(Italiano) In Carcere per la Pace
NONVIOLENCE, ACTIVISM, JUSTICE, ORIGINAL LANGUAGES, 7 Jan 2013
David Swanson – Centro Studi Sereno Regis
Centinaia di statunitensi, giovani e anziani, vanno regolarmente in prigione, a volte per mesi o anni o decenni, perché si oppongono con la nonviolenza al militarismo USA.
Bloccano porti, navi, sottomarini, treni e camion carichi di armi e accessi alle basi militari. Prendono a martellate armi di distruzione di massa, causano milioni di dollari di danni, appendono striscioni e aspettano di essere arrestati. Fanno cancellare sistemi di armamenti, chiudere strutture, e fanno cambiare politiche del Pentagono. Educano a una maggiore resistenza e la ispirano.
Chi fa questo si espone a grandi rischi. I tribunali statunitensi sono estremamente imprevedibili e la stessa azione può facilmente avere come conseguenza nessun periodo di carcere o anni dietro le sbarre. Molte di queste persone hanno famiglie e la separazione è solitamente dolorosa. Ma molti affermano che non potrebbero fare queste cose senza le loro famiglie o senza le loro coese comunità di oppositori che la pensano allo stesso modo. Per ciascun oppositore è generalmente necessaria una rete di sostegno di molte persone.
Più spesso che no, è compiuto un grande sacrificio senza apparente risultato in termini di comportamento del governo, immediatamente o anche dopo un lungo periodo di tempo.
La polizia si sta facendo più violenta. Le condanne stanno diventando più lunghe e le carceri più orribili.
I media dell’industria ignorano sempre più tali azioni, riducendone terribilmente i benefici educativi e ispirativi. Quando Steve Downs è stato arrestato perché indossava una maglietta con la scritta “give peace a chance” [Offriamo una possibilità alla pace] un giornalista ha telefonato a un gruppo pacifista locale e ha cercato di far ammettere che l’azione di Downs era stata organizzata da loro. Quando gli hanno risposto di non aver mai sentito parlare di lui, il giornalista ha replicato: “Oh, allora è una storia autentica!”. “In altri termini”, dice Downs, “se un gruppo manifesta a sostegno dei propri diritti costituzionali, non si tratta di una storia autentica. Se un individuo inerme finisce arrestato perché la polizia ha preso una cantonata, allora lo è.”
E tuttavia chi si dedica a contrastare la guerra in modo nonviolento può sapere di far parte di un movimento che non ottiene un miglioramento delle politiche. E può sapere che se altri aderissero le probabilità di successo aumenterebbero illimitatamente. Vale a dire: se un numero sufficiente di persone aderisse, sarebbe garantito il completo successo. Cioè la pace in terra.
Rosalie Riegle ha appena pubblicato una splendida raccolta intitolata “In carcere per la pace: resistenza, famiglia e comunità”, in cui trascrive le sue interviste a 68 pacifisti, amici e familiari, scelti tra 173 che l’autrice ha intervistato tra il 2004 e il 2007. Il libro non è assolutamente polemico, è più sociologico. Chi parla lotta con i suoi ricordi e i suoi obiettivi e con domande circa il valore di ciò che fa.
La domanda se valga la pena di compiere un sacrificio rimane sempre una domanda aperta per molto tempo. Questo libro raccoglie azioni eroiche, ispiratrici e che aprono gli occhi e le presenta con innegabile onestà e umiltà. Immaginate se milioni di persone leggessero questo libro. Improvvisamente innumerevole azioni realizzate nel silenzio o con scarsa risonanza avrebbero un tipo di impatto interamente nuovo, e le iniziative attuate decenni addietro sarebbero resuscitate, forse in un modo più illuminante di allora, come conseguenza delle idee maturate dai partecipanti.
Una dimostrante citata in “In carcere per la pace”, Kathleen Rumpf, ricorda un’azione cui partecipò nel 1983:
“Entrammo [nell’hangar], vedemmo il B-52 e cominciammo a prenderlo a martellate. Il mio martelletto rimbalzò e quasi mi finì in faccia senza lasciare il minimo segno. Scrissi sull’aereo: “Questo è il nostro grido, è la nostra preghiera per la pace nel mondo.” E i simboli che portammo con noi – le fotografie dei bambini, la denuncia che mettemmo sull’aereo, il sangue che versammo… Io appesi delle gru della pace di carta sui diversi motori. (Lo FBI ha continuato a definire le gru “aeroplanini di carta”, così come ha definito il sangue “sostanza rossa”).”
“Avevamo deciso di martellare e mettere in giro la nostra roba per venti minuti, non di più. In realtà lo facemmo per quasi due ore e mezza. Non volevamo operare altre distruzioni e continuavamo a chiederci cosa fare poi. Chiamammo la stampa dalle linee di massima sicurezza [della base]. Cantammo e pregammo fuori, sulla pista. Tornammo dentro per andare in bagno. Salimmo su un B-52 e guardammo in giro. Ora, siamo accusati di sabotaggio. Se quello fosse stato il nostro scopo, certamente avevamo avuto tutto il tempo per attuarlo. Comunque alla fine fummo in grado di far arrivare qualcuno ad arrestarci. Avevano intenzione di portarci al Burger King e poi di lasciarci andare, come fanno solitamente nel caso delle proteste a Griffiss. Io dissi: “Beh, gente, forse vorreste dare un’occhiata all’hangar 101, prima di rilasciarci.”
“Così vanno all’hangar e poi si attaccano ai walkie-talkie e poi ci ritroviamo con sedici o diciassette tizi a distanza di un metro l’uno dall’altro, in marcia a passo accelerato con fucili M-16. Ci fecero inginocchiare sulla sabbia, puntandoci contro i fucili.”
“Poi seduti su quell’autobus … per otto, nove ore … con le mani dietro la schiena a sentire questo continuo “Zitti! Zitti!” Avremmo voluto dire: “Beh, noi non ci siamo arruolati nell’esercito. Ti ci sei arruolato tu.”
Gli eroi – e uso il termine intenzionalmente – di questo libro includono atei e membri varie religioni, ma sono prevalentemente cattolici e membri del movimento dei Lavoratori Cattolici. Ciò suscita ogni genere di domande per un ateo come me che ritiene sia che il mondo sarebbe migliore senza religioni, sia che il mondo sarebbe migliore se più persone si comportassero come fanno questi cattolici religiosamente motivati.
Il problema principale con gli attivisti è la loro insistenza nel volere essere certi, prima dell’azione, che il successo sia probabile. Ciò causa una quantità enorme di inazione. Così, quando questi attivisti religiosi affermano che a loro non interessa il successo, o che agiscono per soffrire o che perseguono una trasformazione personale, non sono ansioso di respingere la loro posizione. Penso che siamo di fronte a una crisi militarista e a una distruzione dell’ambiente che minacciano la sopravvivenza dell’umanità. Penso che abbiamo il dovere morale di agire. Penso che questi oppositori a favore della pace parlino di opporsi al militarismo in termini morali appropriati. Ma credo che il nostro dovere sia di agire nel modo che ha maggiori probabilità di successo, nella misura in cui siamo in grado di identificarlo. Penso che a volte si tratti di questo tipo di resistenza nonviolenta, ma non sempre.
I resistenti non concordano su tutto. Alcuni, all’atto dell’arresto, si fanno portar via di peso. Altri si dichiarano colpevoli. Alcuni chiedono la condanna più severa. Alcuni considerano la loro difesa in tribunale e il loro tentativo di ottenere l’assoluzione una parte centrale dell’azione.
E alcuni sono passati a un tipo di azione che è improbabile si traduca in una condanna al carcere e precisamente recarsi nelle zone minacciate o sotto attacco da parte del governo statunitense e dei suoi alleati. Inviare squadre di pace in zone minacciate dalla guerra o affrontare una guerra e un’occupazione in corso può comportare grandi rischi e sacrifici. Può impiegare le interazioni con le mani in alto, faccia a faccia, cui i resistenti pacifisti attribuiscono valore. Possono essere costruite attraverso i confini amicizie e alleanze che contribuiscono a educare la gente di entrambe le nazioni e a influenzare i loro governi. E tutto senza dover trascorrere mesi dietro le sbarre.
I resistenti per la pace sono il mio genere di cattolici. Confrontateli con il Papa, un ex giovane nazista, il cui messaggio di Natale, questa settimana, è stato in primo luogo di odio per gli omosessuali e poi di interazione tra le religioni del mondo; non di disarmo, non di cessate il fuoco. Superare la necessità della religione e cancellare, nel processo, una causa di divisioni mortali, ovviamente non sono state citate. Ma i resistenti della raccolta della Riegle spesso inseriscono il fatto di non credere alla morte in ciò che li motiva, in ciò che toglie loro la paura. E perché dovrei volerli distogliere da ciò?
Albert Camus, generalmente considerato un ateo, è una frequente fonte di ispirazione per i resistenti religiosi. Camus era in gran parte un addolorato ex credente sempre intento a perdere con grande rammarico la sua religione e a proclamare che il mondo è assurdo senza di essa. Questi resistenti riescono a cancellare tale assurdità. Eliminano le loro preoccupazioni per i rischi di destini orribili mediante la loro disponibilità a mettersi completamente in gioco. Forse in una certa misura credono di essere pienamente garantiti. Avvertono chiaramente un senso di libertà quando si lasciano alle spalle ogni preoccupazione e dichiarano la loro disponibilità ad accettare qualsiasi sofferenza al fine di promuovere la pace e di opporsi alla preparazione della guerra.
Un numero maggiore di noi, di tutti noi, dovrebbe muoversi nella stessa direzione.
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I libri di David Swanson includono: “War Is A Lie” [La guerra è una menzogna]. Scrive su http://davidswanson.org and http://warisacrime.org e lavora come coordinatore di campagna per l’organizzazione attivista online http://rootsaction.org. Conduce Talk Nation Radio. Seguitelo su Twitter: @davidcnswanson e su FaceBook.
Fonte: http://www.zcommunications.org/doing-time-for-peace-by-david-swanson
Originale: Warisacrime.org traduzione di Giuseppe Volpe, 25 dicembre 2012 http://znetitaly.altervista.org/art/9135
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