(Italiano) Il fattore Impero: il pezzo mancante nella narrazione della guerra in Ucraina

ORIGINAL LANGUAGES, 31 Jul 2023

Richard E. Rubenstein | Centro Studi Sereno Regis - TRANSCEND Media Service

NATO Summit Vilnius, 11 – 12 JULY 2023  (CC BY-NC-ND 2.0)

Narrazioni in concorrenza della guerra in Ucraina: il fattore impero come pezzo mancante.

Chi studia le narrazioni di conflitti capisce che come la storia viene narrate rivela non solo i preconcetti del narratore ma anche l’esistenza e i limiti della sua visione del mondo. L’inizio della narrazione inquadra decisamente la storia: “Al principio, Dio creò i cieli e la terra”. Trattando dell’attuale guerra in Ucraina, la storia comunemente raccontata negli Stati Uniti e in molte nazioni europee inizia con “Il 24 febbraio 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina”. Questo incipit designa le parti (Russia e Ucraina), indica un aggressore (Russia) e un difensore (Ucraina), lasciando “estranei” come gli USA e la NATO fuori dal quadro, e ipotizzando l’unità di ciascuna parte. Inoltre, il racconto inizia al Livello Zero con l’invasione russa, relegando gli avvenimenti precedenti a un passato vago, contestabile, e tuttora ampiamente ignoto.

Anche adesso, dopo tanto spargimento di sangue e d’inchiostro, gran parte degli americani e molti europei non rammentano la ribellione a Kyiv di otto anni prima che sostituì un primo ministro pro-russo eletto d’Ucraina con uno pro-occidentale. Né richiamano alla memoria la violenza civile nella regione etnicamente russa del Donbass, che ha prodotto due trattati firmati a Minsk ma mai attuati, o gli otto anni di guerra sanguinosa che seguirono, con la Russia a riconoscere e l’Ucraina a disconoscere le “repubbliche” dichiarate nelle province di Donetsk e Luhansk.

La cosa forse più importante è che la narrazione comunemente accettata omette del tutto l’incessante espansione NATO dei vari decenni precedenti che indussero il presidente della Russia, Putin, a richiedere nuovi negoziati sull’architettura securitaria dell’Europa orientale. Si potrebbe iniziare altrettanto facilmente la storia di questo conflitto nel 2008, quando i membri NATO dichiararono la propria intenzione di ammettere Ucraina e Georgia nelle proprie file militarizzate; o nel 2009 e 2012, quando si son installate in Polonia e Romania basi di missili balistici NATO; o nel 2021, quando il segretario di Stato USA Blinken dichiarò senza riguardi che la proposta del presidente Putin di negoziare non aveva chance di essere considerata.

Il fattore Impero

Putin | Foto kremlin.ru (CC BY 4.0)

Correggere errori ed omissioni della narrazione standard comporta creare una contro-narrazione, Ma si noti che pur essendo questa più ricca di dati rilevanti e più complessa e graduata che quella standard, può essere anch’essa criticata per imprecisioni, omissioni ed eccessive semplificazioni, indotte dallo schieramento [pur involontario].

Per esempio, la storia che comincia con “Un tempo, i capi USA e NATO decisero di espandere il proprio territorio” tralascia di considerare le paure di molti negli ex-stati sovietici che i capi nazionalisti russi avrebbero cercato di ricreare l’impero sostanzialmente disintegratosi nel 1989-91 a meno che essi si unissero alla NATO. Inoltre, la contro-narrazione non risponde al perché USA e NATO volessero espandersi, salvo ricorrendo a termini moralistici molto personalizzati analoghi a quelli nella narrazione originaria, ma con i “buoni” e i “cattivi” invertiti: cioè NATO s’espanse perché i suoi capi e padroni erano assatanati da poter. Anche se la narrazione anti-NATO è più completa e complessa di quella anti-Putin, sono tutt’e due essenzialmente recite moralistiche in cui il carattere morale del leader determina la virtuosità o viziosità della parte che rappresenta.

L’Impero: il pezzo mancante

Quel che questo approccio melodrammatico non rileva o rende confuse è che le decisioni di capi come Biden e Putin non avvengono in un vuoto sociopolitico, ma nel contesto di un sistema internazionale strutturato. la politica internazionale non può essere ridotta a una faccenda di buone o cattive intenzioni o ideologie. Il sistema mondiale non è anarchico, come ritengono molti realisti, né è una benigna “comunità internazionale”, come piace pensare a certi globalisti. E’ strutturato, e la forma predominante di struttura nell’era moderna è l’impero.

In un sistema neo-imperiale molto competitivo come quello con cui ce la dobbiamo vedere, sovente avviene violenza in zone di confine contestate come il confine fra l’Europa [autocompresa= occidentale – ndt] (un’ausiliaria dell’impero USA) e la Russia. Provare a raccontare la storia sull’Ucraina senza riconoscervi la lotta come guerra per procura per un territorio reclamato dall’impero più potente al mondo e il suo concorrente russo rivela immediatamente la vacua falsità della narrazione.

Joe Biden e i dirigenti europei non stanno armando fino ai denti il regime di Kyiv e combattendo una guerra di attrito perché siano aggressori assatanati di potere o angeli umanitari, ma perché il sistema che rappresentano è imperiale e credono che la propria egemonia sia essenziale all’ordine internazionale. I russi non sacrificano decine di migliaia dei propri soldati in Ucraina perché sono invasori assatanati di potere o protettori altruistici dei russofoni del Donbass, ma perché anch’essi amministrano un impero che credono sia sotto grave attacco delle forze USA e NATO che usano Kyiv per promuovere i propri interessi imperiali.

Togliere la nozione d’impero dalla narrazione sull’ Ucraina non solo distorce la realtà storica, ma produce anche la falsa conclusione che se vince l’eroe e perde il furfante, il conflitto sia [stat] risolto. Al contrario, essendo l’imperialismo un sistema generatore di conflitti, l’unico modo per por termine a queste lotte sarà cambiare il sistema.

Come parlare dell’Impero

Questa conclusione indica un a difficile questione di comunicazione: come cambiare la narrazione comunemente accettata per incorporarvi fattori strutturali criticamente importanti come gli imperi e la loro competizione. Quando i conflitti vengono presentati come melodrammi moralistici, si Allena la gente ad applaudire l’eroe, fischiare il furfante, e non spender tempo a preoccuparsi del contesto o dell’ambiente. Introdurre fattori strutturali tende a spostare la narrazione verso la tragedia nonché a renderla più complessa. Allora, come parlare dell’impero senza tediare o mistificare chi ascolta?

Voglio suggerire due strategie miranti a rendere l’argomento impero trattabile, interessante, e importante:

Primo, è utile comparare l’attuale competizione fra imperi in regioni come l’Ucraina e l’Asia orientale a precedenti sistemi imperiali più famigliari per la gente.

Gli imperi moderni non sono identici a quelli antichi – come sostenuto fermamente (seppur in modo troppo angolato) da commentatori come Michael Hardt e Antonio Negri. Ma essi restano controversi per molte delle stesse ragioni enunciate dai critici degli imperi antichi, come Isaia, Gesù di Nazareth, e san Paolo, e difensori come Ciro il Grande di Persia e Cesare Augusto di Roma. Da un lato, sono strutture intrinsecamente violente che impongono la volontà delle grandi potenze alle piccole potenze, generano ribellioni e campagne di repressione ad alta intensità, e inducono altre grandi o semi-grandi potenze a competere per la dominazione globale, talvolta fino a partecipare a guerre mondiali. D’altro canto, talvolta giungono a un controllo sufficiente dell’ambiente internazionale da proclamare il conseguimento di una “giusta pace”, senza di che il mondo di nuovo affonderebbe nell’anarchia e nell’insicurezza.

Un obiettivo del promuovere la pace è portare in piena evidenza pubblica tali controversie sui costi e benefici dell’impero, invitando i cittadini interessati trasversalmente allo spettro politico e sociale a discuterne. Difficile da ottenere ma non irrealistico, dato che tali dialoghi in certi momenti cruciali della storia hanno avuto luogo. Per esempio, verso la fine della guerra del Vietnam, in USA ed Europa ci fu un rigoglio di discussioni sui costi e benefici dell’impero, contribuendo a un’avversione all’intervento all’estero che il presidente George H.W. Bush chiamava sprezzantemente “la sindrome del Vietnam”.

Forse perché le classi dominanti trovano spesso il dibattito aperto su questi temi pericoloso per i propri interessi, cercano di renderli tabù, ma i tabù sono in sostanza consensuali e durano solo fintanto che la gente è disposta a sottostarvi. I promotori di pace potrebbero pensare adesso alle sorte di documentari, drammi, e altre produzioni culturali che potrebbero aiutare i propri concittadini a superare i tabù anti-impero.

Secondo, la gente di solito non cambierà un sistema generatore di conflitti a meno ne capisca l’impatto sulle proprie vite e valori. Bisogna descriverlo non solo sulle vittime e i sostenitori all’estero bensì sui residenti dei centri imperiali.

L’impero più potente al mondo è azionato dal maggior complesso mondiale militar-industriale (CMI), che dispone di un bilancio federale ormai a quali un trilione [un milione di milioni] di dollari. La fabbricazione di armi è l’industria più prospera d’America, e le armi le sue esportazioni più redditizie. Anche i fabbricanti d’armi europei hanno ampiamente approfittato dell’enorme afflusso di armamenti high-tech, formazione ed intelligence in Ucraina e del riarmo della NATO. Le domande che ciò pone sono chi di questi consolidamenti economici imperiali beneficia e chi ne patisce.

I difensori del sistema imperiale negli USA si affrettano a far notare che il CMI, con attivi di oltre 700 miliardi di $, crea circa 3,5 milioni di posti di lavoro civili ed è una fonte primaria di “sviluppo” per le comunità locali specialmente in certe aree del paese. Alcuni economisti descrivono il ruolo del settore come essenziale al tardo-capitalismo, giacché la spesa militare si usa per puntellare la domanda aggregata e controbilanciare i tassi di profitto in calo. Altri hanno descritto gli effetti benefici della Ricerca&Sviluppo militari sullo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi prodotti che creano un valore civile (per esempio, Internet). Molto più sottovoce, qualcuno ha anche fatto notare i compensi colossali e gli esorbitanti tassi di ritorno degli investimenti goduti dai dirigenti e azionisti del CMI.

Ciò di cui si tratta di rado, però, son i costi inflitti da questo sistema ai gruppi non-favoriti e alla società nel suo complesso. Chiaramente, con il debito nazionale USA a un picco senza precedenti di circa $32 trilioni e le spese di guerra alle stelle, non c’è modo di mantenere promesse tradite da tempo di ricostruire le città e le zone rurali impoverite di questo paese, ammodernare le sue infrastrutture industriali e di trasporto degradate, evitare ulteriori cali qualitativi dell’istruzione pubblica, e risolvere la miriade di problemi sociali che hanno sprofondato sempre più gli USA nella scala delle nazioni industriali riguardo alla sanità, al welfare, all’aspettativa di vita, ai traguardi nell’istruzione, alla sicurezza pubblica e alla salute mentale.

Che la crescita di radicali disparità sociali nelle metropoli vada di pari passo con la crescita dell’impero globalmente non è una coincidenza. Il Lavoro del promotore di pace deve comprendere l’evidenziare in modo convincente che i benefici psicologici offerti ai cittadini frustrati, insicuri da leader sciovinisti (“Siamo il Numero Uno!”) sono un surrogato penoso della soddisfazione dei bisogni umani autentici.

Frattanto, le stime ufficiali del numero complessivo di soldati e civili uccisi e feriti nel conflitto in Ucraina sono ormai prossime all’orrenda cifra di 500.000. Gli imperialisti USA hanno fornito al regime di Kyiv munizioni a grappolo, e gli imperialisti russi stanno minacciando di bloccare il traffico marittimo civile nel Mar Nero – ambo i casi violazioni del diritto internazionale e degli standard morali. Con l’intensificarsi del conflitto armato, in pericolosa deriva verso l’innesco di una guerra ancora più vasta, abbiamo bisogno di capire che a compiere questa sorta di massacro scellerato non sono solo cattivi capi ma cattivi sistemi – e che il sistema imperiale, nella storia e attualmente, è uno dei peggiori.

L’impero è il pezzo mancante in quasi tutte le narrazioni della guerra in Ucraina. Faremmo bene a dargli un posto centrale nel nostro pensiero e nella nostra azione.

NOTA

(1) Con in mente i determinanti imperiali del conflitto, si descriverebbe anche l’enorme afflusso in Ucraina di armamenti, addestramento e intelligence da parte degli USA e dei membri NATO, e gli effetti di queste esportazioni sulle economie e sui mercati del lavoro delle parti in causa occidentali, con una descrizione parallela degli effetti della produzione militare e della campagna militare sulla società russa.

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Richard E. Rubenstein è membro della Rete TRANSCEND per Pace Sviluppo Ambiente e professore di risoluzione dei conflitti e di affari pubblici al Centro per Pace e Risoluzione dei conflitti Jimmy & Rosalyn Carter della George Mason University. Laureato al Harvard College, alla Oxford University (Studioso di Rhodes), e alla Scuola di Diritto di Harvard, Rubenstein è autore di nove libri sull’analisi e risoluzione di conflitti sociali violenti. Il suo libro più recente è Resolving Structural Conflicts: How Violent Systems Can Be Transformed (Routledge, 2017). Il suo libro in fieri la cui edizione è attesa nell’autunno 2021, è Post-Corona Conflicts: New Sources of Struggle and Opportunities for Peace.

Original in English: The Empire Factor: The Missing Piece in Narratives of the Ukraine War – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

Go to Original – serenoregis.org


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