(Italiano) Vattimo e la cultura della nonviolenza

ORIGINAL LANGUAGES, 2 Oct 2023

Enrico Peyretti – TRANSCEND Media Service

21 settembre 2023 – Propongo a chi studia anche il lato teorico della nonviolenza, di osservare sotto questo profilo il pensiero filosofico di Gianni Vattimo, che ci ha appena lasciati, il 19 settembre.

Forse mi fa velo la simpatia umana per lui, che ho conosciuto fin dalla prima giovinezza in tanti dei suoi passi. Il suo “pensiero debole” non e’ un nichilismo, non e’ un relativismo assoluto. E’ una mitezza, a volte insistente, che vede dei valori, o dei beni inviolabili della persona umana, che va difesa proprio da ogni assolutismo, come è la violenza.

Probabilmente Vattimo preferiva l’espressione negativa, nonviolenza, a quella affermativa gandhiana “forza della verità”. Ma anche Gandhi dichiarava il proprio “fallibilismo”, e cercava in continuazione, al di la’ di ogni formula, la difesa di ciò che vive da ciò che domina, offende e uccide.

La tolleranza, il pluralismo, la dinamica vitale, sono caratteri di un amore per la vita ascoltata e non modellata da principi sovrapposti ad essa.

Non ricordo ora se Vattimo abbia mai collaborato direttamente alla nostra ricerca costruttiva della nonviolenza politica, sociale, relazionale. Ma il suo atteggiamento personale e teorico mi sembra un contributo alle relazioni sempre dialogiche, miti, non imperative, tra le persone, nelle società, nella politica. Per favore, verificate questa ipotesi con le vostre conoscenze.

Venerdì 22 settembre 2023

Domattina andiamo al funerale di Gianni Vattimo. Abbiamo sostato accanto alla sua salma, nell’Università. Abbiamo letto molto, in questi giorni, e pensato, sulla sua persona, la sua cordialità amica, la sua sofferta e mite riflessione filosofica, al di là di sfumature interpretative.

Mi chiedo ora se e come il pensiero di Vattimo può contribuire al nostro lavoro di ricerca, che è anche filosofica, della cultura di pace, della nonviolenza positiva e attiva.

Il termine “pensiero debole” nacque, se non sbaglio, come derisorio della posizione di Vattimo: un pensiero incerto, incapace di chiare interpretazioni e indicazioni, privo di forza teorica! Vattimo lo accettò, lo fece suo, con ironia. Ma forse debole, incapace, non è stato il suo lavoro di pensiero, ma debole l’immagine dell’essere (senza la maiuscola) che ha ritenuto di presentarci. L’essere, per Vattimo, non si presenta come una piattaforma solida che sorregge tutte le particolari realtà, e ne dà ragione, ma quasi come un elemento fluido nel quale le realtà galleggiano incerte, e noi stessi, e Dio stesso, come in un continuo cercare il proprio essere, senza imporre certezze. Ciò non rende le cose uguali al nulla, non toglie affatto dignità a ciò che è e vive, né il rispetto dovuto, non dà licenza di distruggere, ma assume l’umiltà di tutto, toglie pretese di verità rocciosa, di diritti superiori, di potenza sfrenata.

È debole l’essere, non il pensiero, per Vattimo, se capisco bene. In un certo senso è forte, ma non è violenta né apodittica, questa lettura della realtà. Convinta è la lettura proposta, debole è la struttura della realtà, quindi bisognosa di rispetto e di cura. Non c’è alcun diritto di approfittare della fragilità dell’essere, per imporsi a dominare, per cercare potere sulla realtà e la vita. Se la realtà è debole e fragile, vigliacca è la violenza. Devi guardarla con un pensiero mite, non apodittico e imperativo, e altrettanto mite deve essere l’agire nella realtà, nella vita, nell’incontro e nei conflitti tra le differenze.

Se fragile è tutto l’essere, fragile è anche l’essere di Dio. Qui il pensiero di Vattimo – e lui lo sapeva e lo diceva – si incontra con la riflessione biblica e cristiana più attenta, più seria, più fedele, più libera da istituzioni socialmente potenti. Il Dio che emerge nella storia di Israele, e che viene presentato da Gesù Nazareno, non è un sovrano imperativo, onnipotente, ma proprio un Dio debole, come è debole ed esposto chi ama, protegge, soccorre, con tutto se stesso. Nell’uomo Gesù, per la fede e l’intelligenza cristiana delle cose, Dio appare debole, esposto al rifiuto violento.

La condanna atroce del Giusto, in cui vive Dio, all’ignominia e alla tortura della croce, è il segno maggiore della debolezza di Dio: solo Dio è così veramente forte nell’amare fino a potere spendersi totalmente, per fedeltà vissuta all’annuncio che il Bene, offerto indifeso, ricolma l’abisso del Male, e non una forza opposta alla forza del male. Non è con una potenza competitiva, ma con il patirlo, caricarsene, esaurirlo, rovesciarne il senso, che l’Amore libera il mondo dall’Odio.

Senza ora ampliare il discorso, diciamo che anche Gandhi, Marin Luther King, Aldo Capitini e altri maestri della nonviolenza positiva hanno vissuto una tale debolezza, fino a morire piuttosto che uccidere, che è una grande forza fondativa di vita nuova, di promozione di ogni vita e realtà. Forse il “pensiero debole” di Vattimo non è solo uno slogan di successo, ma un contributo a riconoscere la realtà e la vita non come potenza sovrana, ma come fermento fragile grandemente vitale, che merita di essere curato, amato. Prego chi legge di continuare questo tentativo di riflessione, se ritiene che valga la pena.

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Enrico Peyretti è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente.


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