(Italian) La Cultura del Persuaso

ORIGINAL LANGUAGES, 10 Oct 2011

Pietro Polito – Centro Studi Sereno Regis

La cultura del persuaso – Aldo Capitini, il filosofo della nonviolenza, il più “consistente” pensatore europeo su questi temi (anche se non il più noto), l’inventore della marcia per la pace Perugia-Assisi, che quest’anno ha compiuto cinquant’anni – ha seminato bene.

Ne ho avuto l’esperienza domenica 25 settembre 2011, in cammino per la pace, secondo le mie forze, dai giardini del Frontone a Ponte San Giovanni e poi da Santa Maria degli Angeli alla Rocca di Assisi. Una dimostrazione evidente, seria, che lascia sperare. Qual è la prova che il persuaso non ha predicato invano?

Lungo il cammino ho incontrato gli amici persuasi: Giorgio Cingolani, Piercarlo Racca, sapevo che c’era Enrico Peyretti, accanto a me camminava il “capitiniano” Mario Martini (a cui dobbiamo la pubblicazione recente di Religione aperta e l’edizione dei carteggi di Capiini) A Santa Maria degli Angeli, al banchetto del movimento nonviolento, Alberto l’Abate proponeva ai marciatori le ultime pubblicazioni sulla nonviolenza riguardanti il pensiero di Gramsci e il rapporto con la scienza.

La prova della buona predica sta nel fatto che i persuasi sono isolati ma non sono soli. Camminando lungo le strade di Francesco e di Capitini, ciascuno con le proprie idee, le proprie simpatie e le proprie avversioni, le proprie paure e speranze, le proprie illusioni e delusioni, ho visto un popolo di amici della nonviolenza (così lo avrebbe chiamato Capitini). Un popolo colorato, vivo, sereno, consapevole, solidale, fatto di fanciulle e fanciulli, di ragazze e ragazzi, giovani, donne e uomini, anziane e anziani; un popolo aperto che suggerisce di coniugare la pace nella lingua del nostro tempo.

La prima marcia della pace del 1961 aveva come obiettivo primario scongiurare la guerra nucleare, l’ultima guerra, quella che avrebbe portato con sé l’estinzione della specie e la scomparsa del pianeta. Un obiettivo (pare) raggiunto.

Che cosa significa pace oggi? Come nani sulle spalle dei giganti guardiamo ancora al persuaso e alla sua profezia. La pace che il popolo in cammino da Perugia ad Assisi, al di là delle stesse parole d’ordine della manifestazione, porta nel cuore non è la pace negativa (assenza di guerra), nemmeno la pace dei radicali (la pace che sovverte sistemi politici ed economici attraverso la rivoluzione), è la pace dei persuasi, la pace, come amava dire Aldo Capitini, “aperta all’esistenza, alla libertà, alla speranza”.

La ricerca per la pace oggi è apertura al futuro.

***

Norberto Bobbio nel 1961 si è fatto l’intero percorso da Perugia ad Assisi, proteggendosi con un cappello di carta alla muratora foggiatogli da un partecipante della marcia. Pur con gli occhi del perplesso, egli dà ragione al persuaso che non si rassegna al dolore senza speranza e tenta una nuova strada.

Spiace che il giornale di Bobbio, “La Stampa” di Torino, nella sua massima espressione, il direttore Mario Calabresi pensi che oggi non servano più al Paese figure profetiche che infondono fiducia e speranza. Servirebbero invece, sostiene Calabresi, figure normali piuttosto che profeti o uomini della Provvidenza. Questo il senso della risposta del direttore a una lettera di un lettore simpatizzante con gli ideali della marcia.

D’accordo per quel che riguarda gli uomini della Provvidenza, che per lo più hanno fatto e fanno danni. Totalmente in disaccordo per quel che riguarda i profeti. Se c’è una figura in cui il persuaso non si riconosce, questi è proprio il Demiurgo (non alludo alla figura disegnata da Filippo Burzio), il Capo, l’Uomo della Provvidenza che nella sua ultima manifestazione ha preso le sembianze dell’Unto del Signore.

L’Uomo della Provvidenza si crede chiamato a interpretare il volere divino, ma è una mera illusione perché di fatto finisce col realizzare gli interessi non degli ultimi ma dei potenti, il Profeta mira alla trasformazione della società attraverso la trasformazione dell’uomo. Il popolo in marcia per la pace,sia pure a volte in modo anche contraddittorio avverte che la trasformazione dell’uomo non dipende dalla trasformazione dei rapporti materiali.

Diceva Capitini: “E gli uomini migliori rendono le società migliori”

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