(Italiano) Gli impatti ambientali del settore militare del Regno Unito

ORIGINAL LANGUAGES, 1 Jun 2020

Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

Una ricerca sulle attività militari è possibile!

– Sono stati appena pubblicati i risultati di una ricerca che documenta gli impatti ambientali dell’apparato militare del Regno Unito. Si tratta del frutto di un lavoro che da molti anni vede impegnata un’associazione inglese, SGR (Scientists for Global Responsibility), di cui fanno parte centinaia di scienziati naturali, scienziati sociali, ingegneri e professionisti che a diverso titolo si occupano delle relazioni tra scienza, tecnologia ed etica. SGR è impegnata nella ricerca, nell’educazione e della promozione di iniziative volte a promuovere la giustizia sociale e la sostenibilità ambientale, ed è partner attiva di ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) che ha ricevuto nel 2017 il Premio Nobel per la Pace.

Il responsabile di questa ricerca è Stuart Parkinson, Direttore Esecutivo di SGR: una carica di grande impegno e responsabilità, che da 15 anni lo vede attivo nella ricerca, nell’educazione e nella promozione di campagne sugli aspetti etici della scienza e della tecnologia. Dal suo curriculum vitae emerge la varietà di competenze scientifiche – dalla Fisica, all’Ingegneria, alle Scienze Ambientali – ma anche le esperienze maturate nel settore industriale (compresi progetti militari).

Parkinson e i suoi collaboratori hanno potuto realizzare questa ricerca grazie a un finanziamento ricevuto dal Network for Social Change, un’associazione costituita da un gruppo di persone che eroga fondi per un progressivo cambiamento sociale, soprattutto nelle aree della giustizia, della pace e dell’ambiente. Ogni anno viene raccolto più di un milione di sterline, con cui vengono finanziati progetti e organizzazioni. Il 90% è destinato a iniziative di beneficenza, il 10% a iniziative sociali (Funding for Social Change Limited), come quella qui documentata.

I membri del Network hanno idee ed estrazioni sociali diverse, ma sono tutti convinti che sia importante mettere a disposizione una parte della loro ricchezza (per alcuni ereditata, per altri costruita) per sostenere progetti orientati a migliorare le condizioni di vita nel mondo.

Lo ‘scarpone miliare’ pesa sull’ambiente come 6 milioni di auto

Per presentare la ricerca è stata pubblicata, il 19 maggio, una sintesi a uso dei giornalisti e dei media. Da questo riassunto è possibile farsi un’idea della varietà, vastità e peso dell’impatto che le attività militari esercitano sui sistemi naturali. È importante per il pubblico e per la società in generale non solo avere informazioni sugli aspetti quantitativi, ma anche capire quali sono le fonti che generano tale impatto.  Ma partiamo dei numeri: l’impronta di carbonio – la ‘carbon footprint [1]’ – dell’apparato militare britannico è di 11 milioni di tonnellate equivalenti di CO2: più di 11 volte superiore al dato che di solito il Ministero della Difesa (MOD) presenta quando si discute del contributo dei militari al riscaldamento globale. Si tratta di una quantità paragonabile alle emissioni prodotte da 6 milioni di automobili di potenza media in UK in un anno.

Il Report che contiene i risultati della ricerca, pubblicato da SGR e DUK (Declassified UK [2]), accusa il Ministero della Difesa di essere ‘altamente selettivo’ nel fornire informazioni e di mancare della necessaria trasparenza. Sulla base delle più recenti ricerche scientifiche, questo report fornisce una valutazione più estesa e approfondita rispetto a quelle pubblicare dal MOD e dalle aziende produttrici di armi.

I dati forniti dal MOD (che sono disponibili solo fino al 2017/18) sono gravemente incompleti, sia nel misurare le emissioni dirette che quelle secondarie: per esempio non includono l’impatto dell’industria delle armi, né le emissioni lungo la filiera (compresa la fase di estrazione dalle miniere). Questa ricerca invece fornisce stime anche sulle emissioni di carbonio da parte dell’industria inglese delle armi, delle emissioni indirette entro l’UK, e delle componenti che producono emissioni lungo il ciclo di vita dei vari prodotti.  La compagnia con sede in UK che produce le maggiori emissioni è la BAE (BAE Systems, merita fare una visita alla sua home page). Le sue emissioni di CO2 contribuiscono per il 30% al settore che riguarda lai produzione di armi in UK. Inoltre il carico di emissioni legato alle esportazioni di armamenti supera i 2 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, che vengono contabilizzate a carico dei paesi importatori.

Il report esprime anche dei dubbi sulla capacità del MOD (Ministry of Defence) di ridurre in futuro le sue emissioni, tenendo conto dei piani del governo di aumentare le spese militari, di schierare enormi nuove portaerei e ampliare le basi militari all’estero. È evidente che ogni nuova operazione militare non farà altro che aumentare ancor più le emissioni di gas climalteranti.

MANCANZA DI TRASPARENZA E RESPONSABILITÀ

La ricerca mette in evidenza che i problemi ambientali provocati dall’apparato militare in UK vanno al di là delle emissioni di gas climalteranti, ma non vengono presi in considerazione dalle Istituzioni governative. Il rapporto sottolinea che il MOD stesso decide quando è esente dalle leggi ambientali civili: gli organismi di supervisione sul MOD in materia ambientale hanno denunciato insoddisfacente questa situazione [3].

Inoltre vengono individuati altri tre aspetti critici:

  • Vi è una lunga storia di cattiva gestione dei rifiuti  radioattivi da parte dell’apparato militare britannico. Per esempio, il MOD non ha ancora completato lo smantellamento di un singolo sottomarino nucleare – a cominciare dal primo ritirato nel 1980 – e ora ha il doppio di queste navi in deposito rispetto a quelle che sono operative in mare.
  • L’apparato militare britannico non pubblica alcuna valutazione del danno ambientale causato dalle sue attività in contesti di guerra.
  • Il Ministero della Difesa sembra ignorare le più recenti pubblicazioni scientifiche che documentano i catastrofici impatti ambientali globali che conseguirebbero all’utilizzo anche solo di uno degli ordigni nucleari a disposizione del paese.

Indicazioni per il futuro britannico

La ricerca conclude che l’unico modo in cui il Regno Unito può ridurre le conseguenze ambientali delle sue attività militari è quello di abbandonare l’atteggiamento militare aggressivo che l’ha finora caratterizzato, ridurre la produzione e il dispiegamento di navi da guerra e aerei da combattimento altamente inquinanti, e dedicare molte più risorse per affrontare le vere minacce alla sicurezza, come le pandemie e i cambiamenti climatici. Inoltre bisognerebbe impegnarsi molto di più per affrontare le radici profonde dei conflitti, ed elaborare un programma di riconversione di vasta portata dal settore militare a quello civile, che coinvolga anche le aziende più significative della Gran Bretagna, e che provveda a finanziare la formazione del personale a nuove mansioni. In particolare occorre estendere le potenzialità di orientare un numero crescente di scienziati e ingegneri a spostarsi verso e settori del risparmio energetico e dell’industria ‘verde’.

Quando leggeremo risultati analoghi per l’Italia?

Questa pubblicazione, di cui ho riportato qui una breve sintesi, è frutto di una ricerca approfondita, strutturata in 5 capitoli:

  1. Introduzione;
  2. Emissioni di gas climalteranti da parte dei settori industrial-militari in UK;
  3. 3Altri impatti ambientali;
  4. Conclusioni;
  5. Raccomandazioni.

Sono inoltre disponibili due appendici:

  • Appendice 1: Difetti nella relazione annuale di ‘sostenibilità’ 2107/2018 del Ministero della Difesa
  • Appendice 2: Lista delle fonti consultate sull’industria degli armamenti in UK.

Questo documento può diventare un utile strumento di lavoro per avviare una ricerca analoga in Italia: le numerose fonti riportate nell’Appendice 2, e la possibilità di entrare in contatto con i due gruppi di studiosi responsabili della ricerca britannica, suggeriscono i primi passi da fare. La crescente sensibilità di alcuni gruppi di ricercatori universitari in Italia – unita al forte impegno che da anni contraddistingue associazioni e organismi impegnati nella costruzione di una società nonviolenta – ci rendono fiduciosi/e che sia possibile un cambiamento radicale: pacificare il mondo, a partire dalla smilitarizzazione delle menti.

Note:

[1] La carbon footprint (letteralmente, “impronta di carbonio”) è un parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente

[2] ‘Declassified UK’ è il sito web leader più importante per analisi approfondite e notizie esclusive sulla politica estera britannica, e svolge indagini sulle forze armate britanniche, sulle agenzie di intelligence e sulle sue più potenti corporazioni.

[3] Il National Audit Office ‘Ministry of Defence: Environmental Sustainability Overview’ può essere scaricato dal sito.

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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.

 

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