(Italiano) Atomi per la pace: soluzione brillante o scelta fallimentare?

ORIGINAL LANGUAGES, 16 Oct 2017

Elena Camino – Centro Studi Sereno Regis

Boom di centrali nucleari in Medio Oriente

13 ottobre 2017 – “Greggio, nucleare e guerre, l’Arabia saudita sceglie Putin”: questo tiolo, pubblicato sul quotidiano Il Manifesto del 5 ottobre 2017 a firma di Michele Giorgio, mi ha incuriosito. Dopo l’approvazione della messa al bando delle armi nucleari, e il conferimento del Premio Nobel per la Pace all’ Associazione ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) sto cercando di capire qualcosa di più delle interconnessioni tra uso civile e uso militare dell’energia nucleare.

Ecco che cosa scrive Michele Giorgio in questo articolo:

 “Infine, non certo per importanza, c’è in ballo una possibile collaborazione tra Arabia saudita e Mosca nell’ambito dell’energia nucleare. Riyadh, per rispondere al programma dell’Iran in questo settore, progetta di coprire il fabbisogno interno di elettricità con il nucleare e di destinare l’intera produzione petrolifera all’esportazione. Già nel 2015 l’Arabia Saudita aveva firmato un accordo preliminare con la Russia per costruire i suoi primi reattori nucleari e lo scorso giugno, a margine del Forum economico di San Pietroburgo, ha sottoscritto un’intesa per la cooperazione bilaterale sull’uso pacifico dell’energia nucleare”.

Sul sito di ICAN è spiegato chiaramente che

ogni impianto per l’arricchimento dell’uranio necessario ad essere usato nel reattore di una centrale per la produzione di energia può anche trattare l’uranio fino a renderlo utile per uso bellico”. E ancora: “in un reattore nucleare viene prodotto plutonio dall’uranio. I programmi nucleari civili e militari sono spesso strettamente legati. La maggior parte dei più recenti casi di proliferazione nucleare derivano da programmi apparentemente pacifici.”

Volendo capire un po’ meglio la situazione dell’Arabia Saudita, si può consultare il sito della World Nuclear Association e leggere gli aggiornamenti su questo Paese all’agosto 2017:

  • L’Arabia Saudita ha in programma la costruzione di 16 reattori nucleari nei prossimi 25 anni, per un costo superiore a 80 miliardi di $.
  • Prevede di avere una capacità nucleare di 17 GWe 1entro il 2040, in grado di fornire il 15% di energia, insieme a 40 GWe provenienti dalla produzione di energia solare.
  • Si prevede anche la costruzione di piccoli reattori per la desalinizzazione dell’acqua.

Fin dal dicembre 2006 i sei Stati membri del Gulf Cooperation Council (GCC) – Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Oman – avevano annunciato che intendevano commissionare uno studio per l’uso pacifico dell’energia nucleare. La Francia aveva accettato di lavorare con loro, e l’Iran aveva promesso assistenza con la tecnologia nucleare.

Sono trascorsi undici anni, e un nuovo soggetto si affaccia sulla scena: la Russia. Il 15 settembre scorso il sito di Agenzia Nova informa che Riad prepara le prime offerte per la costruzione di centrali nucleari.

Da questo sito apprendiamo che la Francia già nel 2013 aveva avviato una serie di tentativi per vendere i suoi reattori al regno saudita. I Sauditi hanno inoltre discusso i piani di fattibilità per costruire i primi due reattori con funzionari cinesi lo scorso agosto a Pechino. Anche la società russa, Rosatom, è in contatto con i reali sauditi per partecipare alla realizzazione del programma nucleare. L’interesse di Francia, Cina e Russia va in parallelo con quello di altri forti concorrenti nel settore in particolare i consorzi statunitensi, giapponesi e sud coreani. Insomma, sembra che la prospettiva di espandere il numero di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica sia apprezzata e incoraggiata da molti soggetti…

Verso la chiusura delle centrali in USA?

“Il nucleare non è la risposta”: questa è l’opinione espressa nettamente da Amory Lovins, fondatore, nel 1982, del Rocky Mountain Institute (RMI), un’organizzazione statunitense che si occupa di ricerca, pubblicazione, consulenza e studio nel campo generale della sostenibilità, con speciale riguardo alle innovazioni per l’efficienza energetica. In un articolo in via di pubblicazione su ‘The Electricity Journal’, ma anticipato da varie agenzie di stampa, tra cui Ecowatch, Lovins mette in discussione l’idea che le centrali nucleari – che non generano profitti e sono economicamente in difficoltà – debbano continuare a ricevere sussidi statali, che vengono giustificati come necessari per far fronte ai complessi problemi di sicurezza, e per conseguire traguardi climatici. La sua analisi mette in evidenza che chiudere le centrali nucleari e reinvestire il denaro risparmiato in programmi di efficienza energetica fornirebbe elettricità a costi inferiori, aumenterebbe l’affidabilità e la sicurezza della rete elettrica, ridurrebbe le emissioni di carbonio e proteggerebbe l’integrità del mercato (togliendo tutte le forme di sussidio che attualmente lo distorcono).

L’analisi di Lovins è nettamente in contrasto con quanto afferma il Segretario per l’Energia, Rick Perry, il quale sostiene che la sicurezza nazionale richiede di sostenere tramite sussidi le centrali nucleari e quelle a carbone. In particolare, Lovins critica le affermazioni di Perry riguardanti la sicurezza nazionale e l’affidabilità della rete, mostrando che le centrali a carbone e nucleari presentano aspetti unici e gravi di vulnerabilità, così come aveva già spiegato nel 1981 con il suo autorevole contributo al Pentagono “Brittle Power: Energy Strategy for National Security”.

In uno dei punti più significativi del suo articolo Lovins sostiene che prolungando con dei sussidi l’attività di impianti nucleari economicamente improduttivi non aiuta a proteggere il clima. Eppure questa – la protezione climatica – è stata la giustificazione, anche in tempi recenti, per l’approvazione di sussidi multi-miliardari a lungo termine, necessari per tenere in funzione centrali nucleari che erano fallimentari sul mercato libero.

Eppure, in base a dettagliate analisi eseguite dal Dipartimento dell’Energia e da vari operatori della rete elettrica nazionale, è stato messo a punto un piano per la chiusura della centrale nucleare di Diablo Canyon, anche se funziona bene, per sostituirla con risorse più economiche ed efficienti, rinnovabili, che non emettono CO2 , confermando così che questa è la via moderna per migliorare le prestazioni della rete elettrica e risparmiare carbonio e denaro.

Nonostante i numerosi dati sperimentali, e i molti studi realizzati proprio dal suo Dipartimento, il Segretario Nazionale per l’Energia, Rick Perry, ha commissionato al suo staff uno studio per confermare la necessità di tenere in funzione le centrali nucleari e gli impianti a carbone. Viene spontaneo chiedersi il perché di questa propensione – di fronte all’evidenza della inadeguatezza della soluzione ‘nucleare’ sul versante economico e climatico …

E varrebbe la pena di capire come mai l’Arabia Saudita, ricca di sole, ritiene opportuno sviluppare un così importante piano di sviluppo energetico basato sul nucleare…

E i due giganti, Cina e India?

1 miliardo e 343 milioni l’India, 1 miliardo e 409 milioni la Cina: insieme fanno 2 miliardi e 752 milioni, il 36% della popolazione mondiale, che oggi conta 7 miliardi e 573 milioni di persone. Quali sono gli orientamenti di queste due nazioni a proposito di energia nucleare?

Il sito della World Nuclear Association ci fornisce dati aggiornati su entrambi i Paesi:

  1. l’India ha un programma nucleare in pieno sviluppo, con la previsione di raggiungere una capacità nucleare di 14.6 GWe attivi entro il 2024 e 63 GWe per il 2032, e intende produrre il 25% di elettricità dal nucleare entro il 2050. Poiché l’India non fa parte del Trattato di Non Proliferazione Nucleare a causa dei suoi programmi di armamenti, è stata a lungo esclusa dagli scambi commerciali di questo settore. In seguito ad accordi stipulati dal 2008, sono stati firmati contratti di cooperazione per il nucleare civile con USA, Russia, Francia, UK, Sud Corea, Canada, Australia, Argentina, Kazakhstan, Mongolia, Namibia ecc.
  2. La Cina ha 37 reattori nucleari attivi, 20 in fase di costruzione, altri in fase di progetto.

I reattori in costruzione includono alcuni dei modelli più avanzati al mondo, in grado di aumentare del 70% la capacità nucleare: fino a 58 GWe entro il 2020-21, e fino a 150 GWe entro il 2030. La Cina è diventata ampiamente auto-sufficiente nella progettazione e costruzione delle centrali, ma continua a utilizzare la tecnologia occidentale, adattandola e migliorandola. La Cina – rispetto al resto del mondo – è più autonoma per le varie parti della filiera, e la sua politica è orientata ad aumentare l’esportazione di tutte le componenti.

In India da molti anni sono attivi movimenti di protesta contro la costruzione di centrali nucleari, contro le attività di scavo nelle miniere di uranio, e in generale contro l’espropriazione di vaste comunità – per lo più di popolazioni indigene – per fare spazio alle ‘esigenze’ della produzione energetica da fonte nucleare. Della situazione cinese si conosce poco: negli ultimi anni si sta esibendo più di prima come potenza armata.

Un aspetto poco trattato: il “decommissioning”

Questo termine indica la complessa serie di operazioni che sono necessarie – dopo la chiusura di una centrale nucleare – per eliminare le fonti di radioattività e rendere disponibile il luogo ad altre attività. I siti e le associazioni che sostengono la validità e l’efficacia dell’opzione nucleare nella produzione di energia forniscono ampie e dettagliate spiegazioni dei vari sistemi utilizzati. Da un ‘fact sheet’ disponibile sul sito del Nuclear Energy Institute (che in USA si occupa di promuovere la produzione di energia nucleare) si apprende che

negli Stati Uniti dopo la chiusura di una centrale nucleare i gestori devono ridurre la radioattività residua entro livelli di sicurezza. Il sito deve essere smantellato entro 60 anni dopo la chiusura dell’impianto. Le operazioni implicano la rimozione del combustibile usato dal reattore, il trasferimento a contenitori appositi (che saranno conservati in loco o altrove); lo smantellamento e la decontaminazione di tutte le parti che contengono prodotti radioattivi. I materiali contaminati possono essere smaltiti in due modi: decontaminati in loco o rimossi e spediti ad un impianto di trattamento, stoccaggio o smaltimento dei rifiuti.

Una chiara descrizione teorica, senza molte spiegazioni tecniche.

Un altro sito molto attivo nel promuovere l’opzione nucleare, la World Nuclear Association, è molto tranquillizzante:

finora più di 110 reattori per uso commerciale non sono più operativi, e alcuni sono stati completamente smantellati. La maggior parte dei componenti non sono radioattivi o hanno bassissimi livelli di radioattività. La maggior parte dei materiali di metallo può essere riciclata. Tecniche e strumentazione adeguate sono a disposizione per permettere lo smantellamento, come si è dimostrato in molte parti del mondo.

Che le cose non siano così semplici si può intuire leggendo altri documenti, che Google non mette subito in primo piano, quando si fa una ricerca in rete. Leggiamo per esempio un commento pubblicato sul sito del Bulletin of Atomic Scientists da Dan Drollette, a commento dell’affermazione fatta dall’ingegnere nucleare David Rose nel 1985:

la stima più affidabile del costo di smantellamento di una centrale nucleare è il 10-15 per cento del costo di costruzione”. Ecco che cosa dice l’Autore del testo, nel 2014: “adesso, con il vantaggio di decine di anni di esperienza, risulta evidente quanto fosse sbagliata quella previsione. La Yankee Nuclear Power Station a Rowe, Massachusetts, ha richiesto 15 anni per essere smantellata, cinque volte più del tempo necessario per costruirla. A fronte del costo di costruzione ( 39 milioni di dollari negli anni 1960) la demolizione è costata 608 milioni di dollari. Le barre di combustibile esausto dell’impianto sono ancora conservate in-situ, perché manca un deposito permanente di stoccaggio. Per controllare che il materiale non cada nelle mani di terroristi o vada a inquinare le acque di unl vicino fiume si spendono 8 milioni di dollari all’anno”.

In un film del 2009, intitolato ‘Into eternity’, il regista danese Michael Madsen ci porta in un’isola della Finlandia dove si trova Onkalo (letteralmente: nascondiglio), guidando il pubblico all’interno di un labirinto sotterraneo destinato a essere deposito permanente delle scorie radioattive delle centrali nucleari. Ancora in costruzione, nel 2100 Onkalo sarà completato e infine chiuso con un ‘tappo’ di cemento per far sì che il contenuto non possa nuocere fintanto che verrà considerato un pericolo per la vita, un lasso di tempo stimato in almeno 100mila anni. Il costo previsto dell’intero progetto ammonta a 818 milioni di €.

Gli altissimi costi economici necessari per sostenere l’intero ciclo di vita di una centrale nucleare, e i problemi tuttora irrisolti della radioattività che persiste dopo la chiusura dell’impianto, non sembrano essere di ostacolo significativo nei programmi nucleari di alcuni Paesi emergenti.

 

Dopo Chernobyl e Fukushima

Mentre la costruzione di nuove centrali nucleari sembra destinata a rallentare negli Stati Uniti (e in parte in Europa) in Asia e nel Medio Oriente si sta delineando uno scenario energetico futuro in cui l’energia nucleare diventa sempre più importante.

Questo avviene nonostante che le conseguenze dei disastri avvenuti a Chernobyl e a Fukushima continuino a manifestarsi, con scenari per lo più peggiori di quanto fosse stato ipotizzato nei primi tempi. Sulle conseguenze a lungo termine i dati sono incerti e controversi, e variano a seconda delle variabili che si considerano significative: dalla salute umana al ripristino di accessibilità ai luoghi, dalle perdite di viventi non umani al ruolo esercitato dalle radiazioni e/o da dalle condizioni di stress delle popolazioni evacuate.

Per Chernobyl, le stime sui morti variano da 4000 (i primi dati trasmessi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) a 60.0002 (stimati dopo 20 anni dall’incidente).

Per Fukushima, si ritiene che il tempo necessario per decontaminare la centrale sia di almeno 30 – 40 anni. E dopo 6 anni, solo una piccola parte delle 160.000 persone che furono costrette a lasciare le loro case ha potuto tornare in zone dichiarate sicure dalle autorità.

L’opzione nucleare dunque ha ripreso vigore, nonostante che – sia a Chernobyl che a Fukushima – i danni siano stati irreparabili, in termini umani, tecnici ed economici, e non ci sia stata finora alcuna possibilità di tornare a una condizione di normalità. E nonostante che i recenti studi pubblicati dagli esperti del Rocky Mountain Institute abbiano messo in luce che l’opzione nucleare è economicamente svantaggiosa, e inefficace a contrastare l’aumento dell’effetto serra.

Ancora sugli intrecci tra atomo civile e miliare

Cercando di capire – da cittadina e non da esperta – qualcosa di più su questo aspetto (atomo pacifico o atomo per la guerra), mi sono imbattuta in molti documenti, saggi, dichiarazioni, siti: troppi per elaborare una risposta chiara. Propongo alcuni flash, che offrono l’opportunità di sviluppare qualche riflessione sul tema.

LONDON, 23 agosto 2017: Esperti americani dicono che il settore nucleare degli USA potrebbe dipendere in modo cruciale dall’uso civile dell’energia atomica, e sono convinti che il paese perderà il suo posto come super-potenza nucleare che non sostiene l’industria nucleare.

13settembre 2017. Jim Green: Per soddisfare le esigenze della Marina nucleare è necessaria una forte linea di approvvigionamento domestico, che ha una intrinseca e significativa sovrapposizione con il settore commerciale dell’energia nucleare. Per andare incontro alle esigenze di sicurezza nazionale, che richiedono la competenza di progettare e far funzionare i reattori dei sommergibili della Marina, è necessaria una forza-lavoro addestrata in Scienze e Ingegneria, inclusi i cittadini USA qualificati per attribuire le autorizzazioni di sicurezza.

25 luglio 2017 Loren Thomson: L’Industria dell’energia nucleare ultimamente non gode di grande apprezzamento nella cultura popolare, ma ci sono alcuni aspetti di quello che fa che sono realmente indispensabili. La propulsione nucleare permette a portaerei e sottomarini di avere un raggio d’azione illimitato. Le centrali energetiche nucleari restano una parte cruciale della rete elettrica.

16 agosto 2017. Brian Wang: La Cina costruirà reattori nucleari commerciali galleggianti, e reattori per le navi militari. Un consorzio di organizzazioni cinesi sta collaborando con la società statale China National Nuclear Power Company per sviluppare e produrre piccole centrali nucleari galleggianti. Negli annunci viene enfatizzato l’uso commerciale che se ne intende fare: perforazioni oceaniche per la ricerca di petrolio, alimentazione di impianti remoti per la desalinizzazione… Si pensa che questi obiettivi attireranno investitori a sostegno di questa nuova avventura e, con il sostegno parallelo dei militari come primi acquirenti dei reattori, sembra che questo nuovo settore possa crescere. (Qui foto sopra)

Domande in attesa di risposte…

Quali motivi, quali interessi o necessità spingono i governi di tanti Paesi a promuovere l’atomo ‘pacifico’, nonostante le insostenibili spese economiche, gli enormi rischi ambientali e sanitari, la gravità dei rari ma non impossibili imprevisti e le conseguenze su scale temporali al di fuori dell’immaginazione umana?

Se e in che misura è possibile (conveniente, competitivo, sostenibile) sviluppare il nucleare civile senza una stretta interdipendenza con il nucleare militare?

E’ possibile confrontare in modo sistemico (cioè tenendo conto di una molteplicità di prospettive) i vantaggi e gli svantaggi dell’opzione nucleare rispetto alle altre fonti energetiche nel contrastare l’aumento dell’ effetto serra?

Quali programmi energetici sono più plausibili per i Paesi che hanno aderito o che intendono aderire al Trattato per la messa al bando degli armamenti nucleari?

1 Il We è una unità di misura della potenza elettrica. Il prefisso G (= giga) indica un fattore di moltiplicazione di 109

2 Fairlie and Sumner (2006). An independent scientific evaluation of health and environmental effects 20 years after the nuclear disaster providing critical analysis of a recent report by the International Atomic Energy Agency (IAEA) and the World Health Organisation (WHO).

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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.

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