(Italiano) Coronavirus: dove porta la sua Arca papa Francesco-Noé?

ORIGINAL LANGUAGES, 24 Jan 2022

Antonino Drago – TRANSCEND Media Service

Riassunto. Si valuta l’ottimismo perduto a causa della pandemia come una incoscienza generale degli attuali grandi problemi sociali e mondiali ai quali neanche le chiese danno risposte adeguate. Si esaminano le risposte morali e politiche delle Chiese e di papa Francesco alla pandemia e le si valutano deboli. E’ piuttosto l’Islam che oggi realizza il passaggio storico cruciale del tempo attuale: l’introduzione di una forte etica nella politica, il solo atto che possa affrontare adeguatamente i molti problemi del mondo, tra i quali quello ambientale che ha causato la pandemia. Su questo punto papa Francesco sta svolgendo un ruolo profetico mondiale.

  1. L’ottimismo del periodo storico tra i due disrupts mondiali

Per la prima volta la vita dell’umanità è stata globalizzata politicamente; la divisione del dopoguerra tra USA e URSS è diventata quella tra Est/Ovest dell’intera popolazione mondiale. La quale ha subito il primo quando nel 1989 quando le rivoluzioni non violente dei Paesi dell’Est hanno cambiato radicalmente la bisecolare politica internazionale. Poi nel 2020 un ulteriore disrupt mondiale ha colpito l’umanità: la pandemia del coronavirus (CV) che sembra averla riportata alle pesti di alcuni secoli fa.

La storia (economica) tra questi due disrupt può essere riassunta con un grafico dell’Oxfam[i] che, per il periodo 1980-2016, indica la crescita della ricchezza del 10% più ricco nella popolazione di ognuna delle cinque principali nazioni.

Questa crescita collettiva è impressionante: 1) per la quantità di ricchezza (circa il 50% in più), 2) per il breve periodo in cui è avvenuta (una sola generazione), 3) per la dinamica interna di questa vera “corsa all’oro” dell’arricchimento finanziario; questa dinamica è rivelata dai Paesi in testa nel grafico: appena dopo il crollo dell’URSS, in Russia si è costruita una oligarchia del 10% della popolazione, la quale è diventata subito la più ricca di tutte le altre oligarchie nel mondo e lo è rimasta per ben quindici anni! E oggi vediamo che alla testa nel mondo è addirittura la oligarchia dell’India, quel Paese in cui gran parte della popolazione vive in campagna in condizioni miserrime. Il che significa che queste oligarchie estraggono tanta più ricchezza quanto più sfruttano la parte più povera delle loro popolazioni.

E’ questa corsa dei super-ricchi che ha trainato l’umanità dentro una prospettiva fiduciosamente ottimistica perché nei Paesi “avanzati”, ha lasciato dei semplici vantaggi, per lo più consumistici, agli strati sociali più vicini; mentre per tutta la popolazione ha proposto un consumismo potenzialmente infinito  globalizzando il mercato dei beni di consumo (e del lavoro).

Neanche la crisi della “bolla finanziaria” del 2008 ha modificato questo ottimismo generale; perché per mantenere la corsa all’oro finanziario, gli Stati occidentali si sono assoggettati alle banche delle oligarchie. Anche lo Stato del Paese che per un secolo è stato alla guida del liberismo economico, gli USA, ha ripianato gli enormi “buchi di bilancio” delle banche private. Tutti gli Stati hanno regalato a quelle banche che avevano sbagliato a scommettere nel gioco della finanza mondiale una montagna di denaro, ricavato dalle tasse pagate da tutti (non ci sono state reazioni popolari significative; segno che tutti i cittadini che contavano si sentivano coinvolti nel progresso finanziario delle banche e compartecipavano al generale ottimismo).

Ottimismo che era compartecipato dalla gestione scientifico-sanitaria della società mondiale; esso era talmente radicato da trascurare anche allarmi drammatici (ad es. quello di Bill Gates nel 2013) sugli imminenti pericoli mondiali di pandemie. Questo ottimismo generale aveva come punto di riferimento la scienza, la quale chiede una fiducia illimitata: “Solo la razionalità scientifica può trovare rimedi ai danni sociali, anche a quelli causati dalla scienza.” Tutto procedeva secondo la filosofia che non c’è più bisogno del “Dio tappabuchi” (Bonhoeffer), perché l’uomo basta a se stesso nello sperimentare e conquistare una prospettiva di crescita infinita nella ricchezza e nel benessere, creduto potenzialmente per tutti (anche se la fame nel mondo persisteva, mentre le disuguaglianze interne ai Paesi aumentavano).

  1. Il disrupt del coronavirus e le domande di senso

Nel 2020 è avvenuto Il disrupt della pandemia del coronavirus (CV), che ha imposto il problema primario della stessa sopravvivenza della umanità.

Si noti che questa pandemia è il primo male avvenuto nel tempo in cui l’umanità era stata globalizzata dal(la febbre del) consumismo. La pandemia è stata uno shock. Nella popolazione il CV ha causato: perdita della socialità, restrizione della vita nel proprio ‘particulare’; crisi economica angosciante; perdita delle certezze collettive politiche e scientifiche; il timore che le restrizioni sanitarie favoriscano un autoritarismo mondiale financo dittatoriale. In più, la gestione sanitaria della crisi ha fatto entrare l’umanità nell’avventura di un “vaccino” di nuovo tipo.

In questa situazione di grande vulnerabilità fisica sono nate le domande basilari: Perché? Quale è stata la causa sanitaria? Quale è la causa del CV nella presente politica mondiale? Quale è la causa nei comportamenti umani? Sono mancate le risposte: dall’OMS sulla causa sanitaria; dal sistema politico (salvo, nell’immediato, tamponare la pandemia per tornare al più presto “alla normalità”); dalla cultura (bloccata sulle sterili polemiche ‘No CV’, ‘No vax’, ecc.) sul che pensare dell’evento epidemia. In più c’è stata l’ignoranza della prospettiva futura: sarà un ritorno alla “normalità” (che per molti è del tutto insoddisfacente) o ci sarà la possibilità di entrare in una nuova mondo?

Per questa mancanza di risposte a un evento traumatico ci si è accorti che non c’è neanche una coscienza della storia (coscienza della storia che già le formazioni della politica di sinistra aveva perduto dopo il 1989): quale progresso dell’umanità è più possibile se (non solo la grande esperienza storica dell’URSS è crollata, ma anche) è comparsa inaspettatamente una pandemia? Sicuramente non ci potrà più essere una coscienza storica secondo la vecchia scienza (sanitaria) del passato.

Allora ci si è ristretti alla coscienza immediata della vita individuale (a quella coscienza in cui si era già rifugiato il pensiero debole) e l’umanità ha dovuto fare esperienza di una angosciante obnubilazione delle visioni ottimistiche globali che dominavano fino a poco tempo prima.

  1. Le religioni hanno mancato una risposta alla gente

In linea di principio, le risposte religiose a un male sociale strutturale si distribuiscono tra due polarità. Da una parte quella Buddista, che, negando questo mondo con tutte le sue sofferenze (esse sono indicate come illusorie), non reagisce neanche alla secolarizzazione che minaccia la sua scomparsa; quindi oggi il Buddismo non sente necessario capire e spiegare il CV. Dall’altra parte, la risposta del Cristianesimo (e dell’induismo riformato da Gandhi) che compartecipa la vita del mondo per farsene carico, così da attuare soluzioni politiche su cui impegnare la vita.

Nel seguito non considererò il Buddismo e neanche le religioni tradizionaliste; queste, non avendo superato l’impatto con la modernità, possono ben reiterare tradizionali formule metafisiche anche davanti a nuovi mali sociali. Considererò invece che cosa le religioni modernizzate rispondano alle angoscianti domande di un fedele: quale è la causa di tipo religioso della pandemia? In mano a chi è la storia umana a livello mondiale? C’è un progresso sicuro, previsto da un Dio onnipotente? C’è una mano invisibile (Provvidenza) che dirige la storia? Perché Dio permette che il mondo si ammali? La pandemia è forse una punizione di Dio? C’è una forza oscura (Satana) che vuole il male dell’uomo? O tutto il corso della storia è frutto del solo operare umano? O è una sequenza casuale? O, al contrario, tutto è già determinato a priori?

Ma, si può obiettare, l’abitudine delle Chiese del passato, quella di dare risposte a domande di questo tipo, è tipica di una età infantile della religione, di quella età pre-moderna in cui c’era il “Dio tappabuchi”. Perché mai l’avere una fede, comporterebbe il capire la storia e ragionarci su? Si può forse ragionare sulla storia usando parametri religiosi che “superino” i parametri scientifici? Quest’ultimo è un problema cruciale per la vita spirituale delle religioni moderne: è il vecchio problema del rapporto fede-ragione, ma non nei termini di una possibile riconciliazione delle loro opposte posizioni nella passata “guerra”, ma come capacità di rispondere alla storia contemporanea in maniera progressiva.

La mia opinione è che nell’età moderna, in cui la società è composta da molte e forti strutture sociali, le Chiese modernizzate dovrebbero formulare una analisi strutturale della vita sociale[ii]. In ogni tempo esse, per rispondere adeguatamente ai mali nel mondo dovrebbero dare una sintesi spirituale-culturale della situazione del proprio tempo; cioè, una coscienza del mondo in cui si vive non solo nei suoi aspetti soggettivi e oggettivi, ma anche nei suoi aspetti strutturali, specie quelli negativi (i peccati strutturali). Su questi esse dovrebbero dare risposte, anche se fossero precedute da risposte scientifiche; cioè dovrebbero costruire metanarrative in grado di confrontarsi anche con la scienza e includerla nel loro tipo di spiegazione; avendo beninteso la coscienza che il loro costrutto potrebbe alla fine risultare del tutto momentaneo; perché si sa bene che la storia effettiva della umanità va avanti su una linea che è fatta di successivi segmenti divergenti sia dalla linea d’avanzamento effettivo sia tra loro, ogni segmento essendo illuminato dalla coscienza collettiva di quel dato periodo.

Questo impegno di dare metanarrative storiche vale ancor più per quella religione, la cristiana, che ritiene che Dio, facendosi uomo, sia entrato nella storia e abbia fondato in terra una organizzazione, la Chiesa, per condurre il “gregge dei fedeli” attraverso le vicissitudini e le avversità della storia; quindi questa Chiesa ha una precisa responsabilità morale di costruire una coscienza storica da suggerire ai fedeli e alla popolazione mondiale.

In effetti, dopo il Concilio, che aveva mancato a questo compito, nel 1968 la Teologia della liberazione ha dato una precisa risposta ai mali strutturali (il dominio politico USA e il feroce sfruttamento capitalistico) della società sud-americana. Però questa teologia, invece di produrre una sua analisi della società e della storia, aveva assunto (più o meno ideologicamente) quella del marxismo, la quale aveva i pregi di essere al suo tempo l’unica analisi strutturale e di dichiararsi più scientifica della scienza corrente[iii].

Ma, nonostante questo esempio storico della Teologia della liberazione, oggi le religioni modernizzate, pur venendo rinvigorite dalla richiesta popolare di maggiore assistenza per combattere spiritualmente la pandemia, non hanno saputo dare una risposta specifica che abbia fatto cultura tra i fedeli[iv]. A mia conoscenza, nessuna autorità religiosa ha cercato di vagliare le domande suddette per indicare alla gente ad es. la risposta tradizionale (un castigo di Dio), o un disegno provvidenziale; né si è alleata agli ecologisti per accusare la attuale politica internazionale di mala gestione della Terra.

Anche perché gli Stati occidentali sono sostanzialmente fermi alla pace di Westfalia del 1648 (che, per evitare guerre tra le religioni, interdice le Chiese di dirigere gruppi politici[v]); per evitare scontri tra religioni e con gli Stati stessi, questi preferiscono che le Chiese non rispondano al CV, in modo che resse restino confinate nei loro compiti assistenziali tradizionali, rispetto ai compiti decisionali dello Stato.

Di fatto, le Chiese modernizzate non hanno dato risposte alla pandemia; né hanno colto l’occasione per chiarire il problema di come darne. Cosicché hanno lasciato la coscienza dei fedeli nello sbandamento interiore.

Oggi, finita la Teologia della liberazione e con essa la sua analisi storica, forse i cristiani (e in particolare i cattolici) non sono più capaci di formulare una nuova coscienza storica?

Davanti al CV tutto sembra appiattito su un atteggiamento religioso di tipo “buddista”: il “far buon uso del male”; posizione che però può anche corrispondere a un ritirarsi dalle responsabilità sociali. La religiosità deve restare solo privata? Il pensiero religioso deve essere solo debole?  Oggi sembra che non siamo in grado di nemmeno distinguere questo bivio.

  1. La Chiesa cattolica: scacco dell’ottimismo del Concilio e della sua svolta antropologica

Nel 1965 i 2.300 vescovi di tutto il mondo, riuniti nel Concilio Vaticano II, hanno dato una svolta alla evoluzione storica della Chiesa cattolica soprattutto con lo schema XIII, Gaudium et Spes; esso ha espresso l’ottimismo dell’incarnarsi fiduciosi nella storia; ottimismo che poi è stato vissuto da tutta la cattolicità per mezzo secolo; cioè fino a quando la pandemia del CV ha costretto la Chiesa cattolica a subire un primo male mondiale. Se è stato bello avere avuto mezzo secolo di ottimismo sulla storia alla quale essa si era aperta (di fatto, alla storia di un mondo in crescita quantitativa), ora che, attraverso la pandemia del CV, la storia presenta un conto salato per tutti, che cosa risponde la Chiesa cattolica? Come andare oltre la ingenuità degli slogan di speranza che “Tutto andrà bene” perché “anche questa volta il male si risolverà presto e bene”?

Si noti che subito dopo il disrupt del 1989 (che ha rivoluzionato l’ordine politico mondiale) nel 1991 papa Woytila, ebbe la prontezza di spirito e la capacità intellettuale di caratterizzare l’evento con una enciclica, la Centesimus annus; essa (nel cap. III, “L’anno 1989”) iscriveva quell’evento in un disegno storico che superava la resa dei conti immediata (ad es. essa rivalutava le “forme spontanee della coscienza operaia, che esprimono una domanda di giustizia e di riconoscimento della dignità del lavoro, conforme alla dottrina della chiesa.”; n. 26). Questo scritto dimostra che la Chiesa cattolica può fare coscienza storica puntuale. Perché allora davanti a questo nuovo disrupt, essa tace? [vi]

Qui si nota un limite di tipo culturale dell’attuale Chiesa cattolica. Essa si è modernizzata con il Concilio. Il quale però non si è basato su analisi delle strutture sociali, ma sulla cultura umanistica, quella cultura che ha creduto di poter sopravvivere in eterno senza subire crisi davanti a qualsiasi disrupt scientifico e tecnologico.

Di fatto, il Concilio ha ignorato il potere culturale e sociale della scienza nel mondo. Su di essa la Chiesa del Concilio si è avvicinata (sotto suggerimento di Karl Rahner) a una presa di coscienza; ha acquisito la scienza più “debole” perché meno strutturata internamente (e quindi più facilmente abbordabile) e l’ha tradotta in una sua versione ecclesiale: così ha compiuto a ‘svolta antropologica’ (il papa ha chiuso il Concilio indicandolo come una svolta della Chiesa «verso la direzione antropocentrica della cultura moderna»).

Poi dopo però, la Chiesa, ormai entrata nella storia (anche come protagonista; vedansi il viaggio del papa Woytila in Polonia nel 1979 e il suo viaggio nel Nicaragua dei sandinisti, ecc.) non ha proseguito la sua ricerca sulla scienza moderna, ad es. acquisendo l’altra scienza della società, la sociologia; perché questa ultima (pur con tutti i suoi limiti culturali) avrebbe imposto alla Chiesa una fredda presa di coscienza della sua decadenza; il che avrebbe richiesto rimedi drastici, che però erano estranei alle gestioni ecclesiali di quei tempi.)

Perciò nel dopo Concilio la Chiesa non ha messo in questione radicale la dottrina sociale cattolica per riformularla interamente secondo una analisi scientifica della società. La teologia stessa avrebbe dovuto cambiare radicalmente per tenere conto della razionalità scientifica ben di più che per la esegesi dei testi biblici[vii]. Cosicché la chiesa cattolica non ha compiuto una analisi strutturale della guerra e della difesa nazionale, né della scienza economica (nonostante lo scoppio della bolla del 2008 e la crisi degli Stati nel mondo), né del fatto che la Chiesa è anche uno Stato (di tipo occidentale!). Cioè nel dopo Concilio non si è realizzato un legame fede-ragione che illuminasse la vita dei fedeli, specie davanti ai mali sociali; e non perché si è caduti nel relativismo o nel nichilismo, come temeva papa Ratzinger nella enciclica Fides et ratio del 1998, ma per il disinteresse della Chiesa perle analisi scientifiche della realtà.

Allora è naturale che, al sorgere di un problema strutturale quale è la pandemia, la “antropologia cristiana”, che riguarda fenomeni culturali di piccoli gruppi sociali, abbia mostrato il suo limite intrinseco: essa non può dare una risposta su questo evento, perché esso è causato da vari mali strutturali mondiali (inquinamenti, economia capitalista, scienza e tecnologia imperiali). Allora è naturale che al tempo del CV la Chiesa cattolica taccia, benché la scienza sanitaria abbia introdotto nuovi “vaccini” che agiscono non sui geni ma comunque a livello genetico. Senza saper dare risposte adeguate, allora la Chiesa è ricaduta nella “non-scienza”. Su questo punto è tornata al pre-Concilio, al pre-moderno.

Qui è emerso un nodo profondo della vita spirituale della Chiesa. La mancanza di risposte a problemi urgenti, ha fatto ricordare che, in effetti, i problemi ecclesiali irrisolti sono tanti. Infatti, non c’è giudizio condiviso sul Concilio (addirittura c’è una eresia: Lefevre). Non si risponde alla domanda di Kueng: il papa è veramente infallibile? E poi: l’organizzazione ecclesiale interna deve essere verticistica? Come valutare il ripensamento moderno della sessualità (psicoanalisi, pillola contraccettiva, la castità dei sacerdoti, le donne nella Chiesa, i gruppi LGBT)? La guerra cosiddetta “di difesa” è da ammettere e con essa sono da ammettere i cappellani militari che sono ufficiali dell’Esercito? Le armi nucleari sono immorali (oltre che per il Papa, anche per i cappellani militari e i soldati che le custodiscono)? Perché il capitalismo non è scomunicato come il comunismo? La teologia non dovrebbe riflettere sulla fine della teologia della liberazione? Come mai oggi essa ignora le negatività strutturali della storia umana? Il peccato strutturale (appena accennato dalla Sollicitudo rei socialis 1987) è da prendere come concetto teologico-guida, o no? Ogni progresso della Scienza e della tecnica è buono?

Utilizzando la fortunata formula per caratterizzante il Concilio, “La Chiesa si è aperta alla storia” (Alberigo) notiamo che il Concilio voleva certamente aprirsi alla storia, ma voleva anche inserirsi nelle sue pieghe per fare da lievito; a questo scopo avrebbe dovuto leggere e capire la storia. Ma in questi lunghi sessanta anni di dopo Concilio la cattolicità (ma anche, più in generale, la cristianità) ha mancato a questi compiti verso la storia alla quale la Chiesa si era aperta. Per cui oggi ci si può chiedere se la Chiesa, entrata nella storia per portare avanti un suo programma valido per tutti nel mondo, poi, per accontentarsi della gestione della sua istituzione, abbia smarrito l’obiettivo originario e così abbia perso una direzione.

Se però la Chiesa, che si dice essersi aperta alla storia, anche oggi, al tempo di una pandemia mondiale, non arriverà a ragionare sui fatti, la modernità tornerà a confinarla nell’animismo.

Tanto più che oggi altri problemi enormi incombono su tutta l’umanità: la fame nel mondo; la medicina di tipo meccanicistico materialistico (basata sul meccanismo causa fisiologica-controeffetto biochimico; per di più essa ora non dispone più di antibiotici efficaci ed è entrata in un nuovo mondo di malattie.[viii]); la corsa suicida agli armamenti; il capitalismo gigantesco delle multinazionali; la pantagruelica economia finanziaria delle banche (e delle mafie); la globalizzazione del mercato e dei consumi; la disoccupazione mondiale che ricatta la sopravvivenza degli “scartati”; l’inquinamento antropico e l’enorme impronta ecologica della parte benestante dell’umanità; l’invasione della tecnologia (web, robot, bionica); l’imposizione dello Stato occidentale come unico possibile; l’impotenza dell’ONU nella gestione politica mondiale. Oggi la gente si trova senza aiuti istituzionali per cercare la luce necessaria per risolverli.

Silenzio della coscienza mondiale?

Si può ben dire che oggi la vita dei fedeli è battuta da una pioggia copiosa di problemi. Questi sono così tanti da comporre tutti insieme un diluvio; nell’allagamento crescente, la vita ecclesiale è paralizzata ed è rimasta senza bussola per cercare la via d’uscita collettiva.

  1. La leadership morale di Papa Francesco

Ma oggi la Chiesa del dopo Concilio ha forse perso anche il timone? Certamente no. L’attivismo di papa Francesco ha ottenuto una grande autorità pastorale presso i cattolici e oltre; egli si fa ben sentire nel suo stare al suo posto di papa. Ma egli dirige il timone verso dove?

Qui riprendo la mia valutazione del papato di Francesco[ix], scritta dopo un anno dal suo inizio (la riprendo anche per esprimere la sua conclusione in maniera più chiara). I 2300 vescovi del Concilio emisero tredici documenti per lanciare una riforma della religiosità vecchia di secoli; però i fedeli non poterono concepirla concretamente perché non ci fu qualche persona o gruppo che l’abbia impersonata in maniera esemplare. Passati sessanta anni (nei quali sono avvenuti gli scontri interni sullo scisma di Lefevre e sulla Teologia della liberazione; poi è avvenuta la fine di questa teologia a causa della scomparsa dei Paesi-guida del socialismo e della loro tradizionale analisi politica), papa Francesco ha raccolto l’eredità del Concilio e l’ha rivitalizzata. La affascinante umanità di papa Francesco assolve a una funzione fondamentale: egli sta facendo rivivere lo spirito del periodo iniziale dal Concilio; papa Francesco, posto nella posizione più visibile della Chiesa, ha riattualizzato quella riforma della fede cattolica; con la sua testimonianza di fede coinvolge tutti a rinnovare la comunità ecclesiale. Oggi i fedeli trovano nel linguaggio immediato di papa Bergoglio quello spirito conciliare, che, dopo il 1965, si era disperso in battaglie puntuali tra tradizionalisti e progressisti, tra il sì e il no al Concilio.

Egli ha impersonato anche la “svolta antropologica” del Concilio affrontando anche le strutture sociali. Rispetto alle strutture interne della Chiesa ha dato forti spunti per risolverne i problemi più evidenti. Soprattutto ha promosso un nuovo modello di vita ecclesiale, quello in cui si ripone tanta fiducia nei rapporti umani da tendere a svuotare la Chiesa delle sue molteplici strutture. Questo modello era stato anticipato da San Francesco, ma poi era stato o soffocato, o svuotato di contenuti precisi dal modello di tipo gerarchico e burocratico. Egli ha stabilito il pieno diritto di piena cittadinanza di tutti i cristiani che vivono la Chiesa nella semplicità, alla “S. Francesco”. Ha anche caratterizzato la situazione della Chiesa attuale come quella di “un ospedale da campo”. Io credo sia meglio dire che, sotto il diluvio dei problemi egli ha costruito un’Arca di salvezza nella quale ha imbarcato tutte le persone di buone speranze che vogliano sopravvivere e nel dopo diluvio cercare di ricostruire una vita piena.

Allora c’è da chiedersi: questa sua risposta personale, molto umana, è volta a uno sforzo illimitato, o, sull’esempio di San Francesco, che seppe combattere in anticipo il capitalismo nascente nel padre Bernardone, riuscirà a dare una risposta storica agli odierni mali strutturali? Si capisce bene che a questo scopo egli dovrebbe andare oltre una cultura solo antropologica: dovrebbe costruire un linguaggio universale che sappia comprendere e indicare le strutture della società contemporanea; e poi elencare con precisione le sue strutture negative (anche quelle interne alla Chiesa). Infine, per applicare una precisa strategia, gli occorrerebbe un movimento ecclesiale strutturato che, dal basso, collabori con lui per modificarle politicamente o costruendo le loro alternative.

Ma non ci si può aspettare da papa Francesco questo tipo di cambiamento storico; egli ha sempre manifestato distacco dal pensiero strutturato; inoltre lancia messaggi come se egli fosse un qualunque cittadino che protesta, oppure come un capo di Stato che però, se non viene ascoltato dalle strutture politiche, non reagisce in modo adeguato[x].

Di fatto, egli appare trainare con fatica i cattolici, perché sui peccati sociali strutturali non è arrivato a promuovere un linguaggio comune nella Chiesa; pur portando a compimento, con la sua persona, lo spirito del Concilio e pur avendo messo a disposizione di tutti la sua coscienza di tipo antropologico, egli non ha scalato a un livello superiore; in particolare, non ha costruito un programma di risposta al fenomeno storico della globalizzazione della popolazione mondiale, il quale di fatto ha cambiato le tradizionali strutture della società e (con la nuova finanza) anche quelle della Chiesa; la cui struttura interna di Stato del Vaticano continua a sopravvivere più o meno come prima. Né ha imbarcato nella sua Arca qualche precisa forza sociale che lo sostenga attivamente: difatti non ha soggetti collettivi unisoni con lui, né dentro la Chiesa cattolica (salvo un poco la Comunità S. Egidio), né tra i movimenti alternativi (ecologico, ecc.).

Nel mare tempestoso dei problemi irrisolti della attuale vita mondiale e della Chiesa stessa, mentre le nubi basse e cupe dei tanti problemi impediscono di vedere le stelle, l’Arca di Francesco-Noé, suo timoniere, di fatto sta navigando a vista tra un’onda e un’altra (ad es., a che è servito il “Giubileo mondiale straordinario della misericordia” del 2015?).

  1. Perché papa Francesco non ha applicato la Laudato sii?

Eppure si può ben suggerire una chiara spiegazione religiosa-ecologica della pandemia; pur di basarsi sulla interpretazione, data dal cattolico Lanza del Vasto di Apocalisse 6, 8 e 13[xi]: qui sono indicati almeno quattro flagelli, non mandati da Dio, ma “fatti da mano d’uomo”, Il recente, poderoso progresso di Scienza e Tecnica, quasi un superflagello, ha spinto l’umanità attuale a un modo di vivere che comporta una enorme impronta ecologica; questa impone alla natura il flagello della Guerra (grandiosi allevamenti industriali degli 80 miliardi di animali allevati per l’innaturale alimentazione carnivora umana, estinzione di specie animali, deforestazioni, svariati tipi di inquinamenti terresti, dieci milioni di nuove molecole immesse tra quelle naturali, invasione del vissuto personale e dell’ambiente da parte di una pletora di artefatti scientifici, ecc.), fino a ridurre la natura a una sopravvivenza stentata, alla Miseria. La natura, stressata, ha reagito sull’aggressore con la pandemia del CV che ha creato nell’ambiente umano il flagello della Sedizione; e che, attraverso gli organi politici, ha imposto alla popolazione mondiale il flagello di una Servitù dai poteri costituiti. Da questi flagelli l’umanità deve rifuggire cercando non solo la propria sopravvivenza materiale, ma, secondo la sapienza dei testi sacri, soprattutto una conversione; che però nel tempo moderno deve essere anche e soprattutto dalle strutture sociali negative. E’ chiaro che nel caso della pandemia del CV la conversione strutturale consiste nel concepire e attuare un nuovo tipo di progresso della organizzazione sociale, tale da non comportare mai più squilibri nella Natura.

In realtà, nel 2013 papa Francesco, per intuito, aveva risposto in anticipo al CV con la enciclica Laudato sii. In essa (nel n. 66) egli aveva caratterizzato i peccati strutturali in generale e con essi aveva messo in discussione la struttura portante di tutto l’inquinamento ambientale; tanto che nei nn. 102-108 e 114 aveva chiamato tutti a “una rivoluzione culturale”, basata su un ripensamento anche di scienza e tecnica (molto criticate nei nn. 102-114 della enciclica) .

Ma, nell’occasione cruciale dell’attuale disastro ecologico mondiale, papa Francesco non ha fatto buon uso della Laudato sii; egli non l’ha applicata alla pandemia. Sulla base di essa avrebbe potuto almeno invitare i poteri mondiali a una maggiore attenzione ai problemi ecologici, i quali sono per lo meno una concausa della pandemia; poi avrebbe potuto individuare la causa generale del disrupt della pandemia con lo stress ecologico dell’ambiente; e anzi, avrebbe potuto discutere questo tipo occidentale di scienza che penalizza la scienza ecologica; e infine, come massima autorità morale al mondo, avrebbe potuto dichiarare immorali i laboratori (militari) del CV, che, come a Wuhan, studiano come aumentare la infettività e la mortalità dei virus.

Purtroppo davanti alla pandemia papa Francesco ha risposto ancora una volta con un atteggiamento solo “umano” o quasi. La sua grande autorità ha dirottato la domanda della gente, rivolta a ottenere una coscienza e una razionalità di fede sull’evento CV in una spinta alla semplice speranza per tempi migliori[xii]. Invece di una risposta teologica di tipo strutturale sul CV egli ha rivolto l’attenzione al futuro: ha battuto e ribattuto che “tutto non deve tornare come prima, alla normalità” (mentre per il tempo presente implicitamente invitava alla sopportazione del male e all’impegno a piccolo raggio)[xiii]. Tutto ciò è poco più di una risposta consolatoria per i fedeli che cercano soprattutto la propria sopravvivenza al CV, Il che significa che come papa non ha dato vere risposte[xiv].

Cosicché egli ha lasciato che la causa della pandemia restasse un mistero religioso, in parallelo al mistero di tipo laicista che tutte le istituzioni sociali, per mancanza di risposte da parte della scienza, avevano già costruito nella società civile. Ha lasciato che nella notte buia della ragione scientifica, anche la ragione religiosa restasse al buio. Egli ha lasciato che la sua Arca puntasse all’andare solo al di là dell’onda incontrata, fino alla prossima.

Con il CV la popolazione mondiale è oggi ridotta a “gregge” (come si dice in gergo sanitario) senza nemmeno aver raggiunto, dopo due anni, la immunità. Per di più ora la pandemia viene presa come un male ineluttabile, senza una prospettiva, o politica o spirituale, di riscatto[xv]. La attuale gestione politica della pandemia si è consolidata, ha solo da temere che o “il vaccino”, fornito in gran fretta dalla scienza e poi distribuito da alcuni Stati alle loro popolazioni, risulti troppo avventuroso, per aver esplorato azioni a livello genetico; o avvengano ulteriori disrupts politici mondiali.

Ancora all’orizzonte non appare la colomba con il ramoscello d’olivo della società più giusta e pacifica che il papa-Noé e con lui molti altri si aspettano dalla fine del CV. Sembra che tutto sia destinato, al meglio, a “tornare alla normalità”.

La storia di questa pandemia è forse una storia insensata, sia secondo la scienza, sia secondo la fede?

  1. Ma è avvenuto un nuovo disrupt, di tipo politico!

Però le precedenti valutazioni pessimiste sarebbero valide se lo sviluppo storico dipendesse solo dalla Chiesa cattolica (che infatti i fedeli cattolici vedono come un unicum nella storia e quindi al centro della storia del mondo) e/o dall’attivismo di papa Francesco. Ma la attuale Chiesa è penalizzata dal suo continuare a essere anche uno Stato (del Vaticano). Di fatto, il segmento storico realizzato da papa Francesco è divergente rispetto alla linea di avanzamento spirituale perché il Cristianesimo, costituito come Stato è inglobato nella politica di potenza dell’Occidente, è alleato con tutti gli Stati consumisti e di fatto sostiene la scienza e la tecnica che imperano nel mondo. Certo, Papa Francesco ha demitizzato il suo Stato; sta segando il ramo dell’albero su cui è seduto. Ma tuttora lo Stato del Vaticano mantiene in tutto le sue strutture (dalla difesa armata demandata all’Italia e alle bombe nucleari degli USA, ai tribunali che operano secondo una giurisprudenza di tipo occidentale, alla finanza speculativa delle oligarchie del mondo); tutto ciò è di ostacolo al suo fare profezia. Cosicché il popolo cattolico attuale non può seguire con entusiasmo un uomo semplice e spirituale che però nel mondo è l’unico capo religioso a essere un capo di Stato occidentale; tantomeno lo può fare l’Occidente laicista che diffida dalle commistioni religiose-politiche.

Ma nell’agosto scorso è avvenuto un nuovo disrupt, questa volta di tipo politico (e scollegato dalla evoluzione della Chiesa cattolica); riguarda il concetto di Stato. Intanto è avvenuto un disrupt nello Stato-superpotenza, gli USA. Negli anni ’50 Lanza del Vasto aveva previsto la “caduta dell’eroe occidentale”[xvi]. Gli USA sono un “eroe” così potente che nessun nemico può attaccarlo; ma è decadente; quindi è soggetto a un fatalismo; e proprio perché è occidentale il suo fatalismo è di tipo attivo; come Edipo, lo stesso eroe va ad attuare la profezia della sua distruzione, che così diventa una auto-distruzione.

Già nel 2020 lo Stato USA è rimasto spiazzato dall’insorgere della pandemia. Superbo della sua potenza anche sanitaria, quello Stato (con il Presidente Trump) non ha preso le minime contromisure; e così ha penalizzato la sua popolazione a subire la pandemia. Perciò ha perso la sua tradizionale leadership mondiale nella innovazione sociale; piuttosto nel mondo sono diventati Stati di riferimento su come affrontare la pandemia la Cina, Cuba (e anche un po’ l’Italia).

Ma soprattutto, nell’agosto 2021 in Afganistan, dove gli USA avevano orgogliosamente voluto una guerra per “vendetta” e non per “giustizia” (papa Woytila), questa superpotenza militare ha dovuto ammettere di essere stata sconfitta da una piccola nazione arretrata in una feroce guerra durata quasi vent’anni che ha lasciato un disastro sociale; e la sua ritirata militare è stata una memorabile fuga da resa incondizionata. Lì è finita la espansione del suo Stato-Impero mondiale; lì è pure finito il “secolo americano”.

In più a settembre in Afganistan è avvenuto proprio ciò che quella guerra voleva evitare: la nascita di un ulteriore Stato di tipo islamico (che non fosse uno Stato fantoccio, come ad es. quello dell’Arabia saudita).

Sia chiaro che il nuovo Stato afgano non è quello ideale neanche per il modello di sviluppo islamico; esso rappresenta un segmento divergente rispetto alla linea dello sviluppo storico; perché ai talebani occorrerà tempo per chiarirsi quale tipo di Stato vogliano costruire; così come occorreranno decenni prima che sia completata la sperimentazione storica di quegli Stati islamici che sono già nati: quello iraniano (esorcizzato sia dall’Occidente perché è duramente anti-USA, sia dagli islamici perché rappresenta solo la minoranza sciita), quello politicamente tenebroso dell’Iraq, quelli aperturisti della Tunisia e del Marocco e quello ondeggiante del turco Erdogan. Tutti questi Stati islamici rappresentano segmenti storici che sono divergenti tra loro e anche dall’avanzamento globale. Ma oggi il fatto politico importante è l’aggiunta dello Stato dell’Afganistan a quelli già nati; questa aggiunta, sofferta con venti anni di guerra,  ha reso irreversibile, non occultabile e non assorbibile dallo Stato occidentale la presenza di un tipo di Stato non occidentale e programmaticamente islamico.

Cosicché il disrupt politico del 2021 non è venuto dal rinnovamento degli Stati del secondo modello di sviluppo, quelli socialisti (che erano incominciati a nascere un secolo fa); né dalla nascita dello Stato del quarto modello di sviluppo (quello non violento gandhiano, operante principalmente dal basso; che oggi è solo anticipato dai movimenti mondiali per la pace e per l’ecologia); ma è venuto dallo Stato del terzo modello di sviluppo, quello che è basato sui rapporti umani (di gruppo e di etnia) e su un potere autoritario religioso (islam = obbedienza).

Nel contesto internazionale questa novità è sostenuta da due forti pressioni politiche che il mondo islamico esercita sul tradizionale concetto di Stato occidentale: 1) la pressione storica delle rivoluzioni del 2011 (quelle della “primavera araba”), le quali (almeno all’inizio) avevano scelto non la lotta armata terrorista di Al Qaeda, ma le azioni non violente; e non lo Stato del Califfato, ma un nuovo concetto di Stato islamico: democrazia più shariia; il che ha preparato sull’arena politica internazionale la nascita del terzo modello di sviluppo, dopo che nella storia sono già nati il modello di sviluppo liberale e quello socialista; 2) la pressione delle migrazioni. L’Occidente ha bloccato la primavera araba mantenendo le sue oppressive demo-crature (ad es. in Egitto), oppure combattendo guerre (per procura, al fine di avere il dominio sui beni della Terra). Allora ogni islamico, se non riesce a esprimersi nel suo Paese, a milioni si muove per attraversare l’inferno (a rischio di morirci) per raggiungere un Paese dove possa sopravvivere in una democrazia. La debordante immigrazione illegale di decine di milioni di persone mette in discussione radicale la costituzione dello Stato di tipo occidentale, perché svuota in continuazione l’importanza politica delle sue caratteristiche basilari: i confini territoriali e la sua giurisprudenza (del passaporto).

Dopo il restart che ogni persona ha dovuto compiere al primo impatto della pandemia, ora c’è un restart della politica mondiale. La novità del tipo di Stato islamico non è geograficamente confinabile ad alcuni territori particolari, perché porta una novità politica precisa: la stessa esistenza di Stati del terzo tipo non permetterà più una contrapposizione mondiale tra due soli super-Stati; perché essa comporta la prospettiva di un pluralismo di tutti i tipi di Stato; i quali si dovranno tollerare tra loro risolvendo i conflitti internazionali con l’esercizio costante della diplomazia e della non violenza.

Inoltre la novità non è locale perché nella storia della concezione dello Stato, quello islamico vuole sottoporre la democrazia alla shariia, la etica islamica; perciò questo Stato appare del tutto incompatibile con la tradizione del mondo occidentale, che da un millennio ha costruito lo Stato sulla sola razionalità giuridica, materializzata con istituzioni sociali; e che pertanto da secoli (con Hobbes, Machiavelli e Lenin) ha teorizzato la separazione dell’etica dalla politica[xvii]. Questa separazione è attuata ancor più oggi, quando lo Stato occidentale alla fine ha affidato tutta l’organizzazione sociale alla razionalità della scienza e della tecnologia; le quali oggi imperano sui popoli senza essere soggette a un qualche tipo di etica (a parte le regole di comportamento per partecipare al mercato liberista mondiale). Quindi il fatto che gli Stati islamici pongono l’etica religiosa prima della legge civile rappresenta la ripresa dell’importanza dell’etica contro il decadentismo etico occidentale; e, in generale, la ripresa dell’etica contro una modernità incontrollata eticamente.

Questa novità non è geograficamente locale anche perché riguarda la politica ecologica nel mondo. Le limitate misure di solo contenimento della pandemia (e poi il convegno COP 26 dell’ONU a Glasgow nel novembre 2021) hanno dimostrato che il tipo di Stato occidentale è incapace di mettere mano all’attuale disastroso rapporto dell’umanità con la natura; è diventato chiaro che la sua razionalità, pretesa universale, e la sua giurisprudenza, pretesa onnicomprensiva, sono essenzialmente insufficienti di fronte alla aggressività soffocante delle novità tecnologiche. Quelle odierne possono sconvolgere il vivere associativo. Oggi il progresso tecnologico permette a una singola persona di scatenare disastri inauditi (bombe nucleari portatili a zaino, clonazioni e chimere biologiche prodotte in un piccolo laboratorio, droni killer, avvelenamenti di acquedotti urbani, ecc.). Per affrontare queste novità, occorre basarsi più che sulla legge (quand’anche ispirata a principi razionali universali e concordata a livello internazionale), su una etica. In particolare solo l’etica potrà coordinare miliardi di persone a realizzare una efficace politica ambientale sia nel prevenire mali globali, sia nel mantenere gli equilibri della natura non tanto per alcuni anni, ma per secoli, così come richiede il nostro abitare la Terra. Allora occorre innovare ogni Stato introducendo in esso l’etica (a partire da quella ecologica). Cosicché nella scena internazionale la odierna nascita dello Stato islamico, che fa dell’etica la base della convivenza sociale fa pressione affinché l’etica abbia un suo ruolo nella politica di ogni Stato e soprattutto nella politica internazionale, che, oltre i problemi ecologici, ha moltissimi altri problemi etici irrisolti. (Si noti ch al Costituzione italiana è molto avanzata rispetto a quelle di altri Paesi perché introduce elementi etici: “lavoro”, “ripudio” della guerra, “sacro dovere” della difesa collettiva, ecc.)

E’ da notare che anche in questa nuova prospettiva papa Francesco appare una figura centrale. E’ vero che rispetto al disrupt politico della nascita dello Stato di tipo islamico il suo Stato del Vaticano, rimasto saldamente occidentale, ha rappresentato un segmento divergente se non opposto; il limite antropologico di papa Francesco non gli ha permesso di mettere in crisi il suo Stato del Vaticano; né di suggerire una precisa critica alla razionalità giuridica occidentale e in definitiva alla modernità. Ma egli ha dato importanza primaria alle immigrazioni; ha fatto politica internazionale con il documento di Abu Dabi e con la enciclica Fratelli tutti, che riuniscono cristiani e islamici sulla etica almeno della fratellanza universale (il che ha anticipato l’importanza della nascita dello Stato islamico); in più, poiché i disastri ecologici sono la causa di questa pandemia ecologica, egli ne ha anticipato una risposta precisamente etica con la enciclica Laudato sii.

Si può ben dire che in questi otto anni del suo papato la sua Arca ha navigato a vista perché Francesco-Noé non sapeva dove dirigersi. Ma di fatto il suo stare al timone ha mantenuto la capacità di avanzare in maniera sostanziale; con ciò egli è andato concretamente d’accordo con l’istanza della religione islamica nell’applicare una etica (quand’anche criticabile) non teoricamente, ma nella pratica sociale del suo tipo di Stato, nonostante la contrarietà dei maggiori poteri istituzionali mondiali, scienza e tecnologia compresi. In questo senso, anche dopo l’ultimo disrupt, papa Francesco mantiene tutta la sua grande autorità morale, ora nel suo ruolo profetico di portare la sua Arca verso una nuova società internazionale.[xviii]

NOTE:

[i]         OXFAM, Rapporto sulle disuguaglianze nel mondo 2018, http://wir2018.wid.world/ . A. Drago, “Gli ultimi trenta anni: la loro grande negatività e la futura uscita”, Notiziario Centro D.S. Regis, 23/10/2018.

[ii]        Non possono dare risposte come quelle date nell’Ottocento davanti all’esplodere del conflitto di classe: allora esse cercarono solamente di mitigare il duro scontro sociale con soluzioni alla Ozanam (l’aiuto misericordioso ai poveri) o alla don Bosco (recupero dell’infanzia); cioè interventi sugli effetti collaterali o marginali; come tali questi interventi, benché  salva-anima, lasciavano immutato il quadro sociale.

[iii]        Ma nei Paesi-guida del socialismo (compresi Cuba, il Nicaragua e la Cina) la politica ispirata da una teoria marxista di un secolo prima ha dovuto scendere a compromessi molto pesanti con la realtà; e alla fine le rivoluzioni del 1989 hanno rifiutato le loro dittature. Da allora quei Paesi non hanno più rappresentato società politiche desiderabili e la Teologia della liberazione ha perso sia il riferimento statale ad quem, sia la analisi sociale (ormai da riformulare radicalmente). Inoltre le guerriglie che si ispiravano a quella teoria sono state scavalcate dalle popolazioni, le quali hanno fatto rivoluzioni con modalità non violente (nel sec. XX in America Latina queste ultime sono state efficaci all’83%, contro il 24% di quelle violente; vedasi il mio articolo La non violenza forza rivoluzionaria e innovatrice, Missioni Oggi, maggio-giugno 2017, pp. 16-18).

[iv]        Quasi tutti gli Stati hanno preso una decisione cruciale: anteporre la sopravvivenza della popolazione alla produttività industriale nazionale. La scelta non era per nulla scontata, perché all’inizio della pandemia Paesi come USA e UK l’avevano rifiutata (e tuttora il Brasile insiste). Alle Chiese va riconosciuto il merito di essersi associate agli Stati pro-popolazione. Ma poi, le Chiese hanno accettate acriticamente le decisioni politiche degli Stati per una difesa sanitaria corrente e si sono chiuse nella sopravvivenza dei loro riti e in una funzione assistenziale per attutire il peso sociale di quelle decisioni tra la gente.

[v]        La teologia della Liberazione che aveva superato questa vecchia restrizione in ambito non occidentale, di fatto aveva comportato anche lì la guerra civile, sia pure nella nuova forma bellica, la guerriglia.

[vi]        Il rapporto CENSIS, Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è e il loro fronteggiare la crisi, 2 luglio 2020, Roma rimprovera questo silenzio alla Chiesa cattolica italiana, specie nella risposta organizzativa. Giunge a dichiarare la Chiesa impreparata e incapace di reagire, ridotta a una “impantanata irrilevanza” (p. 82) per la “mancanza di una riflessione interna”. (p. 83). Su La Civiltà cattolica, n. 4089 , 7/21, nov. 2020 il direttore P. Spataro, anche se sottolinea che in realtà questo rapporto non si basa su dati sociologici, è costretto a dare giustificazioni. E’ interessante il fatto che i 32 numeri di questa rivista, usciti nel periodo  2 marzo 2020 – 3 luglio 2021, contengono 16 articoli dedicati alla pandemia, ma dispersi su aspetti vari e senza proposte importanti; ci sono cinque studi biblici che potremmo chiamare “assistenziali”, perché attualizzano il tema della sofferenza e dl come sopportarla; ma essi hanno attualizzazioni superficiali e soprattutto sembrano voler esorcizzare l’idea che sia stato Dio a mandare il CV. Fuori dal coro c’è un articolo del direttore (“Sfida all’Apocalisse”, n. 4069 del 4/18 gennaio 2021, pp. 11-26), che si pone abbastanza realisticamente davanti alle grandi sfide del “progresso” tecnologico e sociale del nostro tempo; ma senza collegarsi alla pandemia.

[vii]       Recentemente (5 maggio 2021) sotto la supervisione del Card. Vincenzo Paglia si è svolta una giornata di studio con i teologi Christoph Theobald, Elmar Salman e Pierangelo Sequeri per dichiarare la teologia in crisi e invitare tutti alla collaborazione per ricostituirla:  https://www.youtube.com/watch?v=Z1ErvpYl2VQ&t=3687s

[viii]       Si veda la analisi del dott. Ernesto Burgio in You tube https://www.youtube.com/watch?v=o7yWVWLGtg8 . E’ anche interessante la sua ricostruzione del piccolo dibattito pubblico avvenuto su: pandemia CV e intervento o non di Dio:  https://www.youtube.com/watch?v=ggil2VSQEPc

[ix]        A. Drago, Umano. Molto umano. Solamente umano?, Religioni e società, 30, 2015, pp. 81-89, pp. 88-89.

[x]        Egli ha il grande merito di aver sostenuto il bando delle armi nucleari (il quale, se attuato, bloccherebbe la attuale maniera di fare la guerra e nello stesso tempo un settore cruciale della parte negativa di Scienza e Tecnica). Ma poi a dicembre scorso ha ricevuto come un vecchio amico il Presidente USA, John Biden, benché questi (sia favorevole all’aborto e) disponga del più grande arsenale di armi nucleari nel mondo e lo stia potenziando senza scrupoli morali.

[xi]        Lanza del Vasto, I quattro Flagelli, orig. 1959, SEI, Torino 1996, cap. I.

[xii]       Il venerdì santo 27 marzo 2020, nel momento straordinario di preghiera organizzato in piazza S. Pietro a Roma, papa Francesco diceva: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità». E’ evidente la matrice antropologica del discorso, come pure la assenza di ogni risposta alle cause della pandemia, come pure di un appello alla ragione.

[xiii]       Invero, ha anche tentato risposte di tipo strutturale: ha chiesto la liberalizzazione dei vaccini; ma si è fermato davanti alle resistenze dei Paesi con un gran numero di cattolici, Francia e Germania.

[xiv]       Ma per la gente, che non vede segnali di altri leader (in particolare gli USA e l’OMS) quel che dice il papa è già qualcosa; almeno fa vedere che c’è una autorità ben presente e che prova a reagire con qualche dichiarazione popolare.

[xv]       Non tengo in conto il movimento ribellista attuale, anche se esso è visto alla Hegel come il necessario scontro politico fa da motore al progresso della storia, benché esso si senza una valida analisi storica e una cura sanitaria alternativa.

[xvi]       Lanza del Vasto, I quattro flagelli (orig. 1959), SEI 1996, cap. V, parr. 18-23.

[xvii]      Per primo Gandhi è andato contro questa separazione, restaurando l’etica sia nei rapporti della vita sociale (introducendo la risoluzione dei conflitti con la non violenza invece che con le uccisioni e le oppressioni), sia nei rapporti con le strutture social8 (ad es. ha combattuto e vinto l’Impero britannico senza ricorrere alle armi).

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Antonino Drago è stato professore associato di Storia della Fisica all’Università di Napoli, in pensione dal 2004, è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente, e insegna presso la TRANSCEND Peace University-TPU.


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This article originally appeared on Transcend Media Service (TMS) on 24 Jan 2022.

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