(Italiano) Le proposte di Pace funzionano! …a volte

ORIGINAL LANGUAGES, 2 Sep 2013

Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

(Traduzione di Silvia De Michelis per il Centro Studi Sereno Regis)

Kuala Lumpur: Perdana Global Peace Foundation (Fondazione Globale per la Pace “Perdana”), 25 agosto 2013

Sforzi per una Pace Globale: Cosa è andato storto & Quale Futuro?”

L’Organizzazione Non Governativa TRANSCEND Mediation Network ha appena compiuto 20 anni e la nostra esperienza è chiara: una buona proposta di pace molto spesso funziona.

Giusto per menzionare qualcuna tra le 30 esperienze positive: abbiamo inaugurato gli studi per la pace e il giornalismo di pace; abbiamo contribuito a migliorare le relazioni razziali in Charlottesville, Virginia; a porre fine alla guerra fredda grazie alla creazione di una collaborazione tra Norvegia e Polonia: l’idea di una Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e sulla nonviolenza; a migliorare le relazioni Nord-Sud attraverso la cooperazione Sud-Sud e il successivo ricollegamento con il Nord del mondo sulla base dell’equità – tutto ciò dai primi anni 1960.

Successivamente sono stati offerti contributi per la pace nella penisola coreana (prevedendo di unire la nazione in primo luogo e, successivamente, i paesi); sulla questione curda (proponendo la configurazione del Kurdistan come Confederazione di autonomie fondate sul rispetto dei diritti umani nei quattro paesi); nel porre termine alla guerra più lunga dell’America Latina, Ecuador/Perù, (dove è stato creato un condominio di due Stati sulle Ande, con un parco naturale e, successivamente, una zona economica comune); per la pace tripartita nel Caucaso; nell’offrire proposte contro il bullismo nelle scuole, sulla mediazione giudiziale, sul problema dei migranti in Zimbabwe, nel processo di conciliazione tra Germania/Herero, Turchia/Armenia, Danimarca/Islam, e via dicendo, fino a oggi.

I nostri palesi fallimenti comprendono Israele/Palestina-Stati Arabi-Islam, Yugoslavia, Sri Lanka, Kashmir, Nepal, Colombia, non per mancanza di tentativi. Come molti hanno fatto notare, la mediazione diventa molto difficile se una delle parti coinvolte è convinta che la vittoria è a portata di mano, positivamente essendo più forte (USA, Israele), negativamente attendendo il collasso altrui (le due Coree, India/Pakistan nel Kashmir). E pensano che in tal modo il vincitore può dettare le condizioni. Tuttavia, la vittoria non è pace. La vittoria è gloria per il vincitore e maggiore appetito; è trauma per i perdenti e desiderio di vendetta, di rivincita, di un nuovo accordo. Può sembrare che la vittoria sia accettabile e sostenibile, ma aspettiamo un po’ e da essa scaturirà un ritorno di fiamma. Niente di risolto.

Per una pace reale devono affrontarsi non solo le innate tendenze dell’odio e le esterne manifestazioni della violenza – anche se maggiore empatia e minore violenza aiutano -, ma anche le contraddizioni e le incompatibilità tra essi. Stiamo parlando di pace, non di mera pacificazione come in Nepal.

Nella nostra esperienza una buona proposta di pace ha determinate caratteristiche:

  • proviene da dialoghi di mediazione tra tutte le parti, facendo emergere ogni loro obiettivo legittimo (compatibile con il rispetto dei diritti umani), le loro visioni per un futuro positivo, trattando ciascuno di loro (e possono essere molti!) equamente;
  • è concreta, costruttiva – esclude generalizzazioni e criticismi moralizzatori; è creativa, apporta qualcosa di nuovo;
  • deve contenere le parti legittime degli obiettivi di ciascuna parte + qualcosa di extra per tutti creando una nuova realtà, spingendosi oltre (come un condominio sulle Ande, o una Comunità del Medio Oriente);
  • dovrebbe auto-sostenersi anche economicamente (come un condominio per le isole nei mari della Cina con zone di terraferma nell’Asia del Sud-Est e del Nord-Est, isole nelle Filippine, Taiwan, Giappone e il preventivo di una distribuzione delle entrate che includa le spese del condominio);
  • le parti esterne devono considerarla ragionevole, perfino persuasiva- “Rappresentami!” – facendo apparire irragionevole non aderire;
  • idealmente le parti elaborano i dettagli insieme nella direzione indicata dalla proposta; se inaccettabili le loro obiezioni devono essere considerate seriamente, se legittime devono essere messe in pratica nella proposta;
  • deve essere sostenibile rendendo compatibile l’incompatibile; l’esperienza mostra che l’odio e la violenza si indeboliscono di fronte a una buona soluzione, rispettosa della dignità di ciascuno.

Una buona soluzione deve identificare il conflitto (non tra Nord e Sud Corea. Più correttamente, tra Corea del Nord e USA). Una buona soluzione dipende molto più dalla creatività che non da una “buona chimica” tra le parti: anche così esse possono giungere a comprendersi bene e a proporre soluzioni verso direzioni condivise (come disegnare un confine sulle Ande). Un orientamento alla soluzione è necessario; analisi insegnate nelle Università non sono mai abbastanza buone, così come non lo è la diplomazia che promuova gli interessi del proprio Stato. Anatol Pikas ha messo in luce 5 impedimenti alle soluzioni:

  • Conflitto e violenza sono attraenti, producono senso d’identità e di eccitazione, grazie ai media che nutrono il negativo e il sanguinolento; amate questo, non la pace.
  • Le persone sono abituate alla risoluzione dei conflitti dall’alto, così rimangono in attesa fintanto che l’alto se ne esca con qualcosa, per definizione, una soluzione.
  • Assumersi la responsabilità spesso implica un duro lavoro; lasciamolo agli altri.
  • Gli archetipi tendono a essere violenti, come gli “eroi”, contribuendo così a definire la violenza e la vittoria come normale-naturale-buona. Ma Gandhi-King-Mandela hanno cambiato questa visione?
  • Le proposte possono contenere più dissonanze cognitive di quelle che le persone riescono ad afferrare, come troncare con l’egemone eppure cooperare con esso quando egli mostri segni di equità, criticare l’espansionismo d’Israele, ma proporre una Comunità del Medio Oriente sulla base di termini equi con i cinque paesi arabi vicini – modellata sulla CE del 1958 – con una soluzione dei due Stati al centro e incorporata in un’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Asia occidentale. Una Gerusalemme per ciascuno come capitale, diritti di ritorno per entrambi, cantoni israeliani nella West Bank – Cisgiordania – e cantoni palestinesi nel Nord-Ovest d’Israele.

Perché? Perché vi sono una legittimità ebrea data la storia dell’antichità e, per la stessa ragione, una legittimità araba. Coloro i quali dibattono anche sulla base della storia, come faccio anch’io, riconosceranno di certo anche la legittimità dei diritti dei cinesi sul mare data la presenza di rotte marittime dalla Cina dell’Est all’Africa dell’Est dal 500 d.C. al 1500 d.C. brutalmente eliminate da due paesi occidentali, Portogallo e Inghilterra. Quanto non è legale può tuttavia contenere aspetti di legittimità ed essere oggetto di negoziazione.

Per riassumere: per ridurre la violenza dobbiamo identificare i conflitti, il disaccordo tra obiettivi; per identificare i conflitti dobbiamo dialogare con tutte le parti; per giungere a una soluzione il metodo consiste nella mutua ricerca di una nuova realtà, non in vittoriosi dibattiti e compromessi. Più proposte fluttuano nell’aria meglio è; presto o tardi esse verranno afferrate.

 Titolo originale: Peace Proposals Work! – Sometimes – TRANSCEND Media Service-TMS

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