(Italiano) Società pacifiche: dove si trovano?

ORIGINAL LANGUAGES, 10 Jul 2017

Johan Galtung | Centro Studi Sereno Regis

Nella geografia mondiale ce ne sono molte, di vari tipi.

Possiamo tentare di stabilire le caratteristiche del loro essere pacifiche. O possiamo cominciare con l’identificare le società bellicose e poi considerare le società pacifiche come loro negazione. Proviamo intanto questa.

Le società bellicose hanno una fedina penale sporca di violenze oltre-confine, in territorio altrui, sovente invocata come “difesa”– preventiva, precauzionale, proattiva. A tal scopo necessitano di armi, magari un esercito ma non necessariamente. E le armi come i loro mezzi di trasporto devono essere a lunga gittata o proiezione, offensive, per agire oltre confine, in un’altra società.

Per negazione otteniamo tre caratteristiche delle società pacifiche:

  1. l’avere solo armi difensive a corto raggio, per una difesa difensiva;
  2. non avere armi per nulla, né la capacità di farle;
  3. l’avere nessuna risultanza di guerra, nessun attacco oltre confine.

Commento:

sul n.3, nessuna risultanza: non è una garanzia per il futuro;

sul n.2, niente armi: non è una garanzia che non si possa cominciare a farne o importarne;

sul n.1, difesa difensiva: non è una garanzia contro le armi a vasto raggio.

Le società pacifiche possono cambiare? Sì, e così pure le società bellicose; possono smettere di attaccare gli altri, abolire il proprio esercito (Costa Rica) o non procurarsene uno – circa 30 società – o avere una difesa difensiva (Svizzera).

Diamo uno sguardo al mondo: circa 200 società, paesi, stati. Possono esserci schermagliae ai confini, ma gli attacchi sono rari. Un motivo: pochissimi possono permettersi dei sottomarini, una marina oceanica, carrarmati, bombardieri, missili. Costano meno un esercito per la sola difesa dei confini – l’entroterra con milizie – e se occupati una difesa non-militare – [adeguatamente] radicati nella dottrina per essere credibili. Gran parte dei paesi praticano involontariamente una difesa offensiva.

Lo scenario da [1]->[2]->a [3] è una buona politica da società pacifica.

Consideriamo però un altro approccio. Robert B. Textor redasse Characteristics of primitive societies correlated with warfare [Caratteristiche delle società primitive riguardo alla guerra], comparandone 34 “dove è prevalente la guerra” con 9 dove non lo è. Queste 9 erano situate in Est Eurasia, comprese le pendici himalayane cinesi, erano sostanzialmente nomadi, niente agricoltura né allevamenti, niente metallurgia, niente città, dimensioni comunitarie sotto i 50 membri, solo due livelli locali, niente classi. Più culturali, niente schiavitù, niente pene corporali, meno tabù sul sesso, meno bisogno di realizzazione, nessuna attenzione alla gloria militare o alla bellicosità, niente giochi di fortuna ma solo d’abilità, scarsi in narcisismo e millanterie.

Le 34 società dove prevale la [disponibilità alla] guerra avevano le caratteristiche opposte.

I tratti strutturali indicano sviluppo. Le società pacifiche sono scarse in sviluppo e forti in cultura di pace? I File del Settore Relazioni Umane di Yale (*) giungevano alla stessa conclusione: di scarso sviluppo, “liturgia di guerra” ritualistica, non-letale”; di forte sviluppo, aggressive, bellicosità letale.

Questo vuol dire che dobbiamo scegliere fra sviluppo e pace, magari usando guerra, schiavitù e colonialismo per il proprio sviluppo? L’Occidente s’è arricchito e sviluppato in quel modo, a spese altrui, assumendosi rischi, ma più che altro attaccando quelli più deboli di sé.

Tuttavia, quella è solo una pista fra molte. E i tre punti di cui sopra valgono anche per società occidentali bellicose come USA e Israele.

Tutti questi tratti sono solo correlazioni, non causalità. Allora che cosa rende pacifica o bellicosa una società? I tratti correlati sono sì un contributo, ma possono essere né necessari né sufficienti?

Textor, un antropologo, si è focalizzato su una società alla volta trascurando la struttura inter-societaria. Una società di grande importanza vuole più benefici dalla violenza strutturale; una società di poca importanza vuole meno sfruttamento.

Il che eleva l’analisi dal livello societario a quello inter-societario. Di nuovo, dove si trovano oggi le società pacifiche? Dove la struttura inter-societaria è egalitaria: i paesi nordici, della UE, dell’ ASEAN, gran parte della LatinAmerica e dell’Africa. E le società bellicose? Dove la struttura è inegalitaria o dove una società vuole essere al vertice.

C’è poi il fattore culturale, indicato nell’elenco dei tratti caratteristici. Essere pacifici o bellicosi – giustificati da motivi per esserlo.

Quindi, ecco come potrebbe essere una formula riveduta per una società pacifica:

  1. * nessuna storia recente di violenza diretta inter-societaria;
  2. * non partecipe alla violenza strutturale come sfruttatore o sfruttato;
  3. * senza una cultura nazionale che giustifichi la guerra più che la pace.

Non possiamo invertire la storia. Lo sviluppo fu spronato da un intenso desiderio di comfort materiale, di protezione dalla natura. Se erano necessarie guerre, OK; se portava alla guerra, ad azioni aggressive, anche lì OK.

E ciò indica una causa basilare: quel che vuole l’umanità, non solo i capi, con sufficiente intensità, può ottenerlo. Dobbiamo volere di più la pace.

Il movimento pacifista non ha voluto la pace; è stato anti-guerra. Che non basta. Un approccio corretto deve focalizzarsi sul positivo, esplicitando i benefici della pace e rendendoli attraenti e credibili, chiarendo bene ciò che dev’essere fatto e rendendo fattibile quel lavoro.

Vero, la nostra buona salute si basa sull’essere contro la malattia, ma come condizione necessaria non sufficiente. Poi è sopraggiunta l’interazione fra teoria e pratica sanitaria; che adesso è evidente anche per la pace. E funziona.

Le società diventano più uguali quando sono membri di una regione, come le tre regioni menzionate. Gli stati spariscono coll’affievolirsi dei loro confini, pur con reazioni avverse. Emerge il regionalismo; e il localismo.

La violenza si fa più mirata; dal basso come terrorismo, dall’alto come terrorismo di stato. Con meno violenza fra stati, bene fin qui; ma più violenza locale, ed eventualmente regionale.

Che cos’è andato storto? Forse fin dall’inizio nel concentrare l’attenzione sulle società anziché sul sistema di società. E inoltre, attenzione [carente] sul conflitto concreto e relativo trauma, sulla soluzione e riconciliazione, ai livelli micro – personale, macro – societario, meso – intersocietario, mega – interregionale.

Ma abbiamo pur sempre società, paesi, stati, con relative politiche. Una difesa difensiva avviata al disarmo ha senso come politica statale. Come ce l’hanno sistemi più orizzontali, egalitari, di società e regioni.

Il mondo si muove in quella direzione. Facciamo sì che l’ottimismo si auto-realizzi.

NOTA:

(*) Johan Galtung, “Belligerence among the Primitives” [Bellicosità fra i primitivi], Essays in Peace Research Vol. II cap. 1, Copenhagen: Ejlers, 1976.

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Titolo originale: Peaceful Societies – Where Are They?TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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