Ma non ho nessun bisogno d’aiuto! Non oggi, ma ti può colpire una disgrazia. Arriverà la vecchiaia. Ti aspetti davvero di ricevere attenzione se non l’hai praticata a tua volta? Assumiti il compito extra della tripla unione, sesso nella parità, amore reciproco, progetti congiunti – non solo per venirne ampiamente ricompensato, ma perché sono elementi buoni in sé.

Perché la pace positiva è così problematica? Perché bisogna impegnarsi, qui e ora. Economicamente, per equiparare i numerosi effetti laterali, non solo per stabilire il giusto prezzo. In termini di sicurezza militare per identificare i conflitti, e le loro soluzioni con mezzi pacifici. Politicamente per negoziare con tutte le carte in tavola, senza forzature o ricatti. Culturalmente per dialogare, con l’obiettivo del mutuo apprendimento. Molto lavoro, ma non impossibile.

Invece spesso ereditiamo acriticamente cattive abitudini dal matrimonio dei nostri genitori e dalla storia dei nostri paesi. E, salvo che siano patentemente nel torto, non vogliamo sconfessare né i nostri genitori né noi stessi.

E poi, un sesto punto: la guerra può non andar bene, ma un’alternativa può essere non giusta o sbagliata ma giusta e sbagliata; yin/yang? Una mappa migliore della realtà? Alternative, al plurale? Metterle alla prova in varie parti del paese o una dopo l’altra finché emergono i lati oscuri, per poi passare dall’una all’altra. Forse si tratta di fare quel che viene in modo naturale, non attaccandosi a una sola soluzione.

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis.

Titolo originale: Not Much Peace? Also the Mediators’ Fault

Go to Original – serenoregis.org

 

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