(Italiano) I due terrorismi e le alternative della nonviolenza

ORIGINAL LANGUAGES, 23 Nov 2015

Nanni Salio – Centro Studi Sereno Regis

nanni-salio-180x167Occhio per occhio e il mondo diventa cieco (Gandhi)

20 novembere 2015 – I terrorismi sono due: quello dall’alto, degli stati, che viene chiamato guerra, e il terrorismo dal basso, degli insorti, dei ribelli, di coloro che subiscono gli effetti del primo terrorismo. Nasce prima l’uno o l’altro, l’uovo o la gallina? Hanno bisogno l’uno dell’altro, si autoalimentano, in una spirale di violenza crescente, come vediamo ogni giorno in molte aree del mondo, in particolare nel Medio Oriente, ma non solo. Espressioni “Shock and Awe” (colpisci e terrorizza) e “equilibrio del terrore” (che si riferisce alla minaccia di guerra nucleare) non sono state inventate dagli jihadisti, ma sono il frutto perverso del pensiero strategico delle grandi potenze.

E le vittime? Sono i civili, prevalentemente, ma non dimentichiamo anche i soldati, sottoposti allo stress della guerra, della paura, della morte.

E i burattinai? Siedono comodamente nei parlamenti, nei consigli di amministrazione delle industrie belliche e delle banche che le finanziano, nei centri di ricerca militari, nelle scuole di guerra, nei servizi segreti, nel Pentagono, nel mondo accademico e scientifico che offre i suoi servizi alla guerra, e così via. Loro la guerra non la fanno, la progettano e la fanno fare alla manovalanza.

Dopo ogni strage, come quella di Parigi del 13 novembre scorso, si sentono spesso opinionisti e politici urlare: “dove sono i pacifisti?”. Stranamente, questa volta non è ancora successo. Forse perché hanno avuto un minimo di pudore, se non di vergogna. Infatti, avrebbero dovuto chiedere “dov’è la NATO?” Stava giocando con 35 mila uomini alla battaglia navale nel Mediterraneo e a simulare la guerra prossima ventura non contro l’ISIS, bensì contro la Russia, e in prospettiva anche contro la Cina. E dove erano gli agenti dei servizi segreti, le intelligence poco intelligenti, che fingono di non sapere nulla prima, ma sanno tutto dopo?

E’ la “grande scacchiera” del “grande gioco” per controllare l’Eurasia, secondo le elucubrazioni di Brezinski, dove le pedine sono gli eserciti. Non compaiono le vittime, i civili, considerati semplicemente “danni collaterali”, né i burattinai, che operano ben nascosti.

Frankestein, il dottor Stranamore e l’ISIS

Prima era al Qaeda con Bin Laden, ora è l’ISIS con il califfo. Entrambi sono il risultato degli esperimenti di geopolitica condotti nel laboratorio-mondo dai grandi strateghi neocon e del Pentagono.

E’ ormai ampiamente risaputo che l’ISIS è una creatura nata dalla politica che gli USA hanno condotto da almeno un quarto di secolo in Medio Oriente. Insieme a loro non dobbiamo dimenticare Israele, che ha fatto della Palestina e di Gaza in particolare il laboratorio per la sperimentazione di ogni sorta di tecnologia di controllo sociale per incutere terrore nella popolazione.

Se provocano paura le immagini degli uomini in nero dell’ISIS che brandiscono in una mano un coltello e nell’altra un kalashnikov, suscitano altrettanta paura i robocop, i soldati e i poliziotti trasformati in robot per uccidere.

I media ci illustrano con grande dovizia di particolari le violenze inflitte ai nostri concittadini, ma si guardano bene dal riportare ciò che avviene quasi quotidianamanete con gli attacchi dei droni armati, che uccidono migliaia di civili, nel vano tentativo di colpire i responsabili degli atti di terrorismo. Il rapporto tra le vittime provocate dai nostri eserciti e quelle dei gruppi di jihadisti è di 1:1000 o, se si vuole essere generosi, di 1:100. E questi sono solo i dati relativi alla violenza diretta, mentre fingiamo di non vedere quella strutturale, di dimensioni ben maggiori.

Scontro di civiltà?

Non è quello prefigurato da Samuel Huntington, ma lo scontro tra la civiltà della violenza, del terrore, della barbarie e della guerra e la civiltà dell’amore, della solidarietà reciproca, della felicità e della nonviolenza.

Sta a noi scegliere da che parte stare e quale futuro vogliamo costruire per i nostri figli, nipoti e per l’umanità intera.

Le alternative della nonviolenza

E’ ormai risaputo, ma va sempre ribadito e documentato, che nonviolenza non vuol dire passività, ma azione e progetto politico per la creazione di una società equa e armonica mediante la trasformazione e risoluzione nonviolenta dei conflitti, dal micro al macro, senza ricorrere all’uso della violenza politica.

Molto cammino è stato fatto in questa direzione, sebbene quando ci troviamo di fronte a eventi tragici e di estrema violenza, possiamo essere presi dallo sconforto. Ma occorre allargare lo sguardo sia sul piano storico, sia su quello spaziale per vedere le alternative già presenti e quelle future. Abbiamo l’obbligo morale di dimostrare che tutti coloro che sono morti nel corso della violenza esercitata dai due terrorismi “non sono morti invano!”

Per rendere concreto questo impegno, possiamo ragionevolmente individuare due principali insiemi di proposte con le quali affrontare le crisi che attualmente lacerano l’umanità: misure non militari da adottare nel breve periodo, immediatamente, e misure nonviolente nel medio e lungo periodo.

Misure non militari nel breve periodo

Ecco alcune proposte ragionevoli, di buon senso, su cui c’è un accordo piuttosto ampio da parte di soggetti diversi, anche istituzionali, che non necessariamente aderiscono a una visione nonviolenta.

  1. Interrompere il flusso di armi ai belligeranti, come stabilisce il diritto internazionale largamente disatteso.
  2. Interrompere i finanziamenti ai gruppi jihadisti, che provengono in larga misura dall’Arabia Saudita, come ben noto, e dal commercio di petrolio e droga.
  3. Affrontare con decisione e concretamente i problemi dei rifugiati, migranti, profughi.
  4. Offrire valide alternative ai giovani immigrati nei paesi occidentali che vivono in condizioni di degrado e disagio sociale.
  5. Avviare processi di negoziato e dialogo con le controparti. Per chi è scettico su questa proposta, ricordiamo che in tutte le principali situazioni precedenti, questo è avvenuto, dapprima con contatti segreti, poi apertamente (Irlanda del Nord, Nepal, Colombia, Paesi Baschi).
  6. Affrontare con serietà, impegno e decisione la questione Israele-Palestina, il grande bubbone del Medio Oriente, imponendo al governo israeliano il rispetto del diritto internazionale, con mediatori del conflitto al di sopra delle parti.
  7. Istituire una commissione Verità e Riconciliazione per facilitare i negoziati e indagare sulle responsabilità storiche passate e recenti delle grandi potenze occidentali e di molti paesi arabi.
  8. Lavorare alla costruzione di una confederazione del Medio Oriente, sulla falsariga di altre confederazioni già esistenti e secondo i suggerimenti dati da personalità come Edgar Morin e Johan Galtung.
  9. Coordinare azioni di polizia internazionale, che non sono guerra in senso stretto, per individuare e catturare i responsabili degli attentati e processarli, invece di condannarli a morte o rinchiuderli senza un giusto processo a Guantanamo e Abhu Ghraib. Essi vengono uccisi perché sono testimoni scomodi, come è avvenuto con Bin Laden, Saddam Hussein, Gheddafi. Se fossimo intelletualmente onesti dovremmo anche processare uomini politici come Bush jr. e Tony Blair, responsabili di crimini di guerra contro l’umanità. Ma attualmente questo è chiedere troppo!
  10. Avviare processi di ricostruzione partecipata, per rimediare ai gravi danni inflitti alle popolazioni civili con i bombardamenti.

Misure nonviolente nel medio e lungo periodo

Le misure non militari nel breve periodo si possono avviare subito, se si crea il consenso tra le istituzioni politiche locali e internazionali.

Ma l’umanità intera si trova oggi in una fase di profonda trasformazione che dev’essere orientata verso la creazione di una autentica cultura della nonviolenza, se non vogliamo soccombere alle gravi minacce della crisi sistemica globale incombente (economico-finanziaria, alimentare, ecologico-climatica ambientale, sociale-esistenziale-etica-culturale).

Occorre pertanto lavorare a progetti concreti di medio e lungo periodo. Eccone alcuni, frutto degli studi avviati da tempo nel campo della ricerca per la pace.

  1. Costituire e addestrare Corpi Civili di Pace con compiti di mediazione, interposizione e prevenzione, ispirandosi alle iniziative ed esperienze in corso da decenni e attuando le proposte presentate nelle principali sedi istituzionali internazionali, dall’Unione Europea alle Nazioni Unite
  2. Riconvertire le industrie belliche e l’intero complesso militare-industriale in industrie civili e centri di ricerca per la pace e la sperimentazione di tecniche di risoluzione nonviolenta dei conflitti.
  3. Promuovere percorsi di educazione alla pace e alla nonviolenza sia nel mondo della scuola sia nella società in generale, per imparare ad affrontare i conflitti con creatività, concretamente e costruttivamente, senza cadere nella trappola della violenza.
  4. Riconversione ecologica e intellettuale dell’economia mondiale verso forme di economia gandhiana nonviolenta ispirate al paradigma della semplicità volontaria e del “partire dagli ultimi”. E’ una ricerca in atto, con sperimentazioni diffuse in ogni angolo del mondo, da cui c’è molto da imparare per superare la ristretta e distruttiva logica del capitalismo finanziario basato sulla crescita illimitata e sul profitto senza scrupoli.
  5. Utilizzare al meglio le attuali capacità di comunicazione su scala globale per costruire un “giornalismo di pace” alternativo al “giornalismo di guerra” tuttora dominante e che vediamo in azione a ogni evento luttuoso.
  6. Dialogo tra le religioni per riscoprire il comune fondamento basato sulla nonviolenza. Far conoscere in particolare le componenti più coerentemente nonviolente presenti in ciascuna religione, dai Quaccheri ai Sufi, dall’islam nonviolento di Badshah Khan, il “Gandhi musulmano”, alle tradizioni nonviolente della cultura ebraica, il Tikkun (aver cura del mondo), e buddhista.
  7. La cultura scientifica e la tecnoscienza svolgono una funzione cruciale nei processi evolutivi dell’umanità, ma occorre orientarle anch’esse, in tutta la loro enorme potenzialità, verso la cultura della nonviolenza. La responsabilità sociale dei tecnoscienziati è un punto nodale della ricerca scientifica.
  8. La cultura artistica, in tutte le sue principali manifestazioni, può e deve essere orientata verso lo sviluppo di una creatività che favorisca la ricerca di soluzioni nonviolente ai conflitti umani. Cinema, teatro, pittura, musica, letteratura sono strumenti da utilizzare per facilitare sia la cura dei traumi subiti sia la elaborazione positiva di visioni del mondo più armoniche.
  9. Affrontare la grave crisi delle democrazie rappresentative e partitiche occidentali, che nel corso del tempo si sono trasformate prevalentemente in oligarchie finanziarie e populismi di stampo reazionario. Promuovere la partecipazione attiva e diffusa e l’autogoverno della cittadinanza.
  10. Considerare i due terrorismi come una malattia mentale, una patologia mortale dell’umanità. Utilizzare il paradigma medico della diagnosi, prognosi e terapia (del passato e del futuro) per curare gli attori sociali dei due terrorismi.

Tutte queste azioni possono essere attuate e incrementate dal basso, come è avvenuto altre volte in passato, dai movimenti di base per la pace, l’ambiente, la giustizia sociale. Oggi questi movimenti, pur presenti, sono poco visibili e gli attentati di Parigi sembrano essere stati progettati appositamente per impedire loro di svolgere un ruolo di primo piano nel cambiamento sociale. Gli attentati sono avvenuti proprio a ridosso dell’importante appuntamento del COP 21 sul cambiamento climatico e hanno già contribuito a ridurre l’attenzione a tale conferenza.

Per tutte queste misure vale quanto abbiamo già detto: possono essere ampliate e perfezionate ulteriormente. Per far ciò “non basta la vita” di una singola persona, per quanto geniale, creativa, amorevole come quella dei grandi maestri che ci hanno preceduto, da Gandhi a Martin Luther King, da Danilo Dolci ad Aldo Capitini, da Buddha a Gesù. E’ un compito collettivo dell’intera umanità, possibile, doveroso, entusiasmante, per mettere fine alla violenza nella storia e far compiere un salto evolutivo alla natura umana.

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Prof. Nanni Salio è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Direttore del Centro Studi Sereno Regis a Torino.

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