(Italiano) Quale pedagogia nei conflitti

ORIGINAL LANGUAGES, 7 Mar 2022

Giorgio Barazza  | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

1 Marzo 2022 – Questi appunti su quale pedagogia nei conflitti li ho scritti pensando a Gene Sharp che è stato per diversi anni direttore del Program of nonviolent sanctions del Center for International Affair della Harward University.

Le prime volte che avevo conosciuto gli scritti di Gandhi lavoravo in Fiat (in siderurgia, alle Ferriere) e volevo capire come lavorava con il conflitto in contesti produttivi. Così sono andato a cercare tra i suoi scritti, presenti al Centro Studi Sereno Regis, alcuni conflitti che aveva affrontato dopo il suo ritorno in India. Conflitti nel settore tessile, tra proprietari e lavoratori. Quello che mi ha colpito in quelle letture era che il conflitto da parte di Gandhi era anche una occasione per realizzare momenti di educazione popolare.

Con il tempo sono arrivato a pormi delle domande quando entro in un conflitto:

  1. Cosa fare dell’avversario. Quando ci troviamo in un conflitto come una delle parti conflittuanti o come parte terza e vogliamo sanzionare chi adotta comportamenti violenti, non solo fisici ma anche culturali o strutturali una delle domande che dobbiamo porci è cosa ne facciamo dell’avversario (“nemico”). Non tutte le sanzioni sono uguali. Alcune spingono verso una pace negativa che si limita al fare cessare, spegnere il fuoco; altre verso una pace positiva orientata a cercare soluzioni che affrontino i bisogni legittimi di tutte le parti la cui insoddisfazione ha fatto scoppiare l’incendio;
  2. Come dissuadere comportamenti inadeguati. Un altro problema che dobbiamo porci è come possiamo attraverso le sanzioni orientare i comportamenti verso un progetto costruttivo, verso una trasformazione delle relazioni tra gli attori. Come possiamo fare il modo che le sanzioni facilitano la costruzione di relazioni, aiutino la costruzione di un contesto che renda più sana e robusta la convivenza e meno probabile il riemergere del conflitto;
  3. Non siamo innocenti, come possiamo rimediare. La terza questione fa riferimento a uno dei cinque apprendimenti[2] attraverso i quali Johan Galtung, quando ha presentato la giornata internazionale della nonviolenza all’assemblea dell’ONU, ha sintetizzato quanto ha appresso dalla lotta per l’indipendenza dell’India sotto la direzione di Gandhi: mentre lotti purifica, metti ordine, in casa tua.

Sulla base di queste considerazioni quale politica possiamo adottare per dare una risposta alle tre domande sopra accennate.

VERSO L’ESTERNO – Collaborazione, sostegno a chi resiste senza usare la nonviolenza [3].

“Lo studio Dalla resistenza civile alla democrazia durevole, come la libertà ha successo[4], realizzato dall’International Center On Nonviolent Conflict, condotto su 67 transizioni che sono avvenute dal 1972 al 2005, in 33 anni, e che sono state monitorate in collaborazione con Freedom In The World Survey. Le transizioni hanno portato alla caduta di regimi corrotti, di governi autoritari, di stati mono partitici, di regimi militari, di monarchie.

Le conclusioni di questa ricerca sono le seguenti.

  1. Più spesso di quanto si pensi gli agenti del cambiamento sono nella resistenza civile nonviolenta. Attraverso le sue azioni (forme di lotta nonviolenta) delegittima il ruolo dell’autorità, erode le fonti del potere compresa la lealtà delle forze dell’ordine;
  2. dal come (il processo contiene il fine) avviene la transizione, dal tipo di forze che si battono per fare pressione per il cambiamento c’è un forte impatto su quello che sarà il successo o il fallimento della riforma democratica:
    • le forze civili nonviolente (people power) sono la maggiore forza di pressione per il cambiamento, decisive nella maggior parte delle transizioni;
    • c’è un piccolo effetto positivo per le transizioni “top-down” che sono lanciate e dirette da élite
    • le prospettive per la libertà sono significativamente più alte quando l’opposizione non usa la violenza;
    • l’attività di una forte coalizione nonviolenta riduce l’interesse (appeal) alla violenza ed allo stesso tempo porta a risultati più positivi verso la libertà.

Le opportunità per la libertà dopo un’apertura politica rappresentata dalla caduta di una situazione autoritaria non sono una garanzia nel lungo termine per lo sviluppo della libertà. È essenziale che indigeni, attivisti democratici, decisori pubblici nei paesi democratici comprendano quali sono i fattori e le strade più efficaci (in termini di costi-risultati) per aumentare le possibilità di successo per una transizione democratica.

Lo studio dimostra che queste transizioni sono una conseguenza di un effetto cumulativo di strategie nonviolente e coese coalizioni civili.

Fattori determinanti del successo

  1. Investire nella vita civile:
    • assistenza alle forze della società civile;
    • e assistenza mirata mettendo a fuoco educazione e training in resistenza civile nonviolenta;
    • assistenza per rafforzare le coalizioni civili attraverso cui la resistenza si esprime.
  2. Incoraggiare la creazione di larghe coalizioni di base:
    • queste organizzazioni richiedono forme di consenso attraverso modalità democratiche;
    • queste coalizioni rinforzano l’entusiasmo nei cittadini ordinari e negli attivisti dando loro il senso dell’importanza del momento e dell’unità e questo a sua volta fa da volano per mobilitare altra gente;
    • quando queste mobilitazioni raggiungono un livello di scala preparano milioni di cittadini all’attività civica e politica tali da renderli detentori del potere necessario che il cambiamento richiede, opportunità per raggiungere questo livello di massa critica sono i referendum e le elezioni nazionali;
    • al loro interno coltivano ambienti dove sono facilitati i compromessi, i terreni comuni, l’autodisciplina: questi gruppi di differenti credi politici imparano a lavorare tra di loro creando le basi per una tolleranza, diventano una scuola per la formazione di futuri leader nel periodo post transizione;
  3. Trasferire conoscenza (know-how) sulle strategie e sulle tattiche nonviolente di resistenza civile:
    • si tratta di fornire alle forze civili di resistenza espertising e training in modo da supportare la crescita di questa forza;
  4. Espandere lo spazio per le azioni nonviolente attraverso sanzioni mirate:
    • un meccanismo chiave per creare spazio di azione civile è di adottare sanzioni contro gli interessi economici del governo ufficiale che usa la violenza per reprimere la resistenza nonviolenta;
  5. Provvedere a accrescere le risorse dei media e dei sistemi di comunicazione indipendenti:
    • media indipendenti che denunciano il livello di corruzione e gli abusi di potere sono tattiche nonviolente che facilitano il processo di transizione.

VERSO L’INTERNO – non collaborazione con il “complesso militare-industriale-mediatico-accademico e le élite che lo gestiscono [5]

Ad esempio:

  • ritiro dei propri risparmi dalle banche armate e loro denuncia;
  • boicottaggio del commercio delle armi e loro denuncia;
  • non partecipazione alla Città dell’aerospazio, un polo tecnologico tutto dedicato all’industria della guerra che verrà realizzato a Torino [6];
  • adesione alla campagna sulle scuole disarmate;
  • raccontare i conflitti con l’approccio del giornalismo di pace;
  • riconoscere i bisogni legittimi dell’avversario;
  • prepararsi per essere in grado di affrontare i conflitti senza usare la violenza frequentando i percorsi formativi ad hoc: non si nasce nonviolenti; è una scelta, ci si prepara.

Note

[1] Per una valutazione dell’efficacia della politica delle sanzioni si veda il rapporto ISPI: Ammende efficaci se forti e globali, obiettivi raggiunti solo una volta su 3 di Eleonora Martini su il manifesto del 26/2/2022.

[2] Gli altri apprendimenti sono: 1) non aver paura di parlare con il tuo nemico; 2) non aver paura del conflitto è più una opportunità che una minaccia; 3) conosci la tua storia se non vuoi ripeterla; 4) rendi visibile il futuro.

[3] Si vedano, in dettaglio, le indicazioni della WRI che sono riprese nell’articolo di Angela Dogliotti “Di fronte alla guerra”.

[4] How freedom is won, from civic resistence to durable democracy, A research study from Freedom House, Adrian Karatnycky and Peter Akerman. Traduzione a cura dell’autore.

[5] Si veda il testo di Jan Oberg, Ucraina: l’occidente ha spianato la strada alla guerra con menzogne.

[6] Grazie all’intesa tra la Regione, il Comune, il Politecnico, l’Università, la Camera di commercio, l’Unione Industriale, l’Api, il Cim 4.0 e il Distretto aerospaziale piemontese.

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Giorgio Barazza è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente.

 

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