(Italiano) Dalla regionalizzazione alla globalizzazione: problematic

ORIGINAL LANGUAGES, 14 Nov 2016

Johan Galtung | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

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 “Futuro del mondo fra globalizzazione e regionalizzazione” – Centro Europeo per la Pace e lo Sviluppo, Belgrado, 2-29 ottobre 2016

Sommario: La maggior parte degli stati è troppo piccola a confronto con la velocità di trasporto e comunicazione – da cui la regionalizzazione di vicini con somiglianze culturali. Gli stati più grandi, Cina-India-Russia-USA-Indonesia-Australia-Brasile, sono di fatto regioni. Il passo successivo, la globalizzazione, è molto problematico. Abbiamo superato la distanza geografica ma non quella culturale. E gli USA usano la globalizzazione per egemonizzare finanziariamente il mondo. Sarebbe meglio una regione nord-americana con il Canada, per un dialogo con altre regioni. Il Resto lavorerà sulla globalizzazione, ma come?

In questi anni stiamo assistendo a una transizione storica da un sistema statuale mondiale a un sistema regionale mondiale. Di regioni [potenziali] ce ne sono circa 7:

ELAC (LatinAmerica-Caribe), AU (Unione Africana), EU (Unione Europea), SAARC (Associazione Sud-Asiatica per la Cooperazione Regionale, ASEAN (Associazione delle Nazioni SudEst-Asiatiche), OIC (Organizzazione della Cooperazione Islamica), SCO (Organizzazione Cooperativa di Shanghai). Per lo più recenti, sicché molti credono che il passo logico da un sistema regionale ad uno globale, la globalizzazione, sia dietro l’angolo. Ci sono invece due problemi principali.

Primo, l’umanità è molto varia. Il sistema statuale, basato sulla cultura delle proprie nazioni dominanti, accoglie una gran varietà, eccetto i sistemi tribali primitivi e quelli tradizionali imperniati sui villaggi. Tuttavia, la globalizzazione accoglierà anch’essa la diversità o imporrà l’uniformità?

Secondo, gli USA possono usare la globalizzazione per imporre un mercato globale senza confini statali né regionali per oggetti finanziari, derivati, privatizzando tutte le banche centrali, coordinate dalla Banca per le Compensazioni Internazionali (BIS), la banca delle banche a Basilea, in Svizzera.

Molti stati, adatti per dimensioni a mezzi di trasporto da 20 km/h, non a quanto è possibile oggi, si sono aggregati ad altri con culture simili entro la stessa civiltà. Le civiltà sono tuttora diverse e danno luogo a varie diverse regioni. Abbiamo pur sempre un solo globo da globalizzare. C’è qualcosa di definitivo nella globalizzazione. Può proteggere la diversità. Ma può anche essere uniforme, di un solo progetto. Ne esistono di progetti del genere: provengono dalle religioni che pretendono di essere verità singole ed universali, per tutti, per sempre: il cristianesimo e l’islam. Che recano messaggi di salvezza di vita dopo la morte, e di salvezza in questo mondo con la loro globalizzazione. Per il mondo cristiano con a capo gli Stati Uniti d’America e un evangelismo nazionale; per il mondo Islamico da parte dello Stato Islamico, IS, e un califfato sunnita.

L’Unione Europea si limita alla regionalizzazione in Europa, ma l’associazione del Regno Unito l’ha resa parte della globalizzazione anglo-americana. Con degli USA che stanno perdendo presa sul continente dopo la Brexit, il futuro è poco chiaro. In linea di principio gli USA non fanno parte di tali negoziati.

Che cosa intendono l’Occidente in generale e gli USA in particolare, per globalizzazione?  Non il comandamento missionario di cui in Matteo 28:18-20, bensì la propria utopia, un governo mondiale in stile occidentale, con divisione del potere e una legislatura mediante elezioni libere ed eque negli elettorati degli stati membri, come attualmente per il Parlamento. Un rappresentante per milioni?

E che cosa intende l’islam in generale, e l’IS in particolare, per globalizzazione? Islamizzazione certamente, e la propria utopia: l’islam da Casablanca a Mindanao, e domani oltre, in numerose province – non stati – con innumerevoli unitàcomposte d’imam-moschea-tribunale della shariah in ciascuna ummah, la comunità dei veri credenti.

La globalizzazione occidentale è centralizzata, per l’Occidente in generale sotto il profilo politico, per gli USA in particolare sotto il profilo economico, e militarmente per entrambi – saranno loro al comando, e con una cultura occidentale dominante.

La globalizzazione islamica è localizzata, con molta autonomia politica, connessa col commercio coranico dal punto di vista economico e con una cultura dominante islamica.

Le due globalizzazioni appaiono incompatibili, e ci diranno probabilmente che lo sono. In effetti possono anche non esserlo. C’è molta simpatia al mondo per “piccolo è bello“ e per “un po’ di grosso è necessario”.  L’islam ha un modello per il primo – localismo islamico e giapponese, comunità sangha buddhiste -, l’Occidente per il secondo. Le comuni cinesi potrebbero unirsi alle prime; l’Occidente potrebbe provvedere una collocazione soft per tutte quante.

Più preoccupanti sono le egemonie culturali: solo uno o l’altro. Il che ci porta alle altre civiltà e alle loro posizioni riguardo alla globalizzazione. Risposta generale: la stessa idea di universalismo globale è in sé stessa occidentale. Altre, la hindu-buddhista-taoista-confuciana-la giapponese in Asia, ed altre minori in Africa e nelle Americhe, si preoccupano di fare le proprie cose, lasciando che gli altri facciano le loro. Per poi scoprire magari presto che tale atteggiamento è in contrasto con i due universalismi or ora descritti, entrambi nelle loro versioni religiose e in quelle più laiche. Ma 2.1 bilioni di cristiani e 1.6 bilioni di musulmani, seppur metà dell’umanità, non possono dettare i termini della globalizzazione al resto del mondo per poi giocarsela fra loro due con ogni mezzo. C’è una soluzione?

Chiamiamola “globalizzazione morbida” all’opposto di quelle dure, e non è difficile da identificare. È basata sul trucco sociale di rendere attori conflittuali, competitivi, combattivi, dei membri uguali della stessa organizzazione in vista di interessi e obiettivi condivisi, il che li priva dell’impatto dei loro contorni aguzzi. Per gli stati, le due guerre “mondiali” in Europa portarono alla Lega delle Nazioni e alle Nazioni Unite. Che hanno fatto fiasco entrambe.

[Perché] Qualcuno era più uguale degli altri in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza (ONU) e si è dato da fare per difendere tale privilegio contro ogni riforma. Ma pur con più potere all’Assemblea Generale, i membri delle Nazioni Unite sarebbero pur sempre stati. La risposta è allora un’organizzazione di Regioni Unite (ORU): 8 per il Nord-America, 11 per la West-Asia, Israele-Palestina e i Curdi, la Centr-Asia divisa dalla linea Durand e l’Est-Asia dai mari Orientale e Meridionale Cinesi. 7, 8, 11 interlocutori a un tavolo sono numeri validi, meglio che l’ONU con 193. Rispecchiando la realtà globale con la diversità, l’ORU avrebbe migliori prospettive che l’ONU.

Da trattare ci sono i loro rapporti e la globalizzazione politica, culturale, militare, economica. Politicamente dovrebbe funzionare per consenso, che vuol dire uguaglianza fra le regioni e veto per tutti.  Culturalmente mediante il dialogo delle civiltà, non un monologo. Militarmente l’uguaglianza potrebbe far sì che l’ORU riesca là dove non è riuscita l’ONU con un Comando Militare. Economicamente: mediante condivisione – non monopoli – su base regionale.

Un’utopia fattibile, morbida.

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Titolo originale: From Regionalization to Globalization: Problematic – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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