(Italiano) Il cinquantenario del Gruppo dei 77. Congratulazioni!

ORIGINAL LANGUAGES, 24 Mar 2014

Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Per uno che ha lavorato molto sulla teoria e la pratica del cambiamento da sistemi di gerarchia a sistemi di equità, il 15 giugno 1964 non sarà mai dimenticato. Quelli in fondo al sistema mondiale degli stati, frammentati gli uni dagli altri da strutture coloniali e imperiali, marginalizzati, sfruttati, si adunarono, 77 di loro, e formarono un Gruppo – termine non proprio rivoluzionario. Nel 1967 il Gruppo fu confermato dalla Carta di Algeri. Utilizzarono come piattaforma l’UNCTAD (Conferenza ONU su Commercio e lo Sviluppo).

Poi il seguito nel 1974: il Nuovo Ordine Economico Internazionale (NIEO), e la Carta dei Diritti e Doveri Economici degli Stati, approvata dall’Assemblea Generale ONU.

Era così nato un sindacato di stati o di loro governi; oggi con una consistenza di 133 stati. Non inclusi sono quasi tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa (che comprende l’UE), dell’ OECD (Organizzazione della Cooperazione e dello sviluppo Economico), e della CIS (Comunità degli Stati Indipendenti). Un chiarissimo spartiacque nord-sud: zona temperata contro i tropici.

Non solo si organizzarono, erano perfino proattivi. Avevano fatto i loro compiti di casa, non solo reagendo al paese sempre primo coi suoi bravi compiti: gli USA, di solito per conto del NordOvest del mondo. L’effetto shock fu impressionante; come osavano! G77+, più la Cina per esempio, avevano più potere potenziale di quanto erano probabilmente consci se fossero riusciti ad agire più velocemente, usando il voto e l’Assemblea Generale ONU e le sue Agenzie Specializzate, e soprattutto la loro cooperazione Sud-Sud. Avrebbero potuto cambiare il mondo.

Che cosa andò storto, che cosa si sarebbe potuto fare e si può ancora fare? Ne offro una elaborazione più avanti; qui intanto ripeto ancora: il G77 fu già un cambiamento basilare negli anni 1960 senza alcun programma economico, giusto per il fatto strutturale di esistere, tessendo insieme il sistema mondiale ai livelli più bassi. Si immagini lo stesso nell’UE di oggi: un G5 dei cinque paesi periferici – Grecia-Italia-Portogallo-Spagna-Irlanda – potrebbe avere un effetto shock sull’UE a guida tedesca –un obiettivo tedesco in entrambe le guerre mondiali.

Andò storta non l’idea di un Nuovo Ordine Economico Internazionale, bensì l’averla fondata su condizioni commerciali (benché ci fosse anche altro, come delle compensazioni per il colonialismo, tema attualmente di ritorno). Avendo lavorato a Santiago del Cile durante gli anni 1960 come professore dell’UNESCO (Organizzazione Educativa, Scientifica e Culturale delle Nazioni Unite) alla FLACSO (Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales), conoscevo bene la CEPAL (Comisión Económica para América Latina) e il lavoro d’apri-pista associato per sempre al nome di Juan Prebisch sulla quantità crescente di materie prime, di risorse, necessarie per comprare, diciamo, un trattore. Tale tendenza al deterioramento dovrebbe essere rovesciata. Il contro-argomento era di lasciare tale decisione al mercato, che sa meglio come fare.

Cionondimeno, c’era un altro contro-argomento. Cambiare le condizioni commerciali avrebbe significato più reddito agli esportatori di risorse e lavorati e servizi più a buon mercato. Le élite nei paesi del G77 sarebbero state più benestanti, ma non c’era nulla nel NIEO che garantisse che i guadagni sarebbero stati trasferiti pure ai contadini, ai coltivatori di banane e caffè, ai minatori. Le economie del G77+ si sarebbero ancor sempre basate sull’esportazione di risorse, privilegiandole rispetto alle esternalità positive e alle sfide, stimoli allo sviluppo di scienza e tecnologia, livelli superiori di salute e istruzione dei lavoratori, migliori infrastrutture, più equità entro e fra i paesi che trasformano le materie prime invece di chiedere null’altro che condizioni commerciali migliori.

Ma questo avrebbe presupposto un salto dal centro intellettuale del G77 e del NIEO in Cile al Giappone, e da Juan Prebisch a Kaname Akamatsu (1896-1974), il cervello dietro il miracolo giapponese, l’ “anatra guida” in rapida diffusione alle “anatre volanti” nell’Asia dell’Est e SudEst. Mai esportare risorse, importarle, lavorarle a livelli sempre più alti, investire il valore aggiunto in scienza e tecnologia e inoltre in sanità e istruzione affinché i lavoratori facciano di meglio che scavare un buco per terra estraendone qualcosa da spedire all’estero ai moloch che elaborano le risorse. Imparare dai successi, cambiare tutta la società, sollevare gli strati sociali più in basso; oltre il liberalismo di Manchester e Bismarck.

Trattando di questo con Prebisch poco prima che morisse nel 1986 si chiarirono due cose: il brillante argentino, espulso dal suo paese, era più focalizzato sulle Americhe, del Sud e del Nord, e meno su quanto era accaduto a un continente o due di distanza, pur essendo del tutto aperto a un’altra prospettiva.

Le due prospettive non si escludevano l’un l’altra, e un genio economico non ne mette in ombra un altro (complimento indiretto a entrambi: nessuno secondo le loro tradizioni ottenne il “Premio Nobel”, termine usato impropriamente, in economia). I profitti derivanti da migliori prezzi per le risorse si sarebbero potuti investire secondo le modalità di cui sopra e tutto il Sud e l’Oriente, non solo i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, SudAfrica), avrebbero potuto trasformarsi come il Giappone e i “draghi” asiatici già negli anni 1960-70. Per come andò, il NordOvest poté godersi la sua presa gerarchica sull’economia del mondo per cinquant’anni extra.

La Cina era stata esposta alla formula Akamatsu nel corso dell’effimera occupazione imperiale giapponese e aveva praticato la dottrina alla lettera senza riconoscerne l’origine, a quanto pare (che non è certo marxista-comunista; neppure Marx-Mao previdero quest’approccio). Ma Akamatsu aveva lavorato per l’impero giapponese negli anni 1930, in altre parole per il nemico, non solo per un’altra economia.

Quali che fossero i fattori d’impiccio a un approccio più ampio a un NIEO che servisse non solo ai capi sindacali, alle élite, ma anche ai comuni lavoratori che avrebbero tratto benefici a piene mani dalle esternalità positive (fra le negative, ad esempio, l’inquinamento), il G77-133 potrebbe tuttora abbracciare entrambe le prospettive.

E in più: c’è un gran bisogno di una buona teoria-pratica dell’equità economica; come si coopera economicamente a vantaggio reciproco e uguale? Come può il G77-133 operare in entrambe le configurazioni a proprio miglioramento e per un rapporto ragionevole e stabile con gli ex-padroni, il NordOvest in generale, e gli USA in particolare?

Il G77 è 50enne: non un’età di pensionamento ma di esperienza e saggezza per trasformare l’economia mondiale, per i paesi e le moltitudini poveri. Avanti!

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Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis.

Titolo originale: The Group of 77 at Fifty. Congratulations! – TRANSCEND Media Service

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