(Italiano) L’energia nucleare ad uso civile: emissioni ‘zero’? Dosi, tempi, limiti.
ORIGINAL LANGUAGES, 15 Dec 2025
Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

L’impianto di Bellefonte, interrotto negli anni 1980 quando era quasi completato, ne è previsto ora il completamento.
Foto TVA – TVA, Pubblico dominio, Collegamento
“Le proprietà di un sistema fisico non possono essere considerate indipendentemente dalle interazioni nelle quali queste proprietà si manifestano e dai sistemi a cui si manifestano.”
— Carlo Rovelli, Sull’eguaglianza di tutte le cose, Adelphi 2025
La coalizione filo-nucleare
– Il 17 novembre 2025, a margine della COP30 a Belém, in Brasile (in occasione di un evento collaterale ufficiale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la World Nuclear Association, che guidava la presenza dell’industria dell’energia nucleare al convegno, ha annunciato il suo programma di sostegno alla triplicazione della capacità energetica nucleare globale entro il 2050.
Sono 33 i Paesi (dell’Europa, del Golfo, dell’Asia e alcuni dell’Africa) che aderiscono alla proposta, condivisa da numerose aziende e istituzioni finanziarie. La Banca Mondiale, la principale istituzione finanziaria internazionale che si occupa di sviluppo economico per i paesi più poveri, ha annunciato che sosterrà e finanzierà i progetti legati all’energia nucleare: si tratta di una novità significativa, dopo che dal 2013 fino ad oggi aveva vietato questo tipo di attività.
Gli USA: un programma articolato
Già nel 2024 il Presidente Biden aveva espresso l’obiettivo di triplicare la capacità nucleare statunitense entro il 2050, fissando come obiettivo i 200 gigawatt (GW) di nuova capacità di energia nucleare. Nel breve termine veniva fissato come obiettivo lo sviluppo di 35 GW di nuova capacità da costruire o in costruzione entro il 2035, per poi raggiungere un tasso di sviluppo di 15 GW all’anno a partire dal 2040. Per facilitare l’avvio di questo piano, il 23 maggio scorso il presidente Trump ha firmato quattro ordini esecutivi per snellire i tempi di rilancio dell’energia nucleare.
È stato dato l’incarico al Segretario della Difesa di programmare lo sviluppo di nuovi reattori, da installare nei vasti possedimenti militari nazionali. Il Dipartimento dell’Energia (DOE) è incaricato di utilizzare la sua autorità per posizionare e autorizzare reattori nucleari avanzati finanziati privatamente presso le strutture del DOE. I due Segretari (Energia e Difesa) dovranno collaborare nella creazione di una “banca del combustibile”, e utilizzare tutte le autorità legali disponibili per autorizzare la progettazione, la costruzione e l’operatività per il riciclo del combustibile nucleare. Ulteriori misure includono il sostegno al riavvio di centrali ora chiuse e alla costruzione di nuove centrali.
I Dipartimenti del Lavoro e dell’Istruzione sono tenuti a espandere i programmi di apprendistato e formazione professionale, e a fornire maggiori opportunità di accesso sia per studenti che per il personale della difesa. Infine, è prevista la riforma della Nuclear Regulatory Commission (NRC), per semplificare le verifiche sulla sicurezza, e ridurre i tempi di esecuzione delle opere.
Dietro allo snellimento burocratico
Uno degli ordini esecutivi riguarda dunque la revisione dei criteri di sicurezza attuali della NRC, che vengono considerati eccessivamente conservativi. Nel farlo, la Commissione deve valutare la possibilità di allentare lo standard su quello che è considerato un livello “sicuro” di esposizione alle radiazioni per la popolazione generale; ossia di considerare non pericolose dosi di radiazioni che fino ad ora erano vietate.
Nel testo dell’ordine si legge che “La NRC utilizza modelli di sicurezza che presuppongono che non esista una soglia sicura di esposizione alle radiazioni e che il danno sia direttamente proporzionale alla quantità di esposizione. Questi modelli mancano di una solida base scientifica e producono risultati irrazionali, come richiedere che gli impianti nucleari proteggano contro livelli di radiazioni inferiori a quelli naturalmente presenti.
La verifica della sicurezza della filiera del nucleare richiede grande impegno tecnico-scientifico, lunghi controlli e adeguati finanziamenti. Finora il controllo delle radiazioni si è basato sulle indicazioni degli scienziati, che hanno stabilito che non esiste una soglia al di sotto della quale le radiazioni possano essere considerate innocue. L’ordine esecutivo di Trump contesta questa norma, dichiarandola irrazionale e priva di basi scientifiche solide. L’allentamento delle norme di scurezza renderebbe meno vincolanti le tutele e più rapide le procedure lungo le tappe di costruzione delle nuove centrali previste.
Assenza di emissioni?
Dei 94 reattori esistenti in USA, quasi metà hanno intorno ai 45 anni. Inoltre si sta progettando la riattivazione di centrali già chiuse. Il governo ha promesso grandi finanziamenti per l’espansione della produzione di energia nucleare, sia per la costruzione in loco in USA sia per sostenerne l’espansione in altri Paesi, mantenendone il controllo grazie alla fornitura di tecnologie e competenze.
Con il previsto moltiplicarsi dell’installazione di reattori nucleari, anche in aree più densamente abitate, occorre tenere conto dei possibili rischi per la salute umana derivanti dall’esposizione prolungata (per lavoro o per residenza) nelle vicinanze di reattori nucleari. Molti leaders pro-nucleare, politici, imprenditori e funzionari governativi, sostengono con orgoglio che l’energia nucleare è fonte di energia ‘senza emissioni’, e si riferiscono alla produzione di CO2, considerata la principale responsabile dell’effetto serra che sta rapidamente alterando il clima del nostro pianeta.
Ma non bisogna dimenticare che in ogni fase della produzione di energia nucleare viene rilasciata radioattività. In particolare, i lavoratori degli impianti e le comunità umane che abitano nei pressi delle centrali nucleari sono esposti in modo continuo a queste radiazioni, di bassa intensità ma prolungate nel tempo. Sulle emissioni di routine dai reattori, e sui possibili effetti sanitari, i dati a disposizione sono sporadici, frammentari, contradditori. Inoltre sono assenti o non disponibili in gran parte dei Paesi che ospitano centrali nucleari.
La carenza di dati
Sul sito del Bollettino degli scienziati atomici a settembre 2025 è stato pubblicato un articolo firmato da due studiosi, Mangano e Alvarez, che sostengono la necessità di condurre uno studio nazionale sul cancro in prossimità dei reattori statunitensi prima di qualsiasi nuova espansione dell’energia nucleare. I due Autori richiamano l’attenzione sul fatto che finora sono stati condotti pochi studi sulle relazioni tra rischi di cancro e prossimità delle popolazioni alle centrali nucleari. Attualmente, dopo numerosi decenni di funzionamento di tante centrali, e nella prospettiva di riprendere la costruzione di molti nuovi reattori, secondo questi scienziati è necessario svolgere nuove indagini: realizzare uno studio a livello nazionale, eseguire nuove misure da parte dal governo federale (coinvolgendo solo ricercatori indipendenti), rendere pubblici i risultati e presentarli alle comunità interessate.
Alcuni esperti di radiologia e di politica ambientale stanno lanciando l’allarme, definendo la direttiva emanata dal Presidente USA un pericoloso allontanamento da un quadro normativo che era stato finora rispettato, seguito e costantemente rafforzato da revisioni scientifiche per generazioni.
Studi non sistematici, fin dagli anni ’60 del novecento, avevano segnalato un aumento delle morti per tumori da esposizione a basse dosi, ma non erano stati completati, oppure criticati come poco scientifici, o messi a tacere. Qualche indagine svolta su singole centrali nucleari, negli anni ’80, aveva messo in luce incidenze di tumori tiroidei nelle popolazioni intorno alla centrale di Salem (New Jersey), ed evidenze di forme di cancro in età infantile intorno a 14 centrali negli stati USA dell’Est. Ma attualmente manca un archivio aggiornato degli studi sui possibili effetti delle radiazioni nei dintorni delle centrali nucleari. Alcuni studi in Europa (in particolare in Germania, Regno Unito, Svizzera) hanno fornito risultati controversi e interpretazioni ambigue.
Solo nel 2024 sono stati intrapresi due studi più estesi, da parte di Petros Koutrakis, professore di Scienze Ambientali nella Harvard T.H. Chan School of Public Health nel Vermont (USA), non ancora pubblicati: uno sulle relazioni tra l’incidenza di cancro e la prossimità alle centrali, l’altro sulla presenza di particelle radioattive sui terreni e intorno alle abitazioni nei pressi della centrale di Pilgrim (attualmente in fase di smantellamento).
Dosi e limiti
La scarsa conoscenza degli effetti delle radiazioni a basso livello, le diverse condizioni geografiche e socio- ambientali delle aree coinvolte nella costruzione degli impianti, la mancanza di trasparenza sui dati raccolti nel settore militare, oltre alle informazioni dedotte da eventi passati (gli studi sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki) rendono impossibile fornire certezze su un tema, come questo, così complesso, che presenta molteplici aspetti e interdipendenze sconosciute. Questa consapevolezza ha indotto i responsabili della sicurezza, fin dai primi anni del boom dell’’atomo per la pace’, a introdurre criteri stringenti che gli operatori degli impianti nucleari dovevano rispettare.
Le ricerche scientifiche e le misure proseguite successivamente hanno suggerito agli esperti (tecnici, medici, operatori) di considerare potenzialmente dannosa ogni esposizione, anche di bassa intensità e piccola dose. Le dosi individuali per applicazioni non mediche non devono superare i limiti stabiliti. Per i lavoratori, il limite è di 50 mSv in un singolo anno, con un massimo di 100 mSv in un periodo di cinque anni consecutivi. Per il pubblico, il limite attuale è di 1 mSv di esposizione alle radiazioni da sorgenti artificiali all’anno.
Il controllo della sicurezza degli impianti (verifica dell’assenza di emissioni lungo tutte le strutture dei reattori), e la necessità di periodici controlli medici delle persone esposte costituiscono una componente di cruciale importanza nella costruzione e nella gestione di ogni centrale nucleare.
Per evitare conseguenze catastrofiche
Un articolo del 14 novembre 2025 pubblicato sul Bollettino degli scienziati atomici mette in luce un aspetto finora trascurato sulle possibili conseguenze delle radiazioni nelle vicinanze delle centrali nucleari: gli effetti su donne e bambine. Gli Autori avvertono che, in alcune circostanze, gli effetti dei possibili nuovi limiti potrebbero diventare “catastrofici” per coloro che vivono in prossimità di impianti nucleari. Una critica da tempo avanzata riguardo agli studi dei rischi sanitari (di vario tipo) è la scelta – ancora oggi praticata – di indagare gli effetti delle radiazioni solo su soggetti maschi adulti. Gli attuali standard normativi sono basati su dosi “ammissibili” o “permissibili” per un “uomo di riferimento“.
L’uomo di riferimento è definito come “…un lavoratore dell’industria nucleare di età compresa tra 20 e 30 anni, [che] pesa 70 kg, è alto 170 cm, è caucasico e ha un habitat e costumi dell’Europa occidentale o del Nord America.” Ma i soggetti che vengono esposti alle radiazioni sono anche uomini e donne, adulti e bambini, che vivono nelle aree circostanti agli impianti.
Una studiosa americana, Mary Olson, nel 2019 ha pubblicato dei dati che dimostrano che l’impatto delle radiazioni sulle popolazioni non è lo stesso per tutti: le donne, e soprattutto le bambine, risultano più vulnerabili dei maschi all’esposizione
La maggior parte delle ricerche incentrate sulla vulnerabilità di donne e bambini ha costantemente indicato impatti superiori rispetto ai maschi; questi possono includere un aumento dei tumori infantili, in particolare leucemia e tumori del sistema nervoso centrale, disturbi neurologici, difficoltà respiratorie, disfunzioni cardiovascolari, disfunzioni immunitarie, mortalità perinatale e difetti alla nascita. La rapida divisione cellulare durante i processi di sviluppo potrebbe essere responsabile di parte di questa maggiore vulnerabilità.
Varietà di emissioni?
Le centrali nucleari rilasciano regolarmente radioattività durante il loro funzionamento quotidiano. Nel 2008, in Germania è stato pubblicato uno studio di caso, noto come studio KiKK , che ha rivelato un aumento di 1,6 volte di tutti i tumori e di 2,2 volte delle leucemie tra i bambini di età inferiore ai 5 anni che vivevano entro 5 km dalle centrali nucleari esaminate. In generale, l’incidenza era maggiore quanto più i bambini vivevano vicini alla centrale. I risultati dello studio sono stati parzialmente convalidati da altri studi, ma in conclusione gli autori hanno affermato che i loro risultati erano “inspiegabili” perché si presumeva che le dosi fossero troppo basse per causare il cancro. Indagini successive hanno poi dichiarato non attendibili le conclusioni tratte dai risultati del 2008.
Partendo da una prospettiva diversa il dott. Ian Fairlie, un ricercatore britannico esperto in radiazioni, ha avanzato una ipotesi nuova: che durante i rifornimenti dei reattori si possano manifestare improvvisi picchi di rilascio di radiazioni, che abbiano portato all’emissione di dosi più elevate. Questi potrebbero spiegare i tassi più elevati di leucemia tra i bambini. Fairlie avanza inoltre l’ipotesi che le alte occorrenze osservate di leucemie infantili possano essere da attribuire a un effetto teratogeno dei radionuclidi, in particolare del trizio, incorporati durante la gravidanza.
I rischi del basso dosaggio
Lo scenario proposto dai sostenitori dello sviluppo dell’energia nucleare ad uso civile, in particolare la prospettiva di una proliferazione di numerosi, piccoli impianti nucleari da costruire anche in prossimità di centri abitati, rende necessario moltiplicare le indagini sui possibili effetti delle radiazioni di basso livello prolungate nel tempo. Uno studio pubblicato di recente sul British Medical Journal cerca di rispondere alla domanda: “La lunga e costante esposizione a basse di dosi di radiazioni ionizzanti fa aumentare le probabilità di ammalarsi di tumore?” È questa la domanda da cui sono partiti ricercatori di diversi Paesi, che hanno analizzato i dati di oltre 300mila lavoratori nell’industria nucleare (in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) per meglio stimare il rischio di cancro legato all’attività di chi ogni giorno entra in contatto con fonti radianti.
Lo studio fornisce una stima diretta dell’associazione tra l’esposizione prolungata a basso dosaggio alle radiazioni ionizzanti e la mortalità per cancro solido, e suggerisce un aumento lineare del tasso di cancro con l’aumento dell’esposizione alle radiazioni. Le conclusioni degli Autori forniscono nuovi elementi che rafforzano quanto finora era già noto e depongono a favore di una intensificazione della protezione per le categorie professionali più esposte al pericolo.
Anche la prospettiva di una crescente contiguità tra impianti nucleari e popolazione civile incoraggia a quantificare i rischi di cancro associati a esposizioni prolungate alle radiazioni, e può contribuire a rafforzare le basi per gli standard di radioprotezione, invertendo la proposta – suggerita da Trump – di snellire le procedure riducendo controlli e limiti.
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.
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Tags: COP30, Nuclear Energy, Trump, USA
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