(Italiano) La Nostra Terra, le Nostre Vite

AFRICA, ANGLO AMERICA, EUROPE, CAPITALISM, DEVELOPMENT, ORIGINAL LANGUAGES, 25 Feb 2013

Peter Singer - Project Syndicate

Le nazioni ricche – o gli investitori lì basati- dovrebbero comprare terreni agricoli nei paesi in via di sviluppo? Questa domanda è posta in Transnational Land Deals for Agriculture in the Global South (1), un rapporto pubblicato l’anno scorso da Land Matrix Partnership, consorzio di organizzazioni non governative e istituti di ricerca europei.

Il rapporto mostra che dal 2000, investitori o enti pubblici in nazioni ricche o emergenti hanno comprato oltre 83 milioni di ettari (più di 200 milioni di acri) di terreno agricolo nelle nazioni più povere in via di sviluppo. Questo equivale all’1.7% dei terreni agricoli del mondo.

La maggior parte di questi acquisti sono stati fatti in Africa, con due terzi aventi luogo in nazioni dove la fame è ampiamente diffusa e le istituzioni che stabiliscono formalmente la proprietà terriera sono spesso deboli. I soli acquisti in Africa equivalgono a un’area di terreno agricolo della misura del Kenya.

È stato affermato che gli investitori stranieri stanno comprando terra che è stata lasciata improduttiva; perciò, rendendola produttiva, gli acquisti stanno alzando la disponibilità complessiva di cibo. Ma il rapporto della Land Matrix Partnership ha constatato che questo non è il caso: all’incirca il 45% degli acquisti ha coinvolto terreno coltivabile esistente, e quasi un terzo della terra acquistata era imboschita, indicando che il suo sviluppo può presentare rischi per la biodiversità.

Gli investimenti sono sia privati che pubblici (per esempio, di enti di proprietà dello Stato) e vengono da tre diversi gruppi di nazioni: economie emergenti come la Cina, India, Brasile, Sudafrica, Malaysia e Corea del Sud; Stati del Golfo ricchi di petrolio; e economie ben sviluppate come gli Stati Uniti e diverse nazioni europee. In media, il reddito pro capite nelle nazioni che sono la fonte di questi investimenti è quattro volte più alto di quello nelle nazioni bersaglio.

Molti degli investimenti mirano a produrre cibo o altre colture per l’esportazione dalle nazioni nelle quali la terra viene acquisita, per l’ovvio motivo che le nazioni più ricche possono pagare di più per il prodotto. Più del 40% dei progetti di questo tipo mira a esportare il cibo dalla nazione fonte — suggerendo che la sicurezza del cibo è un motivo importante per comprare la terra.

Oxfam International chiama alcuni di questi accordi “occupazioni di terra” (“land grabs”). Il suo stesso rapporto, Our Land, Our Lives(2), indica che, dal 2008, le comunità colpite dai progetti della Banca Mondiale hanno presentato 21 richiami formali che sostengono violazioni dei diritti della loro terra.

Oxfam, attirando l’attenzione sulle acquisizioni di terra su vasta scala che hanno implicato violazioni esplicite dei diritti, ha fatto appello alla Banca per congelare gli investimenti negli acquisti di terra fino a che potrà stabilire standard assicurando che le comunità locali siano informate di questi in anticipo, con l’opzione di rifiutarli. Oxfam vuole anche che la Banca assicuri che questi accordi terrieri non danneggino la sicurezza del cibo sia locale sia nazionale.

In risposta, la Banca Mondiale ha concordato che ci sono casi di abuso nell’acquisizione della terre, particolarmente nelle nazioni in via di sviluppo nelle quali l’amministrazione è debole, e ha detto che ha appoggiato una partecipazione più trasparente e generalizzata. Allo stesso tempo, ha indicato il bisogno di aumentare la produzione di cibo per nutrire i due miliardi in più di persone previste in vita nel 2050, e ha consigliato che è richiesto un maggiore investimento nell’agricoltura nei paesi in via di sviluppo per migliorare la produttività. La Banca ha ricusato l’idea di una moratoria sul suo stesso lavoro con gli investitori nell’agricoltura, sostenendo che ciò prenderebbe di mira precisamente coloro che è molto probabile che facciano la cosa giusta.

Uno si può chiedere se la trasparenza e il requisito che i proprietari di terra locali acconsentano alla vendita sia abbastanza per proteggere le persone che vivono in povertà. I sostenitori del libero mercato dichiareranno che se i proprietari di terra locali desiderano vendere, quella è una loro scelta.

Ma, date le pressioni della povertà e l’esca del denaro, cosa ci vuole alle persone per essere capaci di prendere una decisione genuinamente libera e informata riguardo alla vendita di qualcosa così significativo come il loro diritto alla terra? Dopo tutto, noi non permettiamo alle persone povere di vendere i loro reni al migliore offerente.

Certo, gli irriducibili sostenitori del libero mercato diranno che dovremmo. Ma, alla fin fine, deve essere spiegato perché alle persone deve essere proibito vendere i reni, ma non la terra che cresce il loro cibo. La maggior parte della gente può vivere senza un rene. Nessuno può vivere senza cibo.

Perché l’acquisto di parti del corpo fa crescere la condanna internazionale, mentre l’acquisto di terra coltivabile no – anche quando include sfrattare i proprietari di terra locali e produrre cibo per l’esportazione in paesi ricchi invece che per il consumo locale?

La Banca Mondiale potrebbe di fatto essere più preoccupata riguardo ai diritti dei proprietari terrieri locali di quanto non lo siano altri investitori stranieri. Se così fosse, i 21 reclami fatti contro i progetti della Banca sono più probabilmente la punta visibile di un vasto iceberg di violazioni di diritti della terra da parte di investitori stranieri nei progetti di agricoltura in paesi in via di sviluppo – con gli altri che rimangono invisibili perché le vittime non hanno accesso a nessuna procedura di reclamo.

Un caso come questo arriva tardivamente all’attenzione del United Nations Human Rights Committee (3). A Novembre, il Comitato ha concluso che la Germania aveva fallito nel sorvegliare il Neumann Kaffee Gruppe riguardo alla sua complicità nello sfratto forzato di diversi villaggi in Uganda per far spazio a una vasta piantagione di caffè.

Ma gli sfratti ebbero luogo nel 2001, e gli abitanti del villaggio stanno ancora vivendo in povertà estrema. Essi non hanno trovato nessun rimedio, né in Uganda né in Germania, alla violazione di diritti che, secondo il Comitato, essi possiedono sotto la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, della quale la Germania è firmataria. Dobbiamo credere che i proprietari di terra se la passino meglio con gli investitori cinesi o arabi?

Note del traduttore:

(1) Letteralmente: Accordi terrieri transnazionali per l’agricoltura nel Sud globale

(2) Letteralmente: La nostra terra, le nostre vite

(3) United Nations Human Rights Committee: letteralmente Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite, è un corpo di esperti indipendenti che monitora l’attuazione della Convenzione sui diritti civili e politici da parte degli stati membri dell’ONU. (fonte: www.ohchr.org)

Fonte: project-syndicate.org

Traduzione per Comedonchisciotte.org a cura di Ilaria Groppi.

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