(Italian) Animalismo, Specismo, Antispecismo e Diritti degli Animali

ORIGINAL LANGUAGES, 20 Aug 2012

Roberto Russo, GraphoMania – TRANSCEND Media Service

Intervista a Leonardo Caffo

Su GraphoMania parliamo spesso di animali: ci stanno particolarmente a cuore e non è un mistero. Ma non vogliamo che sia un discorso sdolcinato: secondo noi è importante guardare agli animali come esseri viventi, al pari nostro, con i loro diritti. Il fatto che noi siamo animali appartenenti alla specie umana non ci autorizza certo a trattare male gli animali non umani.

È un discorso ampio che va approfondito con chi ne sa più di noi. È per questo che abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il dottor Leonardo Caffo, laureato in Filosofia della Mente e del Linguaggio presso l’Università degli studi di Milano (con Elisa Paganini) con una specializzazione in Filosofia delle Scienze Cognitive presso la stessa Università (con Corrado Sinigaglia e Clotilde Calabi) e attualmente Dottorando di Ricerca (PhD Student) in Filosofia Analitica presso l’Università degli studi di Torino (Supervisione di Maurizio Ferraris).

Partiamo da una spiegazione dei termini: animalismo, specismo, antispecismo e diritti degli animali. Puoi illustrarceli brevemente?

Allora: la domanda contiene parte della risposta, direi proprio la parte più importante. Ovvero, i quattro concetti che citi, sono legati: ma diversi. È bene specificarlo, non per pignoleria, ma perché spesso assistiamo a un’intercambiabilità ingenua tra alcuni di questi. Ora, non è che esista un’unica definizione di tali concetti, tutt’altro: ma possiamo lavorare su un accordo comune che, grazie a certa letteratura, può consentirmi di rispondere nel modo più preciso possibile.

Animalismo è un termine recente: prima degli anni ’70, strano ma vero, il dizionario riportava la seguente definizione “chi dipinge o raffigura soggetti animali”. Curiosità a parte, l’animalismo oggi è quell’atteggiamento di riguardo nei confronti degli animali non umani ma, genericamente, non possiamo dire di più. In che senso? Nel senso che “riguardo” può voler dire almeno due cose: (1) tendere verso un atteggiamento di protezione degli animali, limitando parte delle azioni violente dell’umano verso il non umano oppure, in maniera radicalmente diversa, (2) discutere della fine del sistema di sfruttamento dell’animalità in modo definitivo abolendo, le pratiche violente intenzionali, ma anche mettendo in discussione ciò che conduce allo sviluppo di queste pratiche: giusto per atteggiarmi a filosofo, potremmo dire che (2) conduce a un’analisi critica delle condizioni di possibilità della violenza. Dunque (1) conduce a una rivendicazione dei diritti degli animali mentre (2), per continuare a collegare i vari termini della questione su cui mi hai stimolato, porta all’insediarsi, progressivo, dell’antispecismo.

Mentre l’antispecismo, in modo tautologico, come si capirà dal nome, si oppone allo specismo, nel caso dei diritti degli animali questo non è necessario. Lo specismo, in senso culturale, è l’ideologia giustificazionista che conduce l’umano a produrre giustificazioni per nobilitare la violenza istituzionalizzata verso gli animali non umani e, in senso genealogico, è un atteggiamento pregiudiziale che ha portato la situazione a quelle estreme conseguenze che ora si cercano di giustificare. Lo specismo naturale, invece, come spontanea propensione verso il simile (e ostilità verso il dissimile) non è oggetto, se non in visioni filosoficamente confuse e inconsistenti, di analisi critica o rifiuto da parte dell’antispecismo. È lecito che il leone preferisca stare con il leone, come l’umano con l’umano: l’illecito è il sistema violento e immorale su cui oggi, ed è sotto gli occhi di tutti, prosegue la vita della specie Homo Sapiens. La rivendicazione dei diritti degli animali, per concludere, si caratterizza come azione interna al sistema in cui, si spera, gli animali possano essere protetti attraverso una diminuzione progressiva delle violenze e degli eccessi oltre che per mezzo di una normalizzazione del loro statuto entro le nostre società. Come si tutelano i nostri diritti, anche i loro dovrebbero avere lo stesso trattamento.

L’antispecismo, sia esso concepito come questione morale e filosofica, che come questione politica e pratica (le cose vanno, solitamente, di pari passo), è invece un rifiuto deciso del sistema stesso che, non può essere semplicemente sistemato eliminando la violenza verso gli animali perché, sarà chiaro, se non si toccano e ridiscutono le premesse stesse che hanno permesso questa violenza le cose, per animali umani e non umani, non cambieranno mai radicalmente.

Ci potresti dare qualche coordinata storico/filosofica più approfondita sull’antispecismo?

Il termine specismo è stato coniato nel 1970 da Richard Ryder [in foto], ma il primo tassello architettonicamente consistente, nel panorama della filosofia antispecista, si deve a Peter Singer: era il 1975, con la pubblicazione di Animal Liberation – ormai un classico sul tema. Con Singer comincia l’antispecismo di derivazione utilitarista: quando agiamo, dice Singer, dobbiamo tenere in considerazione tutti gli individui interessati dal raggio delle nostre azioni. Se agire significa guadagnare più di quanto gli altri perdono, allora non siamo moralmente autorizzati ad agire. Per individui, chiaramente, Singer intende animali umani e non umani e, se tanto ci dà tanto, non possiamo più mangiare gli animali non umani: il nostro piacere, infatti, non è lontanamente paragonabile alle sofferenze a cui li sottoponiamo.

Negli anni ’80, giusto per citare un altro classico filosofo, Tom Regan lavora a un antispecismo di matrice giuspositivista: se diamo certi diritti agli umani, infatti, non c’è nessun buon motivo per non attribuirli anche agli animali non umani. Ma è anche un antispecismo giusnaturalista: nel senso che ogni animale, in quanto “soggetto di una vita”, è portatore di alcuni diritti intrinseci che rendono ingiustificabile lo specismo. Molti altri filosofi hanno lavorato affinando, modificando e rielaborando, le premesse generali dell’argomentazione antispecista. Tra questi, per citare i più noti, ci sono senz’altro Tzachi Zamir, Carol Adams, Paola Cavalieri, Donald Van De Veer ma anche Ralph Acampora e Matthew Calarco.

C’è poi un’altra data simbolica, quella della pubblicazione di Animal Rights/Human Rights: Entanglements of Oppression and Liberation di David Nibert che, nell’ormai lontano 2001, argomenta in modo più consistente in favore di una visione politica dell’antispecismo che leghi, a doppio filo, la questione dei diritti animali con quella dei diritti umani. Stupidamente, va detto con decisione, alcuni dividono l’antispecismo legato alla filosofia analitica (Singer, Regan, ecc.) da quello legato alla filosofia continentale (Calarco, Acampora, ecc.): a mio parere, invece, proprio entro l’antispecismo è chiaro come ormai, in filosofia, questa distinzione sia caduta lasciando spazio, come accettato da molti, a una filosofia globalizzata meno ricettiva alle dicotomie da salotti e dei filosofi della domenica.

Cosa vuol dire “liberare” gli animali? È un discorso fisico o va al di là?

Va al di là, ovviamente. Liberare gli animali significa liberare gli umani dall’idea di discriminazione dell’altro da sé: umano e non umano. Molti credono che l’antispecismo miri ad aprire le porte dei macelli: ma in realtà il compito politico e filosofico dell’antispecismo è quello di far sì che i macelli non possano proprio più essere concepiti. La liberazione degli animali è la fine dell’idea che qualcuno possa disporre di qualcun altro: un’utopia? Forse, ma se si è realizzata la distopia in cui viviamo, perché non dovrebbe realizzarsi l’utopia verso cui mira l’antispecismo?

Recentemente è stato pubblicato in italiano un libro che ha avuto un grande successo negli USA. L’autrice è Melanie Joy e il titolo è Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche. Ti giriamo l’affermazione del titolo in domanda: perché, secondo te, amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche?

Conosco il libro: l’autrice argomenta facendo uso della psicologia – discute delle dinamiche di gruppo, delle barriere sociali e anche dei meccanismi di difesa. Non a caso, nella sua edizione italiana, la prefazione è di Annamaria Manzoni che, proprio su meccanismi di difesa e specismo, ha lavorato in modo del tutto innovativo. Si pensi al suo In direzione contraria (Sonda, 2009). La domanda meriterebbe un’intervista a parte, ma banalmente la risposta alle tre questioni è una: perché nasciamo in una determinata cultura. In alcune parti della Cina, infatti, la domanda non avrebbe senso o, almeno, diventerebbe così: Perché mangi cani, mucche e maiali? Ludwig Wittgenstein, in Della Certezza, ci dice qualcosa che fa al caso nostro: “Il bambino impara, perché crede agli adulti. Il dubbio viene dopo la credenza”. L’antispecismo è il dubbio che viene dopo aver imparato che è normale amare un cane e ammazzare un maiale. Per questo potremmo dire che l’antispecismo è proprio quella filosofia che insegna a dubitare di tutto, a decostruire la realtà sociale, cercando di capire cosa resta al di là delle nostre convenzioni. In questo caso resta un’ovvietà: mucca, maiale e cane non abitano diversi piani morali. L’umano, ancora una volta, dispone dell’altro senza nessuna giustificazione.

Nel tuo libro Soltanto per loro. Un manifesto per l’animalità attraverso la filosofia e la politica, tu scrivi che è necessario “guardare l’altro con gli occhi dell’altro, lasciandoci avvolgere da ciò che non comprendiamo fino a trasformarci, in una vera metamorfosi, proprio nell’altro”. Ritieni che le donne e gli uomini del nostro tempo abbiano questa capacità di leggere dentro oppure si lasciano troppo spesso cullare dalle abitudini?

Siamo lontani dalla possibilità, teorizzata già da Jacques Derrida, che l’altro svanisca come altro: l’unico modo per poter realmente ripristinare una comunità non violenta, in cui la convivenza è realmente pacifica, è proprio quello di rinegoziare, fino alla sua eliminazione, il falso confine tra ciò che succede a me e ciò che capita agli altri. Se una cosa ci insegna la crisi economica attuale, questa è sicuramente la necessità di vivere per l’altro: l’egoismo dei mercati, dei paesi e dei cittadini conduce, inesorabilmente, verso la distruzione del sistema dal suo interno. Donne e uomini hanno la capacità di comprende l’altro in profondità, fa parte del nostro corredo biologico: l’empatia è proprio questa propensione a iscrivere l’altro in se stessi, a farlo scomparire in noi. Chi non è in grado è il cittadino: ovvero l’umano culturale che vive in un modo completamente egoista perché le nostre società educano all’individualismo, all’arrivismo, alla competizione – ovvero a superare l’altro con ogni mezzo, anche violento. Il “cittadino” è un concetto parte di quella realtà sociale che dobbiamo decostruire: dobbiamo ripartire dall’umano, ovvero dall’animalità dell’umano, in modo tale che si possa ricostruire un sentiero in cui si comprenda, definitivamente, che la mia vita dipende dalla tua esattamente come i corpi, anche i più lontani fra loro, si influenzano reciprocamente in questo nostro universo.

Un tuo articolo ha per titolo: “Antispecismo della disobbedienza civile”. Quanto c’è di disobbediente (alla cultura dominante, alla società, alle tradizioni, alle religioni…) essere antispecista?

Molto: è tautologico. Si pensi a Thoreau, che della disobbedienza civile fu il teorico principale. Egli si rifiutava di pagare le tasse per non partecipare al finanziamento della guerra proprio come, un antispecista, si rifiuta di comprare oggetti legati alla sofferenza animale per non fomentare la logica del mattatoio. Sia Thoreau che gli antispecisti sono coscienti, sia chiaro, che l’effetto soglia (la legge della domanda economica) rende “inutili” questi gesti: ma adeguarsi alle proprie idee e filosofie è un gesto necessario, a meno di assoluta irrazionalità e incoerenza. Spiega tutto bene Thoreau, proprio in Disobbedienza Civile, quando afferma: “Come può un uomo accontentarsi semplicemente di prendere in considerazione un’opinione, e compiacersi di ciò? Di che cosa si compiace se la sua opinione è che egli viene danneggiato?”. Non possiamo solo filosofare sull’antispecismo senza adeguare le nostre azioni: disobbedienza civile vuol dire rifiutare le imposizioni del sistema, in modo non violento, anche a scapito di propri personali vantaggi. Una perfetta definizione di antispecismo ante litteram, vorrei dire.

Lo hai accennato in una precedente risposta, ma te lo chiedo lo stesso per approfondire: vn vero amico degli animali, dev’essere necessariamente vegetariano/vegano?

Mah… banalmente sì, nel senso che è difficile che io sia amico di Flavio, per dire, se poi me lo mangio. Vorrei però far notare che la locuzione “amico degli animali” è problematica. Con la parola “animali”, faceva notare Derrida in L’animale che dunque sono, comprimiamo l’infinita varietà dei viventi: non è già questa discriminazione? Direi di si: e molti altri filosofi, si pensi a Carol Adams, hanno argomentato in favore di una rivisitazione di un linguaggio che contiene, al suo interno, tutta una serie di dispositivi dello specismo. Non esistono amici degli animali, così come non esistono amici delle donne, dei neri o dei commercialisti. L’amicizia è una relazione complessa, che lega due individui che vivono in modo unico e irripetibile un’esperienza di intreccio tra diverse esistenze. Che vuol dire essere amico di una determinata categoria? Niente, ovviamente. Va da sé, come dicevo, che nessuno può avere un rapporto di amicizia con il suo pranzo.

Quanto può il web con i suoi siti, blog, forum, social network e via dicendo aiutare le persone a porsi delle domande che facciano poi scaturire delle azioni concrete?

Tanto. Ma il web è senz’altro la filosofia in pratica: il sogno irrealizzato del catalogo di tutti i cataloghi. Anche l’antispecismo, come parte della filosofia morale e politica, si giova di questo strumento. Siti, blog, e riviste online permettono di cominciare ad avvicinarsi a un mondo complesso e sommerso: incrociare lo sguardo di un maiale trucidato, magari in un video, può essere occasione per ricercare nella vita vera quello stesso sguardo sperando che un giorno, questi incroci tra viventi di specie diverse, siano incroci di relazioni libere e autentiche. Forum e social network, se usati con intelligenza, possono essere spazi per primi incontri tra persone unite dal sogno di liberazione animale e, perché no, l’inizio della realizzazione proprio di questo sogno.

Potresti darci qualche indicazione bibliografica / sitografica per approfondire l’antispecismo?

Oggi la letteratura è immensa. I classici sono facilmente reperibili in libreria, da Singer a Regan, fino a più recenti libri come il citato di Melanie Joy. in Italiano consiglio, per farsi un’idea completa e articolata dell’antispecismo, l’ultimo libro di Marco Maurizi, Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, 2012).

Tra i siti e le riviste di filosofia e animalismo vale la pena visitare i portali e gli spazi web di: Antispecismo.net, Liberazioni – rivista di critica antispecista, Bioviolenza, Asinus Novus – filosofia e antispecismo e siti di associazioni antispeciste quali Oltre la Specie o Animal Equality.

A novembre uscirà il primo numero della rivista universitaria Animal Studies (edita da Novalogos) con numeri monografici dedicati all’animalità entro i suoi vari aspetti d’analisi. Ha senso leggere anche qualche romanzo, come Senza Colpa di Felice Cimatti (Marcos y Marcos, 2010) o Il lupo e il filosofo di Mark Rowlands (Mondadori, 2009). Nel 2013 uscirà un libro del sottoscritto per le edizioni Sonda dedicato alla mia umile interpretazione dell’antispecismo nelle sue basi filosofiche e, sempre da Sonda, sono reperibili alcuni importanti libri di Tom Regan, Jim Mason e Bernard E. Rollin.

Rai Educational ha recentemente dedicato uno speciale, per Rai Filosofia, all’animalità con diversi interventi e lezioni.

Infine, per avere una bibliografia più ampia, consiglio di dare un occhio al progetto “diritti animali in biblioteca” a cura della biblioteca di Pordenone. Insomma, il modo per approfondire il dibattito non manca: e io, pensando alla sofferenza di ogni singolo animale massacrato, non trovo nessun buon motivo per non farlo. E voi?

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