(Italiano) Le lotte ambientali – World Swaraj?

ORIGINAL LANGUAGES, 12 Dec 2016

Elena Camino – Centro Studi Sereno Regis

Un oleodotto – una visione del mondo

6 dicembre 2016 – La “Dakota Access Pipeline”è il nome dell’oleodotto che dovrebbe attraversare gran parte degli Stati Uniti per collegare le aree di produzione del petrolio alle aree di distribuzione e utilizzo. Alcuni dati tecnici ed economici disponibili sul sito della Compagnia (Dakota Access, LLF) danno un’idea sia dell’estensione delle trasformazioni del territorio (una tubazione del diametro di 75 cm alloggiata entro uno scavo di almeno un metro e 20 cm, con uno spazio laterale di 15-30 metri, per una lunghezza di 1.900 Km), sia dei volumi di energia trasferita: attraverso la tubazione saranno pompati da 470.000 a 570.000 barili al giorno, che grazie al trasporto su navi potranno poi raggiungere destinazioni internazionali.

Gli interessi economici sono elevatissimi, come enormi sono le implicazioni ambientali. Per questo motivo le manifestazioni di protesta portate avanti da mesi da alcune comunità locali meritano di conquistare l’attenzione dei media. La posta in gioco non riguarda solo lo scavo in un terreno nella riserva indiana della Tribù Sioux di Standing Rock – dove è in corso la protesta – ma riguarda la scelte energetiche e ambientali dell’intera nazione (e non solo…). Tra i soggetti che si confrontano in questo conflitto c’è una enorme differenza di potere: da un lato le grandi imprese petrolifere multinazionali (con una grandissima disponibilità economica e il sostegno politico di un’ampia parte dello Stato); dall’altra una piccola comunità di Nativi americani, sostenuti da una rete globale di gruppi, associazioni, comunità (con scarse risorse economiche e modesti appoggi politici), che condividono l’idea che il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente siano essenziali per la sopravvivenza dell’umanità.

Una liberazione fallita

La disparità di forze in gioco richiama la situazione che si creò in India con le campagne per l’indipendenza dagli inglesi. La forza del movimento ‘quit India’ guidato da Gandhi fu la partecipazione della popolazione. In questo conflitto moderno, che ha ormai una estensione geografica mondiale, giocherà un ruolo cruciale il livello di adesione che le società civili sapranno e vorranno esprimere: tanto maggiore sarà la capacità di comunicazione attraverso le reti informatiche, quanto maggiore potrà essere il sostegno e l’influenza che anche da lontano si potrà esercitare per orientare la decisione.

Nel libro ‘Hind Swaraj’ che scrisse nel 1908 Gandhi espresse con forza l’idea che l’obiettivo della lotta nonviolenta non era semplicemente cacciare gli inglesi dall’India: secondo lui non era il popolo britannico a dominare l’India, ma la civiltà moderna per mezzo della sue ferrovie, dei suoi telefoni e di ogni altra invenzione che viene esaltata come il trionfo della civiltà… Si trattava invece di ottenere la padronanza della propria mente e delle proprie passioni, di condurre una vita semplice, di impegnarsi per il ‘sarvodaya’, il ben-essere di tutti.

Che la liberazione dalla dominazione inglese non abbia portato al ben-essere dell’India è sotto gli occhi di tutti: alla ricchezza materiale dell’India, di cui godono 300 milioni di persone diventate benestanti, si accompagna non solo la crescente povertà degli altri 700 milioni, ma un degrado drammatico della situazione ambientale. L’India non è più in grado di alimentare la sua popolazione, le sue città soffocano nello smog, la costruzione delle grandi dighe ha privato ampi territori di acqua e ha costretto milioni di persone ad abbandonare le loro abitazioni.

Verso uno swaraj globale?

Nel suo smilzo libretto Gandhi aveva scritto: “Dio non voglia che l’India debba mai adottare l’industrialismo secondo il modello occidentale. L’imperialismo economico di un solo piccolo stato insulare (la Gran Bretagna) tiene oggi il mondo in catene. Se un’intera nazione di trecento milioni di abitanti si mettesse sulla strada di un simile sfruttamento economico, essa denuderebbe il mondo al modo delle locuste.”

Famosi sono il richiamo di Gandhi a quella che in seguito è stata indicata come “filosofia del limite”: “il nostro pianeta ha risorse sufficienti per soddisfare i bisogni fondamentali di tutti, ma non l’avidità di alcuni” e l’invito a una scelta di vita ispirata alla semplicità volontaria.

Il conflitto in atto nella Riserva di Standing Rock non si potrà concludere con la vittoria delle popolazioni locali, se i sostenitori presenti in tutto il mondo non intraprendono personalmente azioni volte a conseguire lo swaraj proposto da Gandhi: la padronanza della propria mente e delle proprie passioni, la scelta di una vita semplice, l’impegno per il ‘sarvodaya’, il ben-essere di tutti. Solo una trasformazione profonda – in certi casi radicale – delle abitudini di vita di milioni di persone può indebolire i poteri forti che attualmente dominano nel mondo, e che hanno ridotto l’intero pianeta a un enorme campo di battaglia, dove eserciti di straccioni sono costretti a combattersi per nulla mentre truppe scelte, ben equipaggiate, proteggono i clienti del supermercato globale.

Un processo in corso

Le notizie sul conflitto in Nord Dakota intanto proseguono. E si alternano espressioni di contentezza e di sconforto. Comunque si concluda questa fase, è chiaro che non si tratta solo di eventi episodici, ma di un conflitto strutturale (l’assetto delle comunità: le case, i trasporti, le comunicazioni, l’uso delle terre) e un conflitto culturale, in cui si scontrano opposte visioni del mondo: da un lato l’umanità è intesa come dominatrice – anche con la violenza – di un pianeta considerato come fonte di risorse e discarica di rifiuti, dall’altro l’umanità è considerata come ospite, insieme alle altre creature, della Madre Terra, da cui totalmente dipende.

Sono forse la maggioranza le persone che – pur desiderose di contribuire a contrastare i poteri forti e a impegnarsi per la pace e la salvaguardia della natura – sono demoralizzate e si sentono impotenti. E’ ancora Gandhi che può offrire qualche suggerimento, diventare satyagrahi, cioè “resistente attivo”. “Un satyagrahi non aspetta gli altri, ma lancia se stesso nella lotta, facendo affidamento esclusivamente sulle proprie forze. Ha fiducia che quando il tempo verrà, gli altri faranno altrettanto. La pratica è il suo precetto. Come l’aria, il satyagraha è onnicomprensivo. E’ contagioso – ciò significa che tutte le persone, grandi e piccoli, uomini e donne – possono diventare satyagrahi. Un satyagrahi non può perpetrare tirannide su alcuno, non è soggiogabile attraverso l’uso della forza fisica, non percuote alcuno”. 1

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Ed ecco ora due notizie recenti sul conflitto: fresche di stampa, ma destinate ad essere ben presto aggiornate.

Dakota access pipeline, vincono i sioux. L’oleodotto non si farà, per ora  (Maurizio Bongioanni, http://www.lifegate.it/persone/news/dakota-vincono-sioux-niente-oleodotto)

Riconosciuti i rischi ambientali del progetto Dakota access pipeline. Una vittoria per i sioux e tutti gli nativi americani. Ma la lotta potrebbe non essere finita.

La notizia arriva inaspettata dopo sei mesi di battaglie che ha visto riunite per la prima volta in un fronte unico tutte le maggiori tribù di nativi d’America: l’Army corps of engineers ha annunciato che non autorizzerà la costruzione del Dakota access pipeline (Dapl) sotto il fiume Missouri e vicino alle terre dei sioux ma che verranno studiate soluzioni alternative dopo aver raccolto le osservazioni del pubblico.

“Sono riconoscente per il fatto che ci sono dei leaders nel governo federale che hanno capito che qualcosa non era giusto, anche se era legale” – così si è espresso il rappresentante della Tribù Sioux di Standing Rock alla NBC News. “Per la prima volta nella storia dei Nativi Americani la nostra voce è stata ascoltata. Questo è un evento che rimarrà nella storia, ed è una benedizione per tutti i popoli indigeni”.

Trump pronto a rovesciare lo stop di Obama alla Dakota Access Pipeline (Matteo Bartocci, Il Manifesto 6 dicembre 2016).

La vittoria dei «Protectors» nativi americani che grazie al governo Obama sono riusciti a mettere un freno al segmento della Dakota Access Pipeline che passa per le acque della riserva di Standing Rock rischia di essere momentanea.

Tra un mese, infatti, Donald Trump diventerà presidente degli Stati uniti a tutti gli effetti e ha già fatto sapere di voler rovesciare l’ennesima decisione ambientalista obamiana.

Secondo il deputato Kevin Cramer (un repubblicano proprio del Nord Dakota e tra i papabili per il ministero dell’Energia) la decisione della Casa bianca è carta straccia «da gettare nel fiume Potomac» (a Washington, ndr) e sarà sicuramente rovesciata dalla nuova amministrazione. Trump – che ha investito personalmente nelle azioni del progetto prima di candidarsi – ha già fatto sapere che sostiene il mega oleodotto da 3,7 miliardi di dollari e 1800 km (completato ormai al 70%).

NOTA:

1 M.K. Gandhi, Satyagrahi – non “resistenza passiva”. Traduzione di Rocco Altieri, in Quaderni Satyagraha n.1, Centyro Gandhi, Pisa, 2002.

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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.

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