(Italiano) Tempi sospesi per l’umanità

ORIGINAL LANGUAGES, 17 Jan 2022

Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

14 Gennaio 2022 – Tempi sospesi per l’umanità: problemi planetari, tragedie globali, guerre, cambiamento climatico e pandemia… e il nucleare?

Photo by Jacek Dylag on Unsplash

Problemi planetari

A fine novembre 2015, a Stoccolma, Gino Strada riceveva il Right Livelihood Award, il “premio Nobel alternativo”. Nel discorso di accettazione egli affermò che: “lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future”.  In ogni guerra, “la tragedia delle vittime è la sola verità”.  […] “Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità”.

Sono passati sette anni da quella premiazione e da quelle parole. Le guerre si sono moltiplicate, le vittime (dirette e indirette) sono aumentate a dismisura. Intanto nuovi incubi sono sopraggiunti, alimentando paure e sofferenze della gente comune, impegnando gli sforzi degli scienziati, stimolando le strategie dei potenti. Le pagine dei giornali e le informazioni su web sono zeppe di dati, commenti, misure, dichiarazioni, riflessioni sui due nuovi problemi – due nuove ‘guerre’ – che negli ultimi anni hanno colpito l’umanità: il cambiamento climatico e la pandemia da COVID 19.

Tragedie globali

Delle trasformazioni in atto che si stanno realizzando sul nostro pianeta si parla da decenni. Ci sono state tante avvisaglie, tanti indizi inquietanti a livello locale (da una insolita, intensa alluvione alla comparsa di una nuova malattia delle piante, dall’avvelenamento di un corso d’acqua a una anomala calura estiva); e ora stanno manifestandosi cambiamenti su scale sempre più ampie, ormai ingovernabili. Enormi distese di ghiaccio che fondono, correnti oceaniche che cambiano direzione, invasioni incontenibili di locuste migratorie. Poi – appena due anni fa – si diffonde un’epidemia che colpisce gli esseri umani: è un virus molto contagioso, che rapidamente dilaga in tutto il mondo. Intanto le guerre continuano: anzi, nuove aree geografiche diventano sedi di scontri armati. Popolazioni di cui non si sentiva parlare si scoprono ‘nemiche’ da combattere, oppure ‘amiche’ da aiutare. La produzione, il commercio, l’uso di armi si moltiplica.

Aumentano i conflitti violenti, nei quali le vittime civili superano sempre più quelle militari. In parallelo si moltiplica il numero di persone costrette a lasciare le loro case per la fame, la sete, i bombardamenti. Milioni di ‘migranti’ si spostano, cercando di fuggire a situazioni diventate invivibili.  Migranti economici che cercano lavoro; e migranti ambientali che hanno perso la terra su cui vivevano; migranti perseguitati come nemici da stranieri che neppure conoscono. Una percentuale crescente dell’umanità è in situazione di sofferenza e di pericolo.

La metafora del nemico

Molte persone, parlando del cambiamento climatico e della pandemia, utilizzano la parola ‘guerra’. Ma qual è il nemico? La CO2, forse, che prodotta dalle attività umane si accumula nell’atmosfera e negli oceani? Difficile sostenere che questa piccola molecola (tra l’altro essenziale per la vita) ci sia nemica.  O le varie forme con cui si esprime questo nuovo virus – di volta in volta più o meno contagioso, più o meno pericoloso – che ‘spunta’ da luoghi sempre diversi? Ugualmente arduo sarebbe credere che una struttura architettonica piccolissima, una pallina invisibile con la superficie decorata, ce l’abbia proprio con noi!

Dall’inizio della pandemia, nel dicembre del 2019, il numero ufficiale delle persone contagiate dal virus supera i 300 milioni, e si sono registrati più di 5,5 milioni di morti. Sono dati sicuramente inferiori al reale, perché moltissimi casi non sono stati registrati.

Eppure… a proposito dell’infezione da SARS-CoV-2, leggete queste righe:

Come nell’arte della guerra, per poter sconfiggere il nemico è fondamentale conoscere: com’è fatto il virus, qual è la sua forma? Come infetta le cellule umane? Come cresce, replica e si sviluppa nelle cellule ospite? Di che cosa ha bisogno per sopravvivere? Rispondere a tali domande fornisce le armi, le informazioni chiave a cui i laboratori di ricerca ambiscono per sviluppare vaccini e farmaci antivirali sicuri ed efficaci.”

E sulla CO2? Basta una sbirciatina a Google per fare una raccolta di titoli da bollettino di guerra:

Non è difficile, documentandoci, confrontandoci, riflettendoci insieme, arrivare a concordare che stiamo usando la solita, abusata metafora. L’aveva osservato fin dai primi mesi di pandemia un giornalista, Daniele Cassandro, in un articolo dal titolo Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore:

Da giorni basta aprire un giornale, scorrere le notizie sul telefono, guardare un notiziario in tv per sentirci dire che siamo in guerra. L’emergenza Covid-19 è quasi ovunque trattata con un linguaggio bellico: si parla di trincea negli ospedali, di fronte del virus, di economia di guerra; ogni sera la Protezione civile dirama un bollettino con il numero dei morti e dei contagiati che aspettiamo col fiato sospeso”.

Contro il pianeta, una guerra perdente…

La letteratura, ormai sterminata, sulle possibili cause della diffusione del virus COVID-19 (e di altre pandemie prima) suggerisce che il nemico non sia il virus, ma un insieme di condizioni  dietro le quali si nascondono gravi responsabilità umane: dalla continua ‘invasione’ antropica di ambienti naturali, che ha favorito l’incontro e lo ‘spillover’[1] (il salto di specie) tra i viventi, all’allestimento di allevamenti intensivi (dalle galline ai maiali ai visoni), dove milioni di creature sono stipate in spazi piccolissimi, costrette – dalla nascita alla morte – a una vita di sofferenza e malattia (e di scambi virali). Inoltre l’esperienza di due anni di ‘convivenza’ con il virus COVID-19 ci ha fatto capire che fargli la guerra non è una strategia vincente. Anzi. Le sue capacità di adattamento e trasformazione sono ormai evidenti.

Occorre invece modificare profondamente, radicalmente tanti atteggiamenti e comportamenti aggressivi e violenti che – soprattutto nell’ultimo secolo – hanno caratterizzato la presenza umana sul pianeta.

Anche nel caso dell’altro ‘nemico’, la CO2 , da tempo sono state individuate gravissime responsabilità umane dietro all’aumento di temperatura dell’atmosfera, e alle profonde trasformazioni che ne sono derivate nell’ecosistema Terra. Si tratta di comportamenti umani violenti e irresponsabili, azioni distruttive nei confronti della nostra ‘casa comune’: i gas-serra che si stanno accumulando nell’aria e negli oceani provengono dalle attività cosiddette produttive delle moderne società industriali. Dallo scavo di enormi miniere all’accumulo di montagne di rifiuti, dall’imbrigliamento dei grandi fiumi all’avvelenamento dei suoli agricoli, fino alla preparazione delle guerre: sono questi i ‘nemici’ contro i quali bisogna combattere.

Come scriveva la studiosa indiana Vandana Shiva pochi mesi prima della diffusione della pandemia, occorre chiarire chi sia davvero il ‘nemico’: “Quando pensiamo alle guerre ai nostri tempi, volgiamo la mente all’Iraq e all’Afghanistan. Ma la guerra più grossa è quella contro il pianeta. È una guerra intrapresa contro le radici della vita da parte di un’economia che manca di rispettare i limiti ecologici ed etici – limiti all’ineguaglianza, all’ingiustizia, all’avidità e alla concentrazione economica”.

E le guerre tra umani?  

Mai come oggi soffiano venti di guerra tra comunità umane. Mentre il nostro pianeta vivente, Gaia, la nostra casa comune, moltiplica segni di insofferenza; mentre aree sempre più vaste e numerose del pianeta diventano inospitali; mentre studiosi di varie discipline delineano un futuro di inondazioni e siccità, di estinzioni e nuovi patogeni, noi che cosa facciamo? Ci facciamo guerra tra noi! Quella vera, non metaforica. Moltiplichiamo la produzione e il commercio di armi, potenziamo gli eserciti, organizziamo esercitazioni armate, e il risultato è che si contano attualmente 27 conflitti armati in corso nel mondo, alimentati materialmente e politicamente da vaste reti di sostenitori e avversari. E come nelle grandi guerre del passato, molti scontri avvengono lungo le trincee: linee di combattimento, ma anche difese di fortezze e privilegi.

Migliaia di km di muri di cemento e di filo spinato sono ormai eretti ai confini di tanti Paesi, per impedire il passaggio a migranti in fuga da condizioni insostenibili: nella sola Europa, da sei che erano nel 1989, oggi le barriere fisiche sono diventate 63.  Assistiamo – spesso inerti – a un’escalation di aggressività contro comunità umane e spazi di vita.

In una situazione globale come quella che stiamo vivendo, in cui tra le nostre priorità dovrebbero esserci la riduzione dei gas con effetto serra (tra cui il ‘nemico’ CO2) e la protezione dei sistemi naturali, per fornire adeguato spazio e opportunità di vita anche agli altri viventi (tra cui i ‘nemici’ virus), noi invece moltiplichiamo le attività militari.  Il carico ambientale prodotto nella fase di produzione e assemblaggio delle armi (e conseguente consumo di risorse, emissione di gas serra, accumulo di rifiuti, consumo di suolo ecc.) e i conflitti sociali che ne conseguono, innescano ulteriori danni e insicurezze (come documentato dall’Osservatorio su Conflitto e Ambiente, CEOBS).

Più conflitti, più armi, più danni ambientali, maggiore instabilità degli ecosistemi, più migrazioni, più conflitti… un circolo vizioso che si espande a spirale…

Il nucleare, l’arma che non si può usare  

Soprattutto continuiamo a rinforzare gli arsenali nucleari per fare la guerra tra noi. Anche se numericamente gli arsenali nucleari si sono ridotti, in realtà la minaccia di una guerra atomica sta aumentando. Le potenze nucleari stanno realizzando estesi progetti di rinnovamento delle loro armi nucleari, per sostituire e modernizzare le testate nucleari, i sistemi di lancio di missili e aerei e gli impianti di produzione di armi nucleari.  Da anni alcuni Stati fanno scorta di armi di spaventosa potenza, che però dichiarano di non voler utilizzare. La strategia della ‘deterrenza’ – cioè quella basata sull’idea che far paura ai nemici sia il modo migliore per assicurare la pace nel mondo – non è solo molto rischiosa, ma è talmente stupida!

Sottrae risorse naturali e finanziarie che si dovrebbero impiegare per rimediare (per quel che si può) ai danni finora inferti alla nostra casa comune, e contribuisce materialmente all’ulteriore degrado ambientale. L’apparato militare (dalla produzione di armi alle esercitazioni dei soldati) è distruttivo per l’ambiente anche quando non si spara un colpo!  Come sottolinea il Bulletin of Atomic Scientists, “l’accelerazione dei programmi nucleari in più paesi ha spostato il mondo in un territorio meno stabile e gestibile. Lo sviluppo di veicoli ipersonici, difese missilistiche balistiche e sistemi di spostamento e consegna di armi che possono utilizzare in modo flessibile testate convenzionali o nucleari può aumentare la probabilità di errori di calcolo in tempi di tensione“.

Ancora pochi giorni fa, il 3 gennaio 2022, in un comunicato congiunto firmato da cinque potenze nucleari (Cina, Francia, Russia, UK, USA), è stato pubblicato il  Joint Statement of the Leaders of the Five Nuclear-Weapon States on Preventing Nuclear War and Avoiding Arms Races, in cui si legge:

Noi affermiamo che una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta. Poiché l’uso nucleare avrebbe conseguenze di vasta portata, affermiamo anche che le armi nucleari, finché continuano ad esistere, dovrebbero servire a scopi difensivi, scoraggiare l’aggressione e prevenire la guerra. Crediamo fermamente che l’ulteriore diffusione di tali armi debba essere impedita”.  Persiste – di fatto – un’imposizione che pesa su tutto il mondo: le potenze nucleari si tengono le armi atomiche che già possiedono, e le perfezionano a scopo difensivo. E impediscono a tutti gli altri Stati non solo di sviluppare  programmi nucleari, ma anche di fare il contrario, cioè di promuoverne l’abolizione.

Il nucleare, l’arma che non deve esistere 

Infatti gli Stati nucleari non hanno finora aderito a un Trattato che dopo dieci anni di impegno diplomatico, politico e morale da parte della Campagna ICAN e di varie associazioni ha portato alla stesura di un Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, TPNW), che è stato approvato il 7 luglio 2017 da una speciale conferenza indetta dall’Assemblea generale dell’ONU con 122 voti a favore, uno contrario (l’Olanda) e un’astensione (Singapore).

Questo Trattato, sottoscritto attualmente da 86 firmatari e 59 Stati parti, è entrato in vigore il 22 gennaio 2021. Da questa data le armi nucleari sono riconosciute come illegali. Il Trattato proibisce esplicitamente e inequivocabilmente l’uso, la minaccia dell’utilizzo, lo sviluppo, la produzione, la sperimentazione e lo stoccaggio di armi nucleari e obbliga tutti gli Stati aderenti a non assistere, incoraggiare o indurre nessuno in alcun modo a impegnarsi in qualsiasi attività vietata dal Trattato. L’obiettivo principale del TPNW è di delegittimare non solo l’impiego di armi nucleari ma lo stesso possesso di armi nucleari, che invece le potenze nucleari giustificano (a proprio favore) come necessario per una sicurezza mondiale basata sulla deterrenza, ossia sulla reciproca capacità di ritorsione a un possibile attacco nucleare.

Tra cambiamento climatico e pandemia… e il nucleare?  

Le difficoltà logistiche e organizzative causate dalla pandemia in corso hanno indotto gli organizzatori di importanti riunioni internazionali a rimandare gli incontri già in agenda. La decima Conferenza di revisione del Trattato di Non-proliferazione nucleare (NPT: Nuclear Non-Proliferation Treaty) già spostata due volte negli anni scorsi e prevista per gennaio 2022, è stata rimandata al mese di Agosto 2022. Secondo questo Trattato i maggiori possessori di armi nucleari avrebbero dovuto – negli anni –  impegnarsi per un progressivo disarmo, pur conservando il diritto a conservare i loro arsenali.

Si tratta dell’obbligo, sancito dall’Articolo VI dell’NPT, a impegnarsi in negoziati in buona fede per la completa eliminazione degli arsenali nucleari. Tuttavia le potenze nucleari hanno finora completamente disatteso questo impegno, come è stato sottolineato in un recente messaggio pubblicato il 4 gennaio dallInternational Physicians for the Prevention of Nuclear War. L’ulteriore ritardo nella convocazione della Conferenza di revisione non fa ben sperare su iniziative serie e tempestive…

Anche la Prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato di proibizione delle armi nucleari, che avrebbe dovuto svolgersi a Vienna all’inizio di gennaio 2022, è stata rimandata a marzo a causa dell’emergenza pandemia.

Gli Stati ‘nuclearisti’ o filo-nuclearisti (come l’Italia), che sono contrari all’abolizione completa e definitiva delle armi nucleari, continuano a considerare irrealistica la proposta di TPNW. Non solo. Come già accennato, è in atto un’escalation nella produzione e distribuzione geopolitica di nuovi modelli di bombe, tecnologicamente avanzate e con nuove capacità offensive.

L’Italia, che ufficialmente non fa parte degli stati nucleari ma ospita armi atomiche di proprietà USA, si trova in una posizione di rischiosa sottomissione. I nostri decisori continuano ad autorizzare la presenza di armi nucleari altrui sul suolo italiano e non hanno firmato il Trattato che ne dichiara l’illegalità; però non hanno alcun controllo sulle decisioni relative all’uso di queste bombe. Offrono agli USA e alla NATO gli aeroporti da cui sferrare eventuali attacchi, ma non hanno alcuna protezione da eventuali reazioni.  E neppure contribuiscono positivamente al problema, perché non hanno firmato il trattato che sancisce l’illegalità di questo orribile strumento di morte.

La B61-12 è una nuova arma nucleare polivalente che sostituisce tre delle varianti dell’attuale B61 (3, 4 e 7). Ha una testata nucleare con quattro opzioni di potenza, selezionabili a seconda dell’obiettivo da distruggere. […] Le basi di Aviano e Ghedi sono state ristrutturate per accogliere i caccia F-35A armati delle nuove bombe nucleari. A Ghedi possono essere schierati 30 caccia italiani F-35A, pronti all’attacco sotto comando Usa con 60 bombe nucleari B61-12. (M. Dinucci. Green pass nucleare: esce a maggio la Bomba per l’Italia).

Viviamo in uno scenario globale completamente diverso da quello dei decenni passati. Le ‘faccende’ umane ora devono fare i conti con un pianeta in rapida e imprevedibile trasformazione, con prospettive sempre meno accoglienti per l’umanità.  I prossimi mesi saranno cruciali per far conoscere la situazione e coinvolgere la società civile – in tutti i paesi – a impegnarsi per raggiungere l’obiettivo indicato da Gino Strada

L’orologio dell’Apocalisse

Dal 1947, ogni anno un gruppo di studiosi e di esperti si pronuncia sul rischio di guerra nucleare, ponendo le lancette del “Doomsday Clock” (l ’orologio dell’Apocalisse) più o meno vicino alla mezzanotte.  Il 20 gennaio prossimo, sul sito del Bulletin of Atomic Scientists, sarà comunicata la previsione per l’anno 2022, e ci diranno quanto tempo ci resta per evitare che la più terribile e potente invenzione dell’uomo sfugga al controllo, e renda la Terra inabitabile all’umanità.

Abbiamo vissuto un anno difficile, con le lancette piazzate ad appena 100 secondi dalla mezzanotte: quale sarà la prognosi per il prossimo? Ma soprattutto, quale delle minacce che incombono sull’umanità sarà considerata più rilevante? Con la pandemia possiamo imparare a convivere; il cambiamento climatico forse ci concede qualche anno per rivedere le nostre priorità, cambiare stili di vita, avviarci verso una giustizia ecologica. Ma l’evolvere di questi processi globali, che si manifesta su scale temporali diverse dalla nostra, dipende sempre meno da noi, piccoli abitanti impotenti (earthlings, terrestri) di un mondo che ci contiene, ci sovrasta e forse ci sta eliminando.

Invece il rischio di una catastrofe nucleare è incombente, può verificarsi in qualunque momento, e dipende da noi fermarla. E’ una decisione sulla quale possiamo – finora – esercitare il controllo. Per eliminare tutte le armi nucleari e tutto quanto le riguarda bisogna imparare a mettersi d’accordo, a riconoscere il nostro comune destino sulla Terra, a rivedere il modo più consapevole e critico l’idea dell’altro, del diverso, del nemico…

Rivedere il concetto di ‘nemico’?

Umberto Eco (nel suo libro ‘Costruire il nemico’) sosteneva che “Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo”.

Ma quando si arriva a pensare di poter uccidere milioni dei propri simili, e si costruiscono ordigni come quelli che sono strategicamente disseminati per sterminare chiunque in qualunque luogo, conviene mettere in discussione l’affermazione di Eco, e rivedere il nostro sistema di valori. L’ostacolo rispetto al quale misurarci può diventare una sfida. Eliminare le bombe dalla ‘faccia’ della Terra (dalla superficie di Gaia?) e dedicare le nostre energie positive a curare le ferite fisiche e psichiche inferte ai viventi e alla vita.

NOTA:

[1] Spillover. L’evoluzione delle pandemie, di David Quammen (Adelphi 2020)

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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.

 

 

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