(Italiano) Pace in Colombia?

ORIGINAL LANGUAGES, 2 Dec 2013

Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Bogotá, Direcccion de Inteligencia Policial, Ministerio de Defensa

Signori Generali, Colonnelli, Partecipanti alla Conferenza,

Nel giugno 1998 l’ufficio di gabinetto del vostro Presidente voleva proposte per la pace, e io offrii educazione alla pace, giornalismo di pace e la luce guida etico-morale, i diritti umani, un insieme coerente di diritti civili, politici, socio-economici, culturali. Su questi ultimi la Colombia è carente, con flagranti ingiustizie e una cultura profonda di violenza.

In questa conferenza si sta usando una parola molto controproducente: post-conflitto, invece di post-violenza. Non confondetele: la violenza significa fare del male, nuocere; i conflitti sono obiettivi incompatibili. Un conflitto può condurre a frustrazione-aggressione-violenza, ma la maturità personale e sociale porta a costruire ponti tra gli obiettivi, verso una soluzione al conflitto. “Post-conflitto” suona come se tutto fosse risolto con la fine della violenza, senza la consapevolezza di dover ridurre la diseguaglianza flagrante, e procedere verso l’armonia attraverso l’empatia, la riconciliazione dei traumi, e la capacità di risoluzione ricorrente dei conflitti.

Prognosi: la violenza ritorna, con una vendetta. Come in Colombia.

Negli anni 1960 ebbero luogo grosse insurrezioni in molte parti del mondo. Ci fu la rivoluzione culturale anti-confuciana in Cina per i diritti delle donne, dei giovani e delle persone prive di istruzione, e della Cina occidentale; l’insurrezione dei naxaliti in India, tribali di casta infima e fuori casta contro le svendite alle multinazionali; i Khmer Rossi contro i vietnamiti a Phnom Penh, in opposizione ai francesi abituati a colonizzare la Cambogia, e contro lo sfruttamento dei contadini senza terra da parte della capitale. Tutte e tre contro millenni di dura violenza strutturale.

Come pure in Nepal con i maoisti in lotta contro enormi ingiustizie legate alla casta e alla nazionalità; come nelle Filippine, fra classi ma anche con i Moros contro i cristiani; e in Sri Lanka, non fra classi ma fra nazioni, tamil contro singalesi.

E in America Latina, fra classi, a livello interno e imperiale – cominciando con Cuba – in Colombia come FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e ELN (Ejército de Liberación Nacional) contro il complesso latifondista (i poderes fácticos)-militare-clericale e l’ alleanza militare USA-Colombia.

Che cosa fu ottenuto da quelle rivolte da zeitgeist in sei paesi dell’Asia?

Solo un paese, la Cina, beneficiò della risoluzione del conflitto; gli altri, sotto intensa pressione occidentale, patirono il trattamento post-conflittuale. La Rivoluzione Culturale fu denunciata all’estero e in Cina; eppure oggi ci sono donne, giovani e persone istruite in ogni dove in Cina e la Cina occidentale sta fiorendo. Si stanno facendo alcuni passi nella stessa direzione in Cambogia.

Negli altri cinque paesi: status quo. Furono abbozzate costituzioni democratiche con una supervisione esterna e l’entrata degli USA nello stadio post-democratico, e con legislatori facilmente corruttibili che rendono conto alle banche e al mondo degli affari anziché alla gente. Il vero punto focale era il ristabilire il monopolio governativo sull’esercito mediante la formula DDR: Dissoluzione Disarmo Reintegrazione;  in India e Sri Lanka mediante assassinii di massa, nelle Filippine con conferenze ripetutamente convocate e sospese, in Nepal con una diffusa corruzione da post-democrazia.

Sarebbe stato meglio mandare mediatori che potessero facilitare centinaia, migliaia di dialoghi locali fra i contendenti in mutua ricerca di soluzioni invece che inviare osservatori per monitorare la tregua. Le tregue senza visioni di soluzioni vogliono dire riposo-riordino dei combattenti, contrabbando d’armi, rischieramento.

Mettere in pratica delle visioni sarebbe preferibile che aspettare la fine della violenza; meglio che un unico grande accordo per l’intero paese sarebbero molti piccoli accordi su scala locale, imparando e servendosene come modelli; e i fatti concreti sarebbero a loro volta da preferire agli accordi verbali: menos pactos, mas hechos [meno patti, più fatti]. Ma l’opzione migliore sarebbe sia- l’uno-sia l’altro.

E meglio di tutti: colloqui diretti dei senza terra con i proprietari terrieri, dei moros con i cristiani, dei lavoratori con i capitalisti – facilitati dal governo. Ma, prudenza: il governo ha molte teste, una squadra all’Avana [dove sono in corso i negoziati, ndt] è solo orecchie e bocca, i cervelli sono a Bogotá. Il potere legislativo può votare No; il potere esecutivo può dare ai militari luce verde per la vittoria piuttosto che il compromesso, con un colpo di mano, se necessario; il potere giudiziario può dichiarare incostituzionale un accordo e usare le prigioni anziché le battaglie. Malgrado ciò, con la fine dichiarata della dottrina Monroe, l’intervento USA è escluso.

La prognosi per la Colombia “post-conflitto” è fosca. Però, usando i sei punti dell’agenda all’ Avana, come si configurerebbe una terapia di pace?

[1] Sviluppo AgricoloIntegrale. Usarlo per ridurre l’ineguaglianza sollevando i ceti bassi, facendo crescere l’economia con la loro partecipazione. Cominciare dai più poveri nelle comunità più povere, dare loro micro-credito per cooperative orientate ai bisogni fondamentali con punti vendita che impieghino i più miserabili per la dignità, non per l’efficienza, sostenendo un’agricoltura ad alta intensità di manodopera, tri-dimensionale, con aquacoltura, non appezzamenti privati piccoli e isolati. Includere abbigliamento, abitazioni, policlinici e scuole con materiali locali, farmaci generici, personale medico che ne sappia abbastanza da curare le malattie più comuni, passando le altre a specialisti; via elicottero.

[2] La partecipazione politica è un diritto umano, non una pedina negoziale in cambio della deposizione delle armi (“Colombia Moves Closer to Peace With FARC” [La Colombia s’avvicina alla pace con le FARC] Washington Post, 11.11.13). Meglio un canale TV e un partito politico FARC che 50 anni di uccisioni reciproche e un campo di battaglia. Meglio i diritti umani.

[3] Narcotraffico – usato anche per la giustizia sociale; in 40.000 hanno partecipato al funerale del re narco Pablo Escobar – richiede cooperazione e corresponsabilità per ridurre l’offerta colombiana e la domanda USA, con ambedue che rendano conto all’OAS (Organization of American States).

[4] Porre fine al conflitto mediante DDR [Dissoluzione, Disarmo, Reintegrazione]. Ma facendolo simmetricamente, riducendo la componente anti-gueriglia nell’esercito. Decriminalizzare: sono stati commessi crimini da tutte le fazioni, guerriglia, para-militari, militari. La Colombia beneficerebbe di più dichiarando un Nuovo Inizio con un’amnistia generale.

[5] Le Vittime: accompagnarle attraverso un percorso di riconciliazione, usando i modelli sia sudafricano sia tedesco: confessione, contrizione, compensazione e scrittura congiunta della storia buia e di solenni impegni per una Colombia radiosa.

[6] Implementazione e Verifica. Certo, è ovvio, ma quest’agenda non è lineare; ricominciare migliorando il # [1], lavorando su tutti i punti simultaneamente.

E la polizia? Imparare dalla polizia giapponese e indiana: aggiungere mediazione ed empatia al solito approccio alla sicurezza; ridurre la violenza costruendo ponti fra i contendenti anziché punire; tenere dialoghi con la gente per capire meglio quale Colombia vuole. Non spiarla, ma mettere in grado tutti i colombiani di costruire una Colombia migliore.

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