(Italiano) Incidenti Nucleari: Dalla Cronaca ai Dettagli
ORIGINAL LANGUAGES, 19 May 2025
Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service
Riflessioni a partire dal libro di Serhii Plokhy, Atomi e cenere. Dall’atollo di Bikini a Fukushima, storia di sei disastri nucleari, Le scie, Mondadori, Milano 2024.
Secondo Serhii Plokhy, un contributo al dibattito sulla sicurezza in campo nucleare arriva dallo studio della storia degli incidenti nucleari: studio che aiuta a capire come sono accaduti, quanto sono stati gravi, quale insegnamento possiamo trarne per evitare che si verifichino di nuovo. È questo lo scopo dichiarato del suo libro, in cui analizza i sei incidenti che occupano da sempre i primi posti nell’elenco dei peggiori disastri nucleari del mondo.
Civile e/o militare
L’Autore non separa le origini militari dell’industria nucleare dalla sua maturità, perché farlo metterebbe in secondo piano il fatto che gli “atomi per la pace” hanno ereditato tipologie di reattori, schemi, cultura, sostegno finanziario provenienti dalla ricerca sugli “atomi per la guerra”. I modelli-base dei moderni reattori, infatti, evolvono da un unico progetto internazionale militare, e sono meno di una decina, di origine statunitense, sovietica/russa, canadese e cinese. La filiera dell’uranio alimenta contemporaneamente la produzione di energia e la costruzione di armi atomiche. Di qui l’importanza di condividere (come suggerisce questo libro) informazioni preziose per smascherare gli errori compiuti ed evitarli in futuro.
Incidenti e silenzi
Di ogni ‘incidente’ l’Autore inizia la storia segnalando i dettagli delle prime tracce che indicano che c’è qualcosa che non va, qualcosa da cui conseguono conseguenze gravi. Talvolta è un imprevisto, frutto di un calcolo sbagliato: è il caso del test di un ordigno nucleare, Castle Bravo, fatto esplodere nel marzo 1954: la potenza prevista era di 6 megatoni, ma l’esplosione risultò di 15 megatoni, e coinvolse – senza preavviso – territori e persone enormemente più numerosi. In altri casi si verifica un intoppo: una valvola che non si apre, un segnalatore luminoso che lampeggia.
E’ capitato spesso che le previsioni del tempo siano risultate errate, e le correnti aree dopo test sperimentali abbiano portato la radioattività emessa verso luoghi diversi da quelli previsti. Inoltre molti ‘fallout’ – soprattutto nei primi anni – per errore non si considerarono pericolosi, e le ricadute radioattive contaminarono vaste aree (per esempio il Nevada in Usa, la Bielorussia in URSS) senza che gli abitanti ne avessero consapevolezza.
INCIDENTE. Avvenimento inatteso che interrompe il corso regolare di un’azione; incidente di percorso, espressione usata talora per indicare un contrattempo, un motivo d’interruzione; un infortunio che si verifica durante lo svolgimento di un’azione; una disputa sorta improvvisamente. (Dall’enciclopedia Treccani).
Radioattività
Il nucleare ‘civile’ e il nucleare ‘militare’ vengono in questo libro unificati da un comune protocollo: allarme radioattività. Invisibile, insapore, inodore, intangibile. I dosimetri, strumenti capaci di segnalare la presenza di radiazioni dannose, sono pochi, talvolta fuori uso; ogni tanto vanno fuori scala, e non sono più utili. Spesso non sono proprio disponibili. E non si sa – nell’istante dell’incidente e nei tempi successivi – qual è il rischio reale di essere esposti. In molti casi non lo si sa neppure dopo anni… L’evento perde la qualifica di ‘incidente’ e diventa un processo, una storia. Molte – anzi, tutte – le storie di incidenti nucleari non sono ancora finite.
PROCESSO. Manifestazione, svolgimento nel tempo di un insieme di fatti o fenomeni che hanno connessione tra loro e che danno luogo a un’evoluzione organica; serie di operazioni che si compiono per conseguire un determinato fine; procedimento, metodo. (Dall’enciclopedia Garzanti).
Ci sono volute 343 pagine di notizie, osservazioni, dati a Serhii Plokhy per raccontare gli aspetti salienti (e rintracciabili nella sterminata bibliografia) dei sei disastri nucleari (tra settore civile e settore militare) che hanno segnato la storia della Terra e hanno colpito milioni di persone, di comunità, di viventi. Sono disastri tuttora in corso, e non è possibile considerarli conclusi.
Confusione
Dopo ogni incidente le cose si complicano: occorre agire, ma spesso non si sa come. I responsabili non sono presenti, o non sono in grado di chiarire rapidamente quali sono le azioni giuste da compiere. Intanto passa il tempo: ore, giorni, talvolta settimane. Le conseguenze dell’incidente si espandono, si allargano geograficamente nelle quattro direzioni, talvolta anche verso l’alto e il basso. Mentre le cause sono ancora misteriose, le conseguenze dilagano, con effetti spesso sconosciuti, o tenuti segreti. Le autorità innaspano, gli esperti discutono, gli operatori chiamati ad agire subiscono sui loro corpi il fuoco, l’aria tossica, l’acqua avvelenata… e la radioattività.
I resoconti dettagliati, minuziosi e accuratamente documentati che ci offre il libro di Serhii Plokhy mostrano in modo evidente il livello di confusione che si è sempre creato in tutti gli incidenti nucleari. L’Autore – riferendosi a un incidente avvenuto molti anni fa in un piccolo reattore di ricerca (Chalk River) – sostiene che esso possedeva tutte le caratteristiche dei futuri disastri che avrebbero coinvolto reattori nucleari (pag. 199). Fu causato da una serie di errori commessi dagli operatori, associati a una strumentazione inadeguata e a problemi di comunicazione, in particolare l’inefficacia del sistema nel fornire informazioni corrette e tempestive sulla posizione delle barre di controllo all’interno del nocciolo del reattore.
Questa situazione si ripresentò in tutti gli incidenti successivi: sorpresa per eventi imprevisti, incompetenza, errori materiali, scarsa comunicazione tra gli operatori sono sempre stati tra gli ingredienti che non solo hanno causato gli incidenti, ma soprattutto hanno aggravato le situazioni e ritardato la presa di decisioni adeguate.
Soglia minima
In tutti i racconti dell’Autore compare qualche paragrafo in cui si parla di ‘soglia minima’. È un concetto determinante per i decisori, quando devono emettere ordini di evacuazione a intere popolazioni; è essenziale, per le squadre di soccorso medico, per quantificare i danni subiti dagli operatori, dai bambini, dalle comunità; è necessario per contabilizzare i danni e le compensazioni. La persistenza delle radiazioni nel tempo, e le difficoltà (o impossibilità) a eseguire misure hanno suscitato enormi difficoltà e molte polemiche in tutti i casi di disastri nucleari. Agli effetti sanitari diretti e immediati si aggiungono effetti tardivi, che possono manifestarsi a distanza di anni (leucemie, tumori) o di decenni: problemi circolatori e malattie cardiache.
Negli ultimi tempi sta prevalendo un’opinione espressa sinteticamente da un noto biologo di Harvard, premio Nobel della medicina, George Wald: “Ogni dose di radiazioni è un’overdose. Non esiste soglia di sicurezza” (citato dall’Autore a pag. 210). Secondo l’AIRC (Fondazione per la ricerca sul cancro) non è possibile determinare una dose al di sotto della quale l’aumento del rischio di sviluppare un tumore si azzera.
Resistenze
È sempre Serhii Plokhy , quando racconta gli eventi della centrale di Windscale, a informarci che – vista l’incapacità della scienza moderna di stabilire un legame diretto tra l’esposizione a basse dosi di radiazioni e certe patologie – alcuni professionisti della medicina proposero di varare un programma governativo che concedesse risarcimenti a chiunque nell’area di Windscale (sede di uno degli incidenti descritti nel libro) si fosse ammalato di cancro alla tiroide entro vent’anni dall’incidente. Né il governo né l’industria nucleare accolsero la proposta. I malati, con il sostegno delle famiglie e dei sindacati dovettero combattere nelle aule dei tribunali per ottenere risarcimenti.
Il drammatico aumento dei tumori alla tiroide tra i giovani inferiori a 18 anni colpiti dal fallout radioattivo a Chernobyl, nel 2005 era ormai vicino ai settemila casi. Questa pandemia non fu riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale fino alla metà degli anni ’90 (pag. 266).
Per ‘liberarsi di loro’
Chiudere un impianto nucleare non è facile. In realtà nessuno ha realmente dismesso (una cosa diversa dalla semplice chiusura) una centrale nucleare. Sicuramente, fa presente l’Autore a proposito dell’incidente di Windscale, c’è voluto molto meno tempo per costruire i reattori che per liberarsi di loro (pag. 164). Non si sa quali possano essere i costi complessivi di questo processo, ma ci sono validi motivi per credere che superino quelli della costruzione.
Secondo la IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) il tempo impiegato tra lo spegnimento permanente di una centrale nucleare e il completamento della disattivazione, può variare da circa un decennio a 70 o più anni, e cambia da paese a paese. Per esempio, la centrale nucleare di Three Miles Island fu chiusa definitivamente nel 2019. La bonifica del sito, dal costo stimato di 1,2 miliardi di dollari, non riuscirà a concludersi prima del 2078 (pag. 213).
La centrale di Chernobyl è stata definitivamente chiusa nel 2000, ma si prevede (secondo l’SNC – New Safe Confinement) che lo smantellamento finale, con la rimozione del nocciolo del reattore e di altri componenti contaminati, seguita dalla decontaminazione e dalla gestione dei rifiuti, sarà completato intorno al 2065.
Gli sfollati
Come per la determinazione della ‘soglia minima di danno’ per le persone irradiate, anche il conteggio delle persone costrette, in caso di incidenti, ad allontanarsi dalle loro abitazioni è difficilissimo da eseguire. In certi casi le evacuazioni furono ordinate dalle istituzioni locali, in altri casi sono state le persone che – allarmate -hanno deciso di allontanarsi spontaneamente dalle loro abitazioni, e i loro spostamenti non sono stati misurati.
In certi luoghi gli spostamenti sono stati molto tardivi, perché le popolazioni non avevano avuto segnalazioni dell’allarme. E’ il caso della Bielorussia, investita a sua insaputa dal principale fallout di Chernobyl: nel primo anno dopo l’esplosione 24.700 persone furono allontanate dalle loro case (IOM, 1997).
Dopo l’incidente di Fukushima gli ordini di evacuazione, che riguardavano aree abbastanza popolate, costrinsero circa 90.000 persone a spostarsi. Altre 90.000 si allontanarono volontariamente. Si tratta di un numero simile a quello degli sfollati di Chernobyl – circa 160.000 persone – alle quali si aggiunsero 130.000 profughi dalla Bielorussia e 5.000 dalla Russia.
Atomi e cenere: una lettura impegnativa ma istruttiva
Questo libro offre una narrazione di facile e scorrevole lettura, pur su un tema molto impegnativo, che propone uno sguardo all’energia nucleare molto diverso dall’approccio consueto. Qui le lettrici e i lettori sono accompagnati a ricostruire, passo dopo passo, lo svolgersi degli eventi; ad ascoltare opinioni diverse espresse dai soggetti in azione, a partecipare emotivamente a situazioni in cui traspaiono tensioni e dubbi. Riescono a cogliere indizi interessanti sui contesti geografici e sociali, sulle circostanze politiche, sulle relazioni internazionali.
L’abbondanza e varietà di informazioni fornite dall’Autore, che sono efficacemente contenute nelle note rigorosamente confinate in fondo, offre la possibilità di verificare ogni argomento trattato, lasciando a chi legge il piacere di sviluppare e approfondire in modo autonomo le innumerevoli curiosità e domande che possono sorgere, e soprattutto di elaborare una visione personale più consapevole sul tema dell’energia nucleare, oggi così aspramente dibattuto e così poco conosciuto.
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.
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Tags: Atomic Weapons, Chernobyl, Nuclear Weapons, WMD, nucle
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